Il lavoro c’è, non il posto


 Il posto non c’è più da almeno trent’anni. Un bel giorno, quando insegnavo, scoprii che non ero più di Erreo (Ruolo Ordinario), ma di Tii (Tempo indeterminato). Pareva una formalità, se non che io spiegai ai distratti colleghi che T.I. non andava inteso solo in alto (non licenziabile) bensì anche in basso (se le cattedre non ci sono più, sono guai tuoi). Prima, nell’assetto napoleonico dello Stato, un professore, un dipendente pubblico in generale, veniva assunto a queste condizioni: solo per concorso, regole severe, stipendio modesto ma sicuro, inamovibilità. Il maestro che, ventenne, arrivava in paese, prendeva il giorno stesso servizio; presto si sposava (spesso, in Calabria, con la figlia furba di un nobile povero, a differenza della cugina superba poi morta illibata in attesa di un barone!); restava in cattedra fino alla fine della carriera e poi in pensione. Oggi io avrei anche difficoltà a raccontare qualcosa del genere a un giovane insegnante, tormentato com’è da assunzioni precarie e aleatorie, e sempre minacciato dal calo demografico eccetera.

 Anche il lavoro privato, tutto sommato, dava certezza, e l’operaio che entrava in FIAT ancora ragazzo, ci restava per tutta la vita. Oggi… per farla breve, non c’è più la FIAT; come nella maggior parte dei piccoli paesi, ormai anche del Sud, non c’è la scuola. E se non nascono allievi, hai voglia di accampare diritti! Ed ecco scoperto l’arcano del Tempo Indeterminato. Sperare che torni il posto fisso, è come se un contadino volesse nuovamente arare con i buoi, e un marinaio pescare a vela. Servono soluzioni per il 2023, non per i sogni di un tempo che fu.

 Del resto, è un errore “creare posti di lavoro” artificiali. L’economia, cioè produzione e commercio, ha bisogno di lavoro; e non il contrario. Per capirci, nella crisi degli anni 1930, in America facevano scavare buche a una squadra e coprirle a un’altra; in Italia, si bonificavano le paludi. Non so se la differenza è chiara!

 Il lavoro del 2023, poi, mica è bracciantato eventuale quando non illegale. Dev’essere lavoro qualificato, e, ovviamente, pagato il giusto. Serve dunque scuola, e apprendistato.

 Per scuola, non intendo solo il Liceo Classico come vogliono le mamme (a proposito, auguri), e se Liceo Classico dev’essere, lo voglio a botte di aoristi secondi passivi e metrica, non “qui fu la Magna Grecia” e presunti “valori” mai meglio definiti quali sarebbero. Scuola è anche quella professionale, per arti e mestieri di cui la Calabria difetta assai, mentre abbonda di avvocati: e stendo un velo pietosissimo.

 Se dunque rinasce una sana economia, essa, l’economia, richiederà lavoro. Esempio, il turismo, che non dev’essere, come spesso è, un passatempo durante il mese di ferie, ma una professione. Se pensate che io stia pensando a Soverato, state pensando bene.

Ulderico Nisticò