Si è tolto la vita in un cella del carcere milanese di Opera, dove stava scontando la pena dell’ergastolo, Rosario Curcio, 47 anni, nativo di Petilia Policastro, nel crotonese. Curcio era stato condannato in via definitiva perché riconosciuto come uno dei killer di Lea Garofalo, la donna calabrese divenuta testimone di giustizia e simbolo della ribellione alle cosche di ‘ndrangheta, che fu assassinata la sera del 24 novembre 2009 e il corpo dato alle fiamme per far sparire ogni traccia.
A decretarne la morte fu il marito Carlo Cosco, che non accettava la scelta della moglie, a sua volta condannato all’ergastolo insieme al fratello Vito Cosco e a Massimo Sabatino mentre una quinta persona, Carmine Venturino, fu condannata a 25 anni di reclusione.
Fu proprio Venturino, successivamente diventato collaboratore di giustizia, a far ritrovare, tre anni dopo, i resti del cadavere di Lea Garofalo in un terreno alla periferia di Monza dove i killer lo avevano dato alle fiamme.
Curcio è stata trovato impiccato nella cella mercoledì scorso, soccorso dalla polizia penitenziaria è stato trasportato all’ospedale San Paolo, dov’è deceduto il giorno successivo.