“Ivi è virtù grande nelle membra, ove non la mancasse nei capi”, osserva, dolente, il Machiavelli: nulla mancava all’Italia, se non una guida politica, una classe dirigente. Egli aveva sotto gli occhi Fornovo (1495), quando un esercito italiano assai più numeroso e potente, e con il vantaggio della posizione, si era fatto vincere dai Francesi in fuga da Napoli. Ma erano comandati dal solo Carlo VIII, mentre gli Italiani avevano cento capi, e ognuno tirava al suo mulino.
E non aveva visto niente, messer Niccolò. Nel 1866 la Prussia di Bismarck, uscì dalla Confederazione Germanica e le dichiarò guerra “blitz”, annientando i coalizzati tedeschi guidati dall’Austria. Aveva ottenuto l’alleanza del neonato Regno d’Italia, cui fece presente l’occasione per conquistare le terre italiane di Veneto e Dalmazia. L’Italia schierava un esercito nettamente superiore a quello austriaco, in gran parte impegnato contro la Prussia; e nettissima era la prevalenza della flotta, risultata dalla fusione tra quella sarda e quella napoletana, con innesto di moderni vascelli. Insomma, partita vinta: macché! A Custoza, il valente arciduca Alberto sgominò i due imbecilli Cialdini e Lamarmora, in lite tra loro; e, curiosa notizia, i soli a far figura furono l’immancabile Garibaldi e l’ex borbonico Pianell. A Lissa, l’inetto Persano venne battuto dalla piccola flotta di Tegethoff, il quale concluse così: “Uomini di ferro su navi di legno hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro”.
Nel 2020, di fronte al nemico coronavirus, parve per un momento che gli Italiani si stringessero a coorte per evitare la morte, e mostrassero devozione a Conte. Conte? Meglio che niente. Passata la prima settimana, siamo nuovamente a Fornovo, e gli Italiani si danno alla loro attività preferita fin dai tempi di Romolo e Remo: il conflitto civile; ed ecco partiti, correnti… e, cosa buffa, anche la cosiddetta scienza si divide in fazioni.
Mancano dunque i capi: anche perché Conte certamente non è Romolo, o Scipio con l’elmo; e la fiducia, fondata solo sulla paura iniziale, sta scemando di fronte a provvedimenti confusionari. Francamente, non è che dall’altra parte si vedano giganti ed eroi.
Del resto, Scipione non avrebbe vinto, a Zama, senza Lelio e Massinissa; Colombo non avrebbe scoperto un bel niente senza abili navigatori come Guitierrez… e senza gli scampati alla forche di Huelva; e Mussolini, che a scuola di suo aveva messo poco piede, affidò la riforma a Gentile: e al posto di Gentile avesse messo Misasi o l’attuale bella statuina, sai che veniva fuori!
Non basta dunque un capo, servono i capi, e una classe dirigente piramidale, cioè “diversamente per diversi uffici”, come insegna padre Dante: ognuno a fare quello che sa; e con serietà e competenza. Ma noi abbiamo, i Calabria, i megadirigenti siderali assunti come somieri in prova, poi promossi a seguito…. che sciocchezza dico? Prima promossi, poi il concorso, e di notte, dopo il tramonto leopardiano della Luna.
Ecco cosa ci serve, dunque: la ricostruzione delle gerarchie. Per esempio, è ora di finirla con la bufala che tutto è cultura (Levy Strauss della domenica?) e con questa bella scusa sono volati milioni a Fontanasecca Inferiore per la sagra della frittola. È ora di finirla che Odifreddi parli di filosofia, e Scalfari di teologia, e Pino Aprile di storia: tutti e tre come se io tenessi una conferenza di astrofisica. È ora di finirla che ci si possa iscrivere a Legge senza aver studiato latino: e si vede, eccome se si vede.
È ora di finirla, dunque, con “fo todos barones”; anche perché tutti baroni è lo stesso di nessuno. A proposito, è ora di finirla con i primari di sotterfugio: quando è tempo di virus, servono medici veri!
Ah, per come si può, buone Palme a tutti.
Ulderico Nisticò