I miei rari lettori sapranno quanto io abbia sullo stomaco l’americanizzazione televisiva, la NATO eccetera. Però, siccome nei ritagli di tempo faccio lo storico, vi narro e preciso alcune cosette a proposito di morti e cimiteri.
Per una qualsiasi specie di culto dei morti, non c’era bisogno di dolcetti e scherzetti: tutti i popoli, anche i più tecnologicamente primitivi, anzi soprattutto quelli, hanno praticato forme di culto dei morti; e basta un’occhiata a piramidi, mausolei, monumenti… a proposito, “monumentum” viene da “moneo”, radice “men/mon”, memoria; greco “mneme”: “monumentum” è dunque l’oggetto che ricorda il morto; e la scrittura non nasce per mandare fatture commerciali, ma per incidere un epitaffio, che significa sulla tomba; scritto sulla carta, diventa epigramma con cui si divertono i vivi a punzecchiare qualcuno o a dichiarare amore.
Infiniti sono i riti, e tutti comunque sono riti; e tutto si fa, tranne che abbandonare il corpo come se non fosse stato mai vivo. Questa sarebbe la dottrina cartesiana e razionalistica del dualismo: una volta che l’anima (ammesso che Renato ci credesse sul serio, e ne dubito!), il corpo è mera biologia, e ce lo potremmo anche mangiare. La coscienza di tutti i popoli di ogni luogo e tempo della storia dimostra il contrario.
Però, attenti alle sovrapposizioni della memoria. Cosa sembra più ovvio e più tradizionale che andare il 2 novembre al cimitero e celebrare ivi delle Sante Messe? E invece i cimiteri, nei Paesi cattolici, sono stati istituiti a forza dai regimi giacobini e napoleonici (pensate ai Sepolcri del Foscolo), ed affettivamente costruiti e posti in esercizio solo verso il 1890; e istituiti contro la tradizione e contro il potere della Chiesa, che si fondava anche su indulgenze e sepolture.
I cimiteri sono comunali, spesso con sezioni separate per le diverse religioni o per atei; o per chi, come un degno signore e mio amico, massone, anzi unico massone coerente a me noto, dispose di essere portato direttamente da casa alla laica sepoltura, senza ipocrisie intermedie.
Due fatti emblematici di Cardinale, mio nobile paese d’origine. Narra Domenico Mammone che morì a Napoli il deputato Francesco de Luca, massone, anzi tanto massone che solo per pochi voti lo battè Garibaldi nell’elezione a Gran Maestro. Portano la salma al paese, ma non c’era cimitero, e altro non restava, credo con enorme disappunto del trapassato e loggia, che la Matrice. L’arciprete Angarano sbarrò la porta; il sindaco Antonio Nisticò, pur non essendo minimamente massone come minimamente non lo è il suo qui scrivente propronipote, e parente di entrambi i contendenti, fece forzare gli stipiti, e il defunto si congiunse sì al Grande Architetto ma in una chiesa cattolica. Vade retro: il vescovo di Squillace lanciò l’interdetto, e per trent’anni la Matrice restò vietata al culto!
Aprono finalmente a Cardinale il cimitero. Il primo morto a doverne fruire si ribellò all’idea, a condurlo nel loculo dovettero intervenire i Regi Carabinieri. Beh, succederà lo stesso per Cuccumella, solo che i deportati erano e sono vivi.
Prima dei cimiteri, i morti erano sepolti in chiesa… esclusi scomunicati e quelli che risultassero palesi pubblici peccatori o qualcosa del genere, i quali venivano trattati come Manfredi nel III del Purgatorio: a lume spento, e inumati in luogo sconsacrato. Ecco un fatto curioso di Santa Severina, avvenuto verso il 1780. Una gentile signora era stata in gioventù molto vivace, per poi pentirsi. Che fare, quando esalò l’ultimo respiro? Guardate pensata: la salma venne accompagnata fuori città senza onori funebri; lì benedetta, e riportata in città per essere sepolta in chiesa con tutti i canoni!
Non sto a spiegarvi quello che potete vedere in qualsiasi antico edificio sacro, con tombe e lapidi; Santa Croce di Firenze vale per tutti, con tombe autentiche e cenotafi. Le operazioni criminali degli anni 1950 hanno distrutto, nelle chiese calabresi, le tombe a pavimento per metterci la graniglia sarei curioso di sapere prodotta da chi; ogni tanto ne rispunta qualcuna.
Le cripte accoglievano le salme, distinte per ceto sociale, sesso ed età; non doveva essere piacevole “agli incensi avvolto dei cadaveri il lezzo”.
Questo per i corpi. Quanto alle anime, tutti credevano ontologicamente alla loro sopravvivenza effettiva dopo la morte fisica. Ontologicamente, ripeto, senza biribimboli e giri di parole tanto per contentare credenti e atei nella stessa frase della stessa predica. Gli atei, che ogni tanto spuntavano, non credevano all’anima, i credenti ci credevano. Quelli erano tempi, ragazzi, e non c’erano ancora gli “atei devoti” tipo la Fallaci o Ferrara, o sarebbero finiti non sotto l’Inquisizione ma alla berlina; alla lettera: testa tra due ceppi, e lanci di frutta marcia e risate della plebe.
Quasi tutti dunque credevano all’anima… però con una certa confusione. Secondo la pura dottrina cattolica, alle anime sono destinate solo tre possibilità, secondo i demeriti e meriti: Inferno eterno, Purgatorio temporaneo, eterno Paradiso. Non sono previste eccezioni, e tanto meno libere uscite di morti.
Ma quasi tutti i vivi credevano anche a spettri, fantasmi, sogni, apparizioni e infiniti altri segni della presenza, sempre ontologica e reale, dei morti. Ecco dunque i riti popolari, tra cui, a Serra S. Bruno, il “còccuolo”, una zucca a forma di teschio, e la richiesta di denaro o dolci: toh! Dolci a forma di osso si fanno a Palermo, a Vibo V. Non c’è castello o palazzo britannico che non abbia il suo fantasma di famiglia.
Ogni luogo ne è pieno anche da noi. A Soverato, il Fantasma del fabbro che dà nome a questa umile rubrica; uno spettro pugnato; la nobildonna del castello o del palazzo… A Badolato, la processione delle Verginelle morte, che però pare sia stata vietata dal Concilio di Trento. A Copanello, la nobidonna spagnola naufragata; e i monaci greci disturbati nel sonno eterno per costruirci qualcosa di rigorosamente abusivo; a Stalettì, il monaco suicida…
I morti appaiono per chiedere preghiere, se anime del Purgatorio; o per portare notizie e ammonimenti ai parenti vivi. Recente è l’idea dei numeri del lotto, come tantissime superstizioni borghesi nate in parallelo con l’illuminismo: la scala, il gatto nero… E già, le tre epoche della superstizione non sono mica il Medioevo (Dante considera i maghi solo degli imbroglioni e falsari), bensì il Rinascimento (Nostradamus, Agrippa, Paracelso, il nostro Russiliano… ), il Settecento (Cagliostro, Saint Germain… ) e il Positivismo ottocentesco (la Curie e parenti e colleghi scienziati Nobel invocavano morti, solo che li chiamavano mesmerismo animale elettrico). Regola pratica: quando non si crede più a Dio, si è disponibili a credere a qualsiasi altra cosa.
Torniamo ai morti popolari. La “palombella”, falena o calabrone, che ruota attorno al lume è un’anima purgante. Non manca dunque qualche credenza nella reincarnazione, del resto sostenuta anche dal cristiano Origene, e solo poi condannata dalla Chiesa.
Insomma, non avevamo bisogno di cartoni animati… Ma Halloween, lamenta qualcuno, è un fatto commerciale… E sì, invece il Mausoleo di Alicarnasso o quello di Galla Placidia li hanno costruiti gratis; e lo stesso per le pire degli eroi omerici o un’intera nave bruciata in onore del re vichingo defunto. Defunto con la spada in mano, se no, dopo morto, niente Valchirie e Valalla, e quindi niente funerale.
Alarico è stato sepolto presso Cosenza. Che tale tumulazione sia stata accompagnata da venticinque tonnellate d’oro è una bufala pazzesca che sta rimbecillendo la Calabria speranzosa di soldi; però, facendo violenza al rito cristiano, qualche ninnolo lo posero con lui. Lo facciamo anche noi mezzo di nascosto, e sotto l’imbottitura mettiamo qualcosa di caro al defunto.
I dotti chiamano tutto ciò sincretismo. Con questo parolone, vi lascio, e vado a onorare i miei morti.
Ulderico Nisticò