Ispirata a una leggenda orientale, è una lunga e fascinosa poesia del Pascoli, quel Pascoli che, a onta della scuola, non è solo La cavallina storna e altri piagnistei; tutt’altro. Gog e Magog sono due misteriosi popoli che da millenni vengono trattenuti da una muraglia fisica, ma soprattutto dal timore sacro di una figura eroica e semidivina, Zul Carnein, il Bicorne, che è la memoria di Alessandro Magno in Asia. Basta che questo eroe suoni le sue trombe, e i barbari tremano al punto di non osare avvicinarsi alle mura. Ci sono in mezzo a loro dei poderosi giganti, ma soggiacciono al timore panico del Bicorne.
Un giorno, però, un “nano dai mobili orecchi”, spinto da curiosità, vuole vedere di persona Zul Carnein, e, varcate le mura, scopre che l’eroe non esiste, e il suono delle trombe era solo il rumore del vento. Torna a rivelare la verità, e le due tribù, deposta ogni paura, abbattono le porte, e l’orda “sboccò fremendo, e il mondo le fu pane”.
Fin dalla loro pubblicazione, i versi del Pascoli ricevettero due interpretazioni in fondo non divergenti: Gog e Magog, nel simbolismo decandentistico del poeta, rappresentano o le masse proletarie nei confronti della borghesia europea, o i popoli arretrati nei confronti del mondo avanzato. Tenuti sotto controllo, finora, più da una soggezione psicologica che dalla forza, quando si ribellano sono troppi e troppo forti per essere fermati.
Vedete che la poesia non è sempre una cosa per depressi e malati e isolati a casa loro, ma può essere anche una cosa molto seria?
È quello che sta succedendo non tanto qui da noi dall’Africa, quanto dall’America Centrale verso gli Stati Uniti. Vediamo immagini apocalittiche di masse di migliaia che lasciano Honduras, Guatemala, El Salvador, e attraverseranno a piedi il Messico, puntando sugli Stati Uniti.
Nulla a che vedere con noi e con i migranti dall’Africa. Aprite gli occhi, e vedrete le differenze tra quei poveracci e i giovanottoni palestrati che la TV, prima del 4 marzo, spacciava per donne e bambini!
Quelli che fuggono dall’America Centrale non hanno nulla da perdere perché non hanno nulla; e non cercano una “vita migliore” cioè cellulari ultimo modello, ma sanno che, rimanendo in patria, morirebbero. Non temono perciò la morte. La loro disperazione non è la mancanza di camicie firmate, ma la mancanza di pane. “Una salus victis, nullam sperare salutem”, dice Virgilio: i vinti (della guerra o della vita) hanno una sola via di salvezza, non sperare in alcuna salvezza, non coltivare alcuna prudenza, non fare alcun ragionamento, tentare ogni via.
Ebbene, qual è la situazione di Honduras, Guatemala, El Salvador? E non scordiamo il Venezuela, dopo anni di assurde utopie mezzo comuniste e mezzo buoniste, e da dove la gente scappa in un altro luogo, la Colombia, che certamente non è il Paese del Bengodi.
In questi Stati, le condizioni naturali sono ben poco favorevoli per clima e natura; e la situazione politica è da sempre pessima. E attenzione che non ci sono i buoni e i cattivi: quando governano i cattivi, la gente muore di fame; quando vanno al potere i buoni, la gente muore di fame lo stesso, a parte che i buoni diventano subito cattivi. L’Africa ha, qui e lì, dei problemi, ma, nel complesso, sta molto ma molto meglio dell’America Centrale.
Non so se, per quelle terre americane, ci sono delle soluzioni; se ce ne sono, non abitano certamente negli aerei regni dell’utopia e dei sogni, ma nei grevi e grigi mondi del realismo.
1. Ammesso che qualche milione di profughi entri negli Stati Uniti, che ci starebbero a fare? È comunque da escludere che li lascino entrare. Un profugo è un caso umano; milioni di profughi sono un’invasione. E nessuno Stato ha l’obbligo politico e morale di lasciarsi invadere.
2. Levatevi dalla testa che se un sistema politico va bene, che so, in Finlandia, va bene anche in Guatemala: non è assolutamente così. I sistemi politici di quei Paesi americani non assicurano nemmeno il minimo ordine pubblico, e non detengono perciò alcuna legittimità di esercizio: tradotto, non esistono; e non hanno alcun diritto ad essere rispettati.
3. Serve un’operazione internazionale con tutti i crismi. Se volete un modello, l’intervento militare italiano in Albania negli anni 1990, riuscito benissimo. Militare, ovvio.
4. L’ONU, oltre a percepire stipendioni e lussi, che ci sta a fare?
Ulderico Nisticò