Gli intellettuali calabresi non litigano


uldericoLa storia delle letterature è zeppa di liti tra intellettuali. Aristofane immagine che il dio Bacco, sceso tra i morti per riportare in vita Euripide, se ne torni invece con Eschilo dopo aver pesato i versi di questo, carichi di cose e non di chiacchiere. Se ne dissero di tutti i colori Callimaco ed Apollonio Rodio; ed Eratostene, quello del grado terrestre, venne ingiuriato Beta perché non era Alfa, primo, in niente; Nevio venne querelato dai Metelli, e finì condannato; Catullo dice che i poemi di Volusio, definiti altrove come non posso qui scrivere, sono buoni per incartare i pesci; Marziale sussurra che scriverebbe anche lui qualcosa di meglio, se trovasse qualcuno a pagarlo come Mecenate con Virgilio; nel Medioevo i teologi disputavano a colpi d’improperi e scomuniche; l’Alighieri e Guido, già amici, quando ruppero i rapporti, questi scrive un sonetto ferocissimo, e quello gli prepara un posto all’Inferno; mentre Cecco Angiolieri prende a pesci in faccia Dante per le sue manie di grandezza; il quale c’informa che i suoi colleghi della Scuola siciliana e di quella toscana furono sì bravi rimatori, ma per niente poeti.
Veniamo ai più moderni. Il Foscolo e il Monti s’attaccarono in stornelli; “Mi aspettavo di meglio”, borbottò il Leopardi, leggendo i Promessi Sposi; dei quali il Carducci disse il peggio possibile; il Gozzano con i “dolci bruttissimi versi” si riferisce al Pascoli; e i futuristi condannarono ogni letteratura paludata. Eccetera.
Nella nobile terra di Calabria, invece, l’ultimo a fare polemica fu Barlaham di Seminara, contro certi spiritualisti bizantini da lui chiamati “omphalòpsycoi”: quelli che hanno l’anima nell’ombellico! Da allora, cioè dal XIV secolo, tutti gli scrittori e poeti e giornalisti della fu Magna Grecia sono grandi scrittori e grandi poeti e grandi giornalisti… e tutti adamantini combattenti per la patria, la giustizia, e, manco a dirlo, antimafia. Mai uno che dica di un altro che scrive con i piedi, o che non ha niente da dire, o che scopiazza qualcun altro, o che gronda retorica, o qualsiasi cosa ispiri la voglia di polemizzare. Mai: tutti santi, tutti intelligentissimi, tutti onesti… Campanella protesta, però non si capisce bene contro chi!
Figuratevi se l’intellettuale calabro attacca il governo, o anche solo un parente del sindaco! Attaccano sì la corruzione, però senza far nomi di corrotti.
Attenzione, non è solo vigliaccheria generica; è proprio un meccanismo mentale: se uno scrive, è uno scrittore; se insegna, è un professore… se uno è un attaccante, segna; ma se uno è portiere, para, e così la palla rimane in eterno a mezz’aria.
Aggiungete poi che corrono soldi a vario titolo, e, come si legge nel VI dell’Eneide, anche Cerbero, che pure aveva tre bocche e molti denti, smise di abbaiare quando la Sibilla le riempì di cibarie. Figuratevi meno feroci cagnetti di casa.
Se capita qualche dotto meno astratto e meno servile il quale dica che il romanzo X, famosissimo e super premiato e in tv, è invece men che mediocre in quanto opera letteraria, uno si aspetta che l’autore criticato, o qualche suo amico, rispondano con argomenti e con fiere parole. Macchè; sapete che fanno? Non rispondono, però mettono una parolina all’orecchio del direttore del giornale o presidente del premio… e l’incauto polemista viene emarginato, damnatio memoriae già in vita.
È anche per questo che la cultura calabrese è inutile e campata in aria ed astratta e scontata: i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi come nelle favolette dei bimbi scemi; e ogni sospiro è per la Calabria “una giornata storica”; e la Regione funziona; e a Gioia Tauro l’automobile mondiale parla calabrese…
L’assenza di critica è una gravissima debolezza del sistema sociale prima che politico. Tutti d’accordo vuol dire che non siamo d’accordo affatto, però fingiamo benissimo.

Ulderico Nisticò


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