Napolitano è vissuto tanto a lungo da poterne parlare con il distacco dello storiografo; e del resto io non ho alcun dovere di fare diversamente, tanto meno obbligo istituzionale; e dirò solo quello che penso.
La sua vita è specchio non tanto delle vicende quanto del divenire delle posizioni ideologiche. Dichiarò, senza infingimenti, di essere stato iscritto, fino al 1942, ai GUF (Gruppi universitari fascisti), che definì “palestra di cultura”. Quanto al 1943, non millantò gesta eroiche, che qualche giornalista oggi s’inventa di sanissima pianta.
Nel 1945 s’iscrisse al Partito Comunista, di cui fu un dirigente nazionale. Nel clima della guerra fredda, era rigorosamente filosovietico (non mi stupisco: anche io, nel vecchio MSI, e anche dopo, sono stato angustiato da fanatici filoamericani!). Nel 1956, come tutto il PCI, approvò con entusiasmo l’invasione sovietica dell’Ungheria. Molti anni dopo rese omaggio alla tomba di Nagy impiccato dai sovietici; ma la cosa oggi è presentata come una rivolta per generica “libertà”, e non, come fu, patriottica e nazionale per l’indipendenza dell’Ungheria. Del resto, l’Occidente libertario non batté ciglio né per Budapest 1956 né per Praga 1967.
Il comunismo intanto cadde da sé con il crollo dell’Unione Sovietica dal 1989. Il PCI divenne PDS eccetera, e Napolitano ne seguì le sorti. Era caduta anche la cosiddetta Prima repubblica in Italia, e gli ex comunisti entrarono in un sistema che stentava, e stenta, a modificarsi in forma stabile, e fecero parte di varie e provvisorie maggioranze e di precari governi.
Assunse intanto un atteggiamento di esplicita adesione all’Europa e alla NATO.
Nel 2006 viene eletto presidente. In questa veste interpretò il ruolo non solo come decorativo, ma con diretti interventi nella politica. Cruciale fu l’anno 2011, per due avvenimenti che gli si possono direttamente attribuire:
– Lo schieramento dell’Italia a fianco di Sarkozy, Obama e Cameron, che devastarono la Libia e assassinarono Gheddafi, con le disastrose conseguenze che ogni giorno vediamo e subiamo. Per inciso, quella vicenda fu il più grave errore di Berlusconi, che non ebbe il coraggio di dimettersi e creare un benefico scandalo mondiale. Vedete che fine fanno i moderati?
– E infatti a Berlusconi non bastò per salvarsi. Napolitano parve pilotare la caduta di Berlusconi e il governo Monti, che, con la Fornero, resta la peggiore pagina delle cronache italiane, adottando la scelta di colpire i ceti deboli senza però risolvere nulla della crisi economica. Monti, seccamente trombato alle successive elezioni, morrà giustamente dimenticato.
Nel 2013 un parlamento nel disordine e incapace di eleggere il successore costrinse Napolitano a farsi rieleggere, sia pure a tempo. Pose la condizione che si facessero le riforme, ma, applausi a parte, non venne riformato un bel niente; né Napolitano protestò, contentandosi delle dimissioni.
Lo chiamarono re Giorgio, e tutti, prima o poi almeno una volta, avete sentito dire qualcosa a questo proposito. Io vi racconto che la Monaca di Dresra, del XVII secolo, profetizzò al duca Vittorio Amedeo II di Savoia di aver visto in sogno la sua carrozza trainata da dodici cavalli piccoli e cinque cavalli grandi. I dodici sono i re Sardegna dallo stesso Vittorio Amedeo a Vittorio Emanuele II; ma i grandi sono quattro, da Vittorio Emanuele II a Umberto II. Non aggiungo altro, ma i numeri sono numeri.
Si terranno funerali in forma laica. Non sappiamo se e cosa abbia pensato “all’orlo della vita”, Napolitano, e speriamo per lui; ma, e non senza imbarazzo dei politicamente ed ecclesiasticamente corretti, si eviterà che un non credente e mai praticante possa essere improvvisamente benedetto e incensato, come vediamo spessissimo per gente che in vita non mise mai piede in una chiesa.
Specchio dell’Italia post 1945 e delle sue contraddizioni, re Giorgio.
Ulderico Nisticò