Gaetano Drosi di Davoli esorta a valorizzare le biblioteche pubbliche e private


Caro Tito, poco più di una settimana fa, martedì 20 febbraio 2024, hai pubblicato il mio appello per la SALVEZZA DELLA CULTURA CALABRESE minacciata da più parti e in più luoghi, nonostante ci siano in giro ottime iniziative che non bastano però a risollevare le sorti di una situazione davvero allarmante.

E tra coloro i quali sono molto preoccupati per l’impoverimento della cultura calabrese c’è Gaetano Drosi, ex sindaco di Davoli (CZ), il quale ha sempre mostrato curiosità e interesse per le diverse forme in cui il sapere e la conoscenza si manifestano. Dopo aver letto, in particolare, sui giornali della cattiva salute del Polo Bibliotecario Vibonese, a rischio chiusura, mi ha segnalato e brevemente introdotto le due seguenti pubblicazioni, per come autorevolmente da altri recensiti: A) BiblioTech di John Palfrey; B) Le biblioteche nel sistema del benessere a cura di Chiara Faggiolani. Nello stesso scritto ha fatto seguire, sotto la lett. C), proprie riflessioni conclusive. Propongo alla attenzione tua e dei nostri lettori i suoi «ARGOMENTI PRO SENSIBILIZZAZIONE PER NON CHIUSURA SISTEMA BIBLIOTECARIO VIBONESE».

GAETANO DROSI SCRIVE …

A) Antonio Sgobba, recensendo su wired.it il saggio di John Palfrey, dal titolo BiblioTech (sottotitolo: Perché le biblioteche sono importanti più che mai nell’era di Google), enuclea dieci buoni motivi per cui le biblioteche pubbliche svolgono ancora una insostituibile funzione. « Perché dovremmo spendere le nostre tasse per una biblioteca, in tempi economicamente difficili, quando i nostri lettori possono ottenere all’istante quasi tutto quello che vogliono da Internet?». Questa che precede è la domanda da cui parte il saggio di John Palfrey, che non è un bibliotecario, ma un giurista esperto di nuovi media e proprietà intellettuale.

Qui di seguito fedelmente e integralmente trascrivo, mantenendo anche lo stile del carattere utilizzato (tondo, corsivo, grassetto), le ragioni ben argomentate da Sgobba, che egli ha estrapolato da quelle più ampie contenute nel recensito volume (Milano, Editrice Bibliografica, 2016), al quale rinviare i lettori che volessero andare in profondità sulle tesi in esso formulate: https://www.editricebibliografica.it/scheda-libro/john-palfrey/bibliotech-9788870758702-329387.html . I lettori possono anche accedere al testo completo dello scritto di Antonio Sgobba, leggibile al link:  https://www.wired.it/play/libri/2016/03/16/biblioteche-pubbliche-importanti/.

1. Non è vero che si trova tutto su Google.

“Per molti cittadini, le biblioteche sono l’unico luogo dove l’informazione necessaria per essere impegnati nella vita civile è davvero disponibile gratuitamente, basta disporre del tempo necessario per arrivare in una succursale. La sala di lettura di una biblioteca pubblica è il luogo dove un quotidiano, un settimanale e un documentario sono tutti disponibili gratuitamente”, scrive Palfrey. Ma non è solo una questione di quantità: “Dal momento che le informazioni sono più che abbondanti pressoché in tutte le discipline, gli studenti ricorrono troppo spesso a fonti immediatamente accessibili ‒ quelle reperite tramite una ricerca via Google o su iPhone. Ma spesso tali fonti non sono le migliori. Gli studenti davvero capaci sono quelli consapevoli di poter fare di meglio che aggrapparsi all’informazione a cui si può arrivare con più immediatezza. I bibliotecari di consulenza, che trascorrono le giornate a scoprire tutto ciò che è disponibile in moltissime discipline e che sanno come cercarlo, possono fornire un ottimo servizio agli studenti e agli altri utenti della biblioteca. In un mondo in cui le potenziali fonti informative sono decisamente variabili per qualità e rilevanza, la competenza di base dei bibliotecari ‒ in quanto guide alle risorse migliori ‒ può rivelarsi impagabile”.

2. Non sono il luogo della nostalgia.

Dimenticate la retorica dell’odore della carta, non è così che si salveranno le biblioteche. “Non si mette in dubbio che le biblioteche siano meravigliose, ma la nostalgia è un filo troppo debole perché i bibliotecari ci si possano aggrappare in un periodo di transizione come quello di oggi. La nostalgia può anche essere pericolosa. Da una parte, pensare a come erano le biblioteche anni fa e desiderare che restino come allora è l’ultima cosa che dovremmo volere. Dall’altra, la nostra visione nostalgica non dà loro sufficiente credito. Le biblioteche offrono un gran numero di servizi che rischieremmo di ignorare se ci focalizzassimo soltanto sulla piacevolezza delle sale di lettura”. La biblioteca pubblica al tempo di Google è più digitale, non dà in prestito solo volumi, ma sempre più file di testo, audio, o video, ebook (ed è anche presente sui social network, come succede per esempio a Milano e Bologna).

3. Meno biblioteche vuol dire più disuguaglianza.

“Se perderemo la nozione di accesso libero alla maggior parte delle informazioni, i mondi di chi ha e di chi non ha si allontaneranno ancora di più. La nostra economia ne soffrirà, e la nostra democrazia sarà posta inutilmente a rischio”. Un’istituzione pubblica svolge un ruolo educativo fondamentale: “La possibilità di avere competenze digitali non dovrebbe essere limitata a coloro che possono pagare per ottenerle, e le biblioteche scolastiche assolvono a un ruolo essenziale nell’equilibrare questo aspetto”. Se ci sta a cuore l’uguaglianza nelle opportunità, non possiamo dimenticarlo: “Finché nella maggior parte delle comunità esiste una biblioteca dotata di bibliotecari formati e aggiornati, l’accesso individuale alla nostra cultura condivisa non è determinata da quanto denaro si ha in tasca”.

4. Non possiamo lasciare la gestione della conoscenza ai privati.

“Il rischio che un piccolo numero di aziende commerciali tecnicamente capaci determinino la gran parte di quello che leggiamo, e come lo leggiamo, è enorme”, osserva Palfrey. “Il settore privato ha avuto un enorme successo nell’innovazione digitale, e in alcuni settori, come la fornitura di sistemi per la posta elettronica aziendale, è un bene che ad averne le redini sia stato il settore privato. Se si parla però di documenti culturali, storici, politici e scientifici di una società, è il settore pubblico a dover rivestire il ruolo predominante”. La storia, la cultura, la scienza sono beni comuni. “Se le biblioteche non risponderanno alle esigenze informative delle comunità, lo faranno altri. Costoro probabilmente agiranno per ottenere dei profitti in attività che sono in larga misura di interesse pubblico, che si tratti di Amazon quando vende libri, di Google quando vende pubblicità in base alle ricerche effettuate, o di Starbucks e McDonald’s che vendono caffè e fast food sofisticati. Ma sono le biblioteche, non le aziende, che dovrebbero avere un ruolo guida in quanto luoghi di incontro nelle comunità, costruiti attorno a idee e sogni”.

5. I bibliotecari sono i nuovi hacker.

Sono tra “i più versatili specialisti dell’informazione che abbiamo”, come scrive James Gleick (autore di “L’informazione: Una storia. Una teoria. Un diluvio”). Secondo Palfrey i bibliotecari fanno molto più che rispondere alle domande che si potrebbero fare a Google – a patto che siano in grado essere amministratori di conoscenze da mettere in rete, piuttosto che semplici raccoglitori, come sono stati in passato – e per farlo possono ispirarsi all’etica hacker: “Nella sua accezione positiva è la capacità di scomporre e ricostruire i sistemi informativi. Nel caso delle biblioteche, il compito sarebbe quello di immaginare come analizzare le funzioni che esse devono svolgere e poi ricostruirle adattandole a un’epoca più digitale. Mi spiego: alcuni utenti scelgono di leggere un libro nella sua forma base, che oggi è quella digitale, mentre altri scelgono di comprare la versione a stampa, perché preferiscono una copia fisica. Lo stesso vale per un quotidiano, o un’immagine, o qualsiasi altra cosa che le biblioteche gestiscono e forniscono ai loro utenti. Attraverso l’hacking ‒ l’attività di analizzare le funzioni e immaginare come ricostruirle ‒ le biblioteche possono soddisfare questi diversi bisogni”.

6. Le biblioteche sono l’ultimo luogo di condivisione libero e gratuito.

Promemoria: i social network sono piattaforme private, quello che condividiamo è di proprietà di Facebook, Twitter, Instagram & co. Il sapere condiviso dalle e nelle biblioteche invece è di tutti. Non è banale se pensiamo che nell’era digitale “gli spazi aperti al pubblico sono già troppo pochi”. Per questo l’indipendenza delle biblioteche è importante: “Perché significa che la nostra attenzione non può essere comprata e venduta nel contesto di esse, luoghi dove siamo liberi di perseguire i nostri interessi e le nostre idee, senza paura di essere rimproverati o di subire conseguenze economiche. I nostri spazi pubblici sono incalzati da interessi privati, nella vita reale come online. Le biblioteche restano uno spazio di tutti, influente e affascinante all’interno delle comunità di ogni parte del mondo”.

7. Sono piattaforme e non magazzini.

Ok, questo è un auspicio, ma secondo Palfrey non c’è scelta: “Le biblioteche devono ricostituirsi come piattaforme piuttosto che continuare a essere magazzini”. Non solo depositi di libri, ma luoghi e servizi per l’accesso facile e efficiente all’informazione e alla conoscenza. La biblioteca piattaforma è un idea che viene da David Weinberger (l’autore de La stanza intelligente: La conoscenza come proprietà della rete), Palfrey la spiega così: “In quanto piattaforma, la biblioteca fa incontrare le persone che hanno idee forti, sia in veste fisica che virtuale, in forma registrata o dal vivo. Gli addetti delle biblioteche devono considerarsi gestori e amministratori di queste piattaforme, non in quanto istituzioni indipendenti e a sé stanti, ma inserite in una sempre crescente rete di strutture che funzionano anch’esse come tali”.

8. La prossima grande innovazione nel mondo della conoscenza arriverà dal settore pubblico.

“Considerate il servizio di ricerca di Google, il Kindle di Amazon, la piattaforma di app di Apple, Facebook e Twitter quali cinque fra i possibili candidati in concorso per l’innovazione più importante relativa al mondo dell’informazione nell’ultimo decennio. Wikipedia, Mozilla e la Khan Academy possono contendersi le posizioni sul versante non profit della bilancia”. Cosa ci aspetta? “È molto difficile rispondere – continua Palfrey – ma in questo momento di cambiamenti è chiaro che la prossima grande innovazione nella gestione della conoscenza dovrebbe arrivare proprio dal mondo delle biblioteche pubbliche. Esse possono offrire alternative importanti ai servizi forniti dalle aziende, che avranno sempre da guadagnare nell’offrire un accesso alla conoscenza costoso, limitato e parziale”.

9. Sono uno strumento di integrazione.

“La scomparsa delle biblioteche”, leggiamo in Bibliotech, “Metterebbe a repentaglio la capacità dei migranti di adattarsi bene al sistema di un qualsiasi paese libero, di trovare un’occupazione, di prepararsi a far parte dei lavoratori alfabetizzati o dei cittadini della classe media”.

10. Senza biblioteche non c’è democrazia.

Sono le ultime parole del libro: “Non è affatto azzardato dire che il destino delle repubbliche libere, aperte e ben informate potrebbe dipendere dal futuro delle biblioteche. Maureen Sullivan, quando era presidente dell’American Library Association e una delle bibliotecarie più lungimiranti, mi disse: ‘Il motivo per cui credo che il futuro delle biblioteche sia così importante è perché voglio assicurare che ogni bambino americano abbia accesso all’informazione di cui ha bisogno per essere ben informato prima di votare’. Le nostre istituzioni pubbliche hanno tutte le ragioni di lavorare insieme per un futuro comune, radioso, incantevole nell’era digitale. Le biblioteche sono troppo importanti per la democrazia perché falliscano in questo compito”.

B) Tra i tanti volumi pubblicati sull’argomento biblioteche dalla stessa Editrice Bibliografica (https://www.editricebibliografica.it/), nelle sue svariate Collane attinenti all’argomento, ce n’è un altro che mi ha colpito particolarmente, sin dal suo titolo. Mi riferisco a Le biblioteche nel sistema del benessere, edito nel 2022 nella Collana Geografie Culturali. È una raccolta di saggi di vari autori, a cura di Chiara Faggiolani (professore di Biblioteconomia presso il Dipartimento di Lettere e Culture Moderne dell’Università di Roma Sapienza dove dirige il Laboratorio di Biblioteconomia), che gli operatori culturali e coloro che hanno il “potere” di decidere le sorti di questo presidio di conoscenza e civiltà dovrebbero leggere.

La mia curiosità è stata inizialmente accesa dalla scheda editoriale che ci ricorda, tra l’altro, che il libro in questione «nasce in un momento del tutto particolare, caratterizzato da una assoluta novità rispetto al passato: una straordinaria disponibilità di dati che riguardano le biblioteche e che consentono di esercitare uno sguardo nuovo» e si prefigge di «offrire un contributo concreto rispetto all’obiettivo fortemente condiviso di dimostrare e raccontare il ruolo della cultura in un’ottica di benessere, qualità della vita e sviluppo sostenibile».

L’embrionale interesse così avviato ha trovato poi in me conferma nella recensione (accessibile in formato PDF al link  https://teca.unibo.it/article/view/15776 ) che del volume (di 295 pagine) Danila Giaquinta dell’Università di Bologna ha pubblicato il 29/12/2022-1 su TECA – Vol. 12 No. 6ns (2022). Di tale lavoro editoriale meritano di essere sottolineate le pregnanti tesi che la predetta pregevole recensione pone in evidenza nei passaggi che qui di seguito, per stralcio e virgolettati, mi pare utile riportare, mantenendo anche in questo caso lo stile del carattere (tondo, corsivo, grassetto) utilizzato dalla autrice della recensione.

1. «Il libro esplora con disinvoltura e in ottica multidisciplinare il fermoimmagine attuale delle biblioteche italiane e le loro potenzialità future. Potenzialità che spesso rimangono latenti e che sarebbe il momento di esplicitare attraverso la collaborazione e l’innovazione, in modo da lasciare il segno sul presente e partecipare attivamente al sistema del benessere».

2. «Sin dall’introduzione Faggiolani sottolinea l’importanza della cooperazione, sia tra biblioteche, ormai avvezze all’organizzazione reticolare, sia tra ambiti disciplinari diversi. La vocazione poliedrica della ricerca è evidente se ci si sofferma sul sommario: gli autori dei diversi capitoli appartengono ai settori più vari, dalla statistica sociale alla geografia, dalla biblioteconomia alla cultura del management».

3. «Non si tratta perciò di una ricerca sulle biblioteche svolta esclusivamente da bibliotecari. Al contrario, i nomi di veri e propri cultori di materie biblioteconomiche sono solo una esigua parte nella lunga lista di studiosi ed addetti ai lavori che hanno collaborato nella realizzazione del libro. Solo così il tema fondante della ricerca poteva essere sviscerato al meglio: con un’analisi che considera punti di vista inediti e spesso apparentemente incompatibili tra loro. Il risultato finale è un’indagine corale e sinergica sul valore intrinseco di biblioteche e della cultura per lo sviluppo del benessere sociale».

4. «Risulta chiaro che le biblioteche possono svolgere un ruolo chiave, non solo per quanto riguarda le mission tradizionali di studio e ricerca, ma anche sotto numerosi altri punti di vista: possono creare inclusione, aiutare a sviluppare un senso di comunità anche laddove le istituzioni centrali sono distanti, promuovere lo sviluppo personale e la formazione continua, agevolare il processo di transizione digitale e, risvolto spesso poco considerato ma fondamentale, educare i cittadini alla prevenzione medica e al benessere fisico e mentale. Esporre sotto forma di un freddo elenco, in questa sede, le conclusioni parziali, raggiunte negli undici capitoli del libro, sarebbe riduttivo e non renderebbe giustizia alla cospicua mole di informazioni non testuali al suo interno. Tabelle, grafici, numeri e illustrazioni riempiono le pagine del volume e, in certi casi, si rivelano essenziali per dare forma ai concetti espressi a parole».

5. «Spesso e volentieri il mancato riconoscimento dell’importanza delle biblioteche deriva dalla non conoscenza delle stesse e dal pregiudizio per cui ciò che non produce valore economico non possa essere determinante nella società contemporanea».

6. «La strada da percorrere è ancora lunga: i risultati più preoccupanti delle indagini dimostrano il disinteresse crescente nei confronti dei servizi bibliotecari, aggravato negli ultimi anni dall’emergenza sanitaria. Tuttavia i dati raccolti e le conclusioni raggiunte nel libro evidenziano anche uno spazio d’azione promettente, creano consapevolezze preziose da cui è saggio ripartire con entusiasmo per poter dimostrare il ruolo strategico delle biblioteche nelle politiche sociali per le comunità».

7. «Il libro offre stimoli incoraggianti e presenta progetti innovativi che coinvolgono l’utenza e che promuovono la collaborazione tra biblioteche, tra biblioteche e istituzioni e tra studiosi, bibliotecari e figure professionali diversificate e fra loro collegate; esempi virtuosi che chiunque lavori nel settore dovrebbe conoscere e fare propri, perché solo attraverso il confronto e la collaborazione le biblioteche e la cultura potranno affacciarsi al presente e al futuro. Un approccio sistemico potrà salvarle dall’isolamento fine a sé stesso».

C) Volendo portare a sintesi quanto argutamente elaborato e posto in evidenza dalle opere qui prese a riferimento − per come analizzati dagli autori che li hanno recensiti con gli scritti in precedenza richiamati − si può senz’altro ulteriormente sottolineare che le biblioteche, come tutti i servizi pubblici resi in favore delle comunità, devono adeguarsi ai generali cambiamenti sociali e tecnologici, aggiornando i modelli utilizzati su vasta scala.

Questo programmatico assunto che precede non può però, in alcun modo, essere preso a pretesto per sminuire le molteplici funzioni esplicate e l’influenza e la ricaduta estremamente positive che la loro presenza ha avuto e continua ad avere sul territorio che orbita nel loro raggio d’azione. In questa valutazione vanno adeguatamente considerati e misurati tutti i servizi che le biblioteche esplicano e che vanno, o dovrebbero andare, sempre più in là di quella loro primaria funzione − che resta intatta in tutto il suo valore culturale e sociale − che ha al centro il libro, il prestito e la sala di lettura. Ma va anche tenuto bene in mente che, come autorevolmente affermato e ribadito nella dedicata letteratura di settore, le biblioteche non sono solo depositi di libri. Infatti, schematizzando, esse:

a) sono piattaforme per accedere a contenuti culturali, per informarsi, per produrre e rigenerare conoscenza;

b) costituiscono luoghi di scambio, d’incontro o centri di rilevanza sociale sul territorio cittadino;

c) contribuiscono allo sviluppo del benessere sociale e della qualità della vita.

E tanto, senza altresì assolutamente trascurare che − come ritenuto da Sgobba nella sua recensione ampiamente riportata alla precedente lett. A) − in generale, i bibliotecari sono, almeno potenzialmente, tra i più versatili specialisti dell’informazione, della divulgazione, dell’orientamento, dell’accoglienza. Tesi come quelle qui riportate, richiamate o invocate, sono evolutive elaborazioni finalizzate all’individuazione di una nuova strumentazione − di cui dotare le biblioteche − idonea ad incidere con modalità innovative nella realtà sociale come dinamicamente si è venuta affermando a cavallo del Secondo e del Terzo Millennio.

Ovviamente punto di riferimento e presupposto è il nuovo Manifesto IFLA-UNESCO delle biblioteche pubbliche 2022, rilasciato dall’IFLA il 27 luglio 2022, durante l’87a Conferenza mondiale a Dublino, al quale i lettori possono accedere − nella versione pubblicata nella Rivista di biblioteconomia e scienza dell’informazione a cura dell’Associazione Italiana Biblioteche, AIB Studi, 62(2), 431–434 − al seguente link: << https://aibstudi.aib.it/article/view/13762/340 >>. Questo, che aggiorna la versione del 1994, costituisce uno strumento fondamentale a sostegno delle biblioteche nello sforzo di adeguamento ai cambiamenti tecnologici e sociali intervenuti in questi anni, affinché il Manifesto possa continuare a riflettere le realtà delle biblioteche di oggi e l’optimum cui dovrebbero tendere. Senza dimenticare che lo stesso Manifesto, tra l’altro, «proclama la fiducia dell’UNESCO nella biblioteca pubblica come forza viva per l’educazione, la cultura, l’inclusione e l’informazione, come agente essenziale per lo sviluppo sostenibile e per la realizzazione individuale della pace e del benessere spirituale attraverso le menti di tutti gli individui. L’UNESCO incoraggia pertanto i governi nazionali e locali a sostenere e impegnarsi attivamente nello sviluppo delle biblioteche pubbliche». Per questa, come per tutte le altre finalità proclamate in tale corale e formale documento, i decisori a livello nazionale e locale e la comunità bibliotecaria in generale, in tutto il mondo, sono ivi sollecitati ad attuare i principi in esso espressi, tra i quali è consono richiamare, in chiusura, la necessitata consapevolezza che «per garantire servizi adeguati sono indispensabili risorse sia umane sia materiali idonee, nonché una formazione professionale e continua del bibliotecario, affinché sia in grado di affrontare le sfide attuali e future».

SALUTISSIMI

Caro Tito, non ti sorprende, ad esempio, che la gloriosa Biblioteca Civica della Città di Cosenza sia chiusa orami da troppo tempo?… Per non parlare di quella di Badolato chiusa ad oltranza, nonostante il lavoro di parecchie persone per arricchirla e renderla fruibile e polivalente!… La stessa Biblioteca Calabrese di Soriano VV (che funge da Biblioteca Regionale Centrale) ha una “Via Crucis” che non sembra finire mai e che è a rischio chiusura come l’intero Sistema Bibliotecario Vibonese (vedi << https://www.quotidianodelsud.it/calabria/vibo-valentia/societa-e-cultura/pubblica-amministrazione/2024/02/28/vibo-il-comune-sfratta-il-sistema-bibliotecario >> (articolo pubblicato proprio stamani, mercoledì 28 febbraio 2024, link segnalatomi proprio dall’amico Gaetano Drosi). A fare un inventario o una indagine sullo stato della Cultura Calabrese, troveremmo una situazione quasi disastrosa, nonostante le trombe che taluni usano per autoglorificarsi. Se posso dire la mia (pure come ex bibliotecario, ma anche come giornalista) … la situazione è allarmante ed indegna di una regione e di un popolo come quello calabrese di antica progenie, quello che 3500 anni fa ha dato nome all’Italia.

E’ assai lungo il discorso sulla crisi permanente della Cultura Calabrese, nonostante talune “eccellenze”. In particolare, la Cultura Calabrese non riesce ancora (proprio perché sempre più depotenziata) e dissipare i luoghi comuni e i preconcetti negativi che il resto d’Italia ed alcuni Paesi esteri hanno nei confronti di noi calabresi fino a estendersi in veri e propri atti razzistici. Se la Calabria non realizzerà una vera e propria campagna di contro-cultura per contrastare le concezioni denigratorie e razzistiche, la Calabria resterà ancora e sempre l’ultima regione in Europa. Con tutte le conseguenze negative destinate ad impoverire ancora di più un territorio e un popolo che meriterebbe molto di più. Non possiamo essere la pecora nera del nostro continente… No, questo non possiamo più permettercelo. Grazie per pubblicare anche questa “Lettera n. 519” e grazie ancora e sempre ai nostri lettori. Un grazie particolare a Gaetano Drosi per questo suo prezioso contributo. Alla prossima “520”. Con tanta cordialità,

Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)