Gran brutta cosa, avere una buona memoria! E fu così che, leggendo dei premi Filangieri, e congratulandomi con i premiati, mi ricordo di quando, anni fa, Soriero e Drosi e altri andavano proclamando che la Regione Calabria, e per essa il Comune di Satriano, avrebbero iniziato e condotto a buon fine un lavoro culturale su Filangieri: manco a dirlo, zero assoluto -273, e vuoto torricelliano.
Filangieri Carlo, anche se, in spregio della cronologia, apprendo che un’associazione si chiama “Carlo e Gaetano”, mentre Gaetano era il padre di Carlo. Degnissima persona, ma che nulla ebbe a che spartire con Satriano e la Calabria in genere, e comunque morì nel 1788, molto tempo prima che il figlio Carlo divenisse, nel 1817, principe di Satriano, duca di Cardinale, barone di San Sostene e di Davoli… Avvenne per eredità del marito di una zia, l’ultimo dei Raveschieri; ed erano ormai solo titoli onorifici.
Ora dovrei raccontarvi un’altra storia buffa, quella del libro sui Ravaschieri edito a Genova; ma ce la conserviamo per la prossima.
Carlo ereditò poca roba a Satriano, e qualcosa in più a Cardinale: la Razzona, con un vasto bosco, e tra poco torneremo. Ebbe stretti rapporti con Cardinale, dove si recava ed ebbe amicizia con i miei avi Nisticò e Pelaggi, e con altri.
Secondo l’usanza, veniva chiamato Satriano: tipo Camillo Benso conte di Cavour; è anche citato, senza approfondimento, nel Gattopardo. Non è certo questo che lo rende significativo.
Come molti nobili e borghesi, Carlo militò negli eserciti dei Napoleonidi Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, partecipando alla battaglia di Austerlitz e alle altre guerre. Come quasi tutti, si adeguò, nel 1815, al compromesso della Convenzione di Casalanza del 1815 con Ferdinando di Borbone, che portò, l’anno dopo, al Regno unificato delle Due Sicilie.
Troviamo Filangieri nelle vicende turbinose della rivolta liberale di Guglielmo Pepe del 1820 e guerra contro l’Austria l’anno dopo.
Ritiratosi dalla politica, Carlo aprì a Razzona una ferriera privata, e si vuole che lì, e non a Mongiana, siano stati fusi i componenti di ferro del ponte sul Garigliano, primo d’Europa… e, come sempre succede dalle nostre parti, primo e ultimo del Meridione, a parte un altro sul Calore parecchio dopo. Fine dei ponti.
Nel 1849, Ferdinando II invia Filangieri a reprimere la rivolta della Sicilia. Ottenuto il risultato, e un altro titolo nominale, quello di duca di Taormina, Filangieri tentò la via della riconciliazione con i nobili siciliani, tenendo a Palermo una sorta di corte. Ferdinando II non lo sostenne, anzi lo maltrattò, e Filangieri spese del suo che non era molto, fino a dover vendere la Razzona ai Pelaggi.
Anche della Razzona dovrei dirvi a quanti sindaci di Cardinale ho affacciato proposte, ovviamente invano. Passiamo oltre.
Prossimo alla morte, che avverrà il 22 maggio 1859, e accortosi tardissimo di aver educato male il figlio ed erede, Ferdinando invocò Filangieri perché lo aiutasse e sostenesse. Divenuto presidente del Consiglio dei ministri, Carlo tentò alcuni atti come persino fare davvero le ferrovie che, alla data del 1860, erano di 99 km di ferro e migliaia di chilometri di chiacchiere e disegnini spacciati per progetti; e tentò un accordo con Torino, che, nel frattempo e nella più piatta passività del RDS, si era allargata a Milano, Parma, Modena, Bologna e Toscana. Si parlò di un’alleanza, e persino di un’intesa con Pio IX per la cessione a Torino dell’Umbria e a Napoli delle Marche… tutte cose troppo grandi per Francesco II, e che richiedevano troppa audacia.
Filangieri, che aveva le dimissioni facili, si dimise, e Francesco II, sempre incerto, non le accettò e non le respinse. Carlo lasciò l’Italia per Marsiglia, da dove tornò solo a cose fatte e finite.
Chissà se invece fosse rimasto, esautorando il re (io sogno una reggenza di Maria Sofia!), e assumendo il comando di quel che restava dell’esercito; quell’esercito che in Francia disegnavano così: soldato con testa di leone, ufficiale con testa d’asino, generale senza testa. Come la classe politica meridionale dal 1861 a oggi, con rarissime eccezioni.
Chissà se Filangieri avrebbe affrontato Garibaldi in campo aperto. Sarebbe stata una vera battaglia, scuola rivoluzionaria contro scuola napoleonica. E nemmeno si sa come sarebbe andata a finire.
Ecco, ora sapete, per sommi capi, chi era Carlo Filangieri. Si farò mai qualcosa per ricordarlo sul serio? Tranquilli, certo che no.
Ulderico Nisticò