Che l’uso degli estratti nutraceutici del bergamotto fosse in grado di disvelare proprietà terapeutiche utili per contrastare diversi disturbi metabolici connessi con lo stile di vita delle aree industrializzate, è un dato ormai consolidato nella letteratura scientifica internazionale ormai da anni.
Che, inoltre, quello che ormai viene da tutti considerato come “l’oro di Calabria”, il bergamotto, sia capace di produrre effetti benefici per la salute umana ed animale che vanno ben oltre la semplice azione di “ripulire” i nostri vasi dalle scorie dell’alimentazione ipercalorica che caratterizza, ormai, il nostro stile di vita è altresì una nozione che comincia a trovare riscontri sempre più autorevoli.
Meno chiare erano, allo stato, le informazioni che potessero documentare, in maniera autorevole, il beneficio che l’uso prolungato della frazione polifenolica del bergamotto sul cosiddetto “fegato grasso” (la cosiddetta steatosi epatica), che rappresenta una vera “epidemia” nel mondo occidentale interessando ormai fasce di popolazione, anche nella prima infanzia, rappresentate da diverse centinaia di milioni di persone.
È quanto si apprende dal recentissimo lavoro pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports dove è stato documentato, in maniera estremamente elegante, come la frazione polifenolica del bergamotto, ormai identificata a livello mondiale con l’acronimo BPF, sia in grado non solo di prevenire l’accumulo di grasso a livello epatico, ma anche lo sviluppo dello stato infiammatorio (NASH) che conduce alla fibrosi epatica, alla cirrosi ed, infine, al cancro del fegato.
Ciò è stato ottenuto dai ricercatori del gruppo del Prof. Vincenzo Mollace dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, in un modello di steato- patite non alcoolica che l’autorevole FDA ritiene come unico modello attendibile, a livello pre-clinico, per lo studio della steatosi epatica. «L’identificazione del meccanismo di azione molecolare del BPF nella steato-epatite non alcolica – ha affermato il Dr. Vincenzo Musolino, primo autore della pubblicazione sulla prestigiosa rivista internazionale – chiarisce molte delle informazioni da noi raccolte nel corso degli ultimi anni e che hanno avuto conferma nell’ambito di diverse collaborazioni internazionali che ci hanno dato accesso a modelli animali esclusivi di questa patologia, dati poi confermati da importanti sperimentazioni nell’uomo».
La ricerca, va sottolineato, ha messo a contatto i ricercatori calabresi con le massime autorità internazionali nel settore della NASH e che hanno preso parte alla sperimentazione, come il Prof. Arun Sanyal, dell’Università di Rochester, un vero “guru” di questo settore nel campo delle malattie epatiche, Ross Walker dell’Università di Sydney, James Ehrlich dell’Università di Denver e Pierre Bedossa dell’Università di Parigi.
«Questo importante lavoro, durato ben cinque anni – ha sottolineato il Prof. Mollace – valorizza in maniera decisiva un prodotto esclusivo della nostra Regione. Tra l’altro, quest’attività di ricerca ha avuto il pregio di avvicinare molti giovani ricercatori, che abbondano nel nostro Ateneo, ad esperti di fama mondiale in questo settore, segnandone un insostituibile momento di crescita culturale e professionale».
Le ulteriori ricerche in corso, assicurano i ricercatori calabresi, lasciano intuire ulteriori ed importanti sviluppi sull’impiego dell’estratto di bergamotto, con scenari confortanti per lo sviluppo di un settore in espansione, e capaci pertanto di determinare importanti ricadute socio-economiche sull’intera filiera del bergamotto.