Titono era il mitico marito dell’Aurora, la quale, molto innamorata del bellissimo giovane, ottenne per lui l’immortalità, dimenticandosi però di chiedere a Giove anche l’eterna giovinezza: perciò il povero Titono non la finiva più di invecchiare. Ridotto alla fine ad una larva umana, voleva assolutamente morire; ma, pur chiedendo a destra ed a manca la “dolce morte” che lo liberasse dal suo stato vergognoso di essere informe ed inutile, l’ex “bellone” era costretto a vivere. Cosa accadrebbe, oggigiorno, se la scienza medica riuscisse a tenere il nostro corpo “vivo” ma non giovane e quindi non più in grado di condurre una vita normale? Che succederebbe se la Morte, “capro espiatorio e madre di tutte le paure”, improvvisamente si stancasse di “lavorare” e riponesse la falce e non volesse più il suo obolo umano quotidiano? Se la Morte, insomma, si stufasse di essere biasimata e maltrattata da tutti, accusata di essere una falsa consolatrice, fatta segno ad ogni improperio, odiata e disprezzata per il suo letale “mestiere”, e si mettesse per questo motivo in sciopero, lasciando vivere tutti? All’inizio, sicuramente tutto il genere umano sarebbe felice e contento, e festeggerebbe a lungo la raggiunta eternità. Dopo qualche anno, tuttavia, il più grande sogno dell’umanità, ossia la possibilità di essere simile agli dei immortali, apparirebbe nelle sue dimensioni sociali come il più terrificante degli incubi, e l’euforia iniziale lascerebbe il posto al caos più totale, dando la stura ad una serie di tragedie sociali. La prima istituzione a collassare sarebbe proprio la sanità. Non essendoci più, infatti, il naturale alternarsi della vita e della morte, entrerebbe subito in crisi il sistema previdenziale per le conseguenti grosse difficoltà economiche cui andrebbe fatalmente incontro, stante il gran numero d’assistiti. Gli ospedali sarebbero strapieni di malati; le assicurazioni sulla vita tracollerebbero; le case di riposo, i vecchi ospizi, chiuderebbero tutti; le agenzie di pompe funebri dovrebbero chiedere finanziamenti governativi per una riconversione industriale. Per farla breve, il mondo del lavoro subirebbe una repentina ondata di disoccupazione e segnerebbe altre decine di migliaia di cittadini senza lavoro. Un grosso problema etico e politico, poi, sarebbe la gestione della complessa “macchina” economica-sociale che ruota attorno alla donazione degli organi e dei relativi trapianti. Come e chi sarebbe più in grado di diagnosticare la famigerata morte cerebrale che di fatto autorizza l’espianto? E in ogni caso, se nessuno potesse morire, e quindi venendo a mancare la necessità di operare trapianti, difficilmente si potrebbe giustificare l’accanimento terapeutico; o si potrebbero effettuare ugualmente espianto e trapianti da individui col cervello distrutto (ma vivi, giacché la morte é in sciopero) solo per consentire ad altre persone (col cuore o i reni tanto malmessi –ad esempio- che non gli consentono neppure di fare due passi) di avere una vita regolare e normale? A quel punto, sarebbe necessaria una legge che consentisse ugualmente i trapianti, anche in mancanza di pericolo di vita e scavalcando così la necessità -sine qua non- della morte per la donazione; allora, tuttavia, sarebbe chiaro che quello dei trapianti nasconde uno dei più grossi businnes dei nostri giorni, sotto l’apparente veste della carità e dell’amore per il prossimo. Sarebbe manifesto alla gente che all’ombra di tutto c’è un commercio mondiale d’organi umani, in cui sarebbero implicati organizzazioni criminali, partiti politici, sette varie, tutti collaterali a luminari della scienza medica. Ma anche la Chiesa e gli atei avrebbero molto da ridire alla Nera Signora dichiaratasi scioperante perché senza di lei la prima non potrebbe predicare la realizzazione del regno di Dio, non potrebbe affermare la Vita eterna e la resurrezione dei corpi, con la premiazione dei buoni e la condanna al fuoco eterno dei cattivi. Gli altri, ovvero gli atei, non avrebbero il motivo del contendere il monopolio della morte alla religione, pur rimanendo del parere che essa ed il suo culto appartenga anche a loro, in quanto parte inscindibile della vita, e al senso che gli uomini le danno. Essere per morire, diceva Heidegger. Sono, ovviamente, considerazioni per absurdum tratte dall’ultimo romanzo del premio nobel portoghese José Saramago. L’immortalità è solo un mito per l’uomo, e la Morte non è iscritta alla Triplice sindacale perché possa scendere in sciopero. L’unica realtà è la crisi perenne della nostra sanità che troppo spesso facilita il compito alla nera Atropo.
Adriano V. Pirillo