Caro Tito, sai bene come e quanto mi stia battendo da sempre per la salvezza dei borghi spopolati, specialmente dal 07 ottobre 1986 quando ho lanciato quell’ SOS “Badolato paese in vendita in Calabria” che ha fatto clamore in tanta parte del mondo e che ha contribuito a salvare, seppure minimamente, il millenario borgo persino dal disfacimento fisico delle sue case oltre che antropologico dei suoi preziosi significati etici e di civiltà. Ebbene, da allora sono stato sempre più attento alla sofferenza e all’agonia delle piccole comunità non soltanto italiane ma anche estere, dal momento che il problema è ormai sempre più globale e irrisolvibile se non si giunge al riequilibrio tra uomo e natura, nella sostenibilità, eliminando gli eccessi assassini tra centro e periferie delle Nazioni.
Infatti, la cattiva globalizzazione ha costretto i borghi e le cittadine dei territori periferici a fare i conti con il loro sempre più grave spopolamento e con il rischio di estinzione mentre le città e le metropoli, al contrario, sono alle prese con problemi di sovraffollamento e di invivibilità. Le città scoppiano e i borghi muoiono. Ci vorrebbe un minimo di riequilibrio e di sostenibilità. Ma per il momento non si intravede alcuna via d’uscita. Anzi, i “totem” industriali persistono fino allo spasimo schiavizzando persone e popoli. Però c’è chi reagisce, seppure nel suo piccolo. Qui di séguito ti presento tre esempi di borghi in forte sofferenza, per la cui salvezza si sono mobilitate le donne: Trivento (CB), Maranzana (Asti) e Poggio Sannita (Isernia). Quasi sicuramente ci sono tante altre piccole comunità che vedono impegnate non soltanto le donne, ma tutti i cittadini, nello scongiurare la fine delle loro realtà ultrasecolari o addirittura millenarie.
Le iniziative portate avanti dalle donne di questi tre borghi del centro-nord Italia hanno in comune il desiderio di stupire e (attraverso lo stupore e il clamore mediatico) esprimono la chiara volontà di suscitare interesse (anche istituzionale) sul proprio spopolamento più in generale e in particolare attrarre turismo … un turismo per non sentirsi troppo soli e abbandonati.
Sono piccole rivoluzioni, dettate principalmente dal dolore di vedere le proprie comunità perdersi sempre più. Un grido di allarme, una chiamata di soccorso, un gesto di dignità estrema … da non sottovalutare, poiché in gioco c’è la morte di una civiltà etica ed armoniosa (contadina ed artigiana) che ha retto per tanti secoli e che adesso viene spazzata via, sacrificata sull’altare del Dio Denaro e dello scontro tra Potenze planetarie (come sta ampiamente dimostrando l’immane guerra in Ucraina, una nazione che è rasa al suolo dall’insaziabile imperialismo ideologico ed economico).
1 – LE DONNE DI TRIVENTO
Verso i primi del mese di dicembre del 2018 dal borgo antico di Trivento giunse la bella notizia, diffusa dai media locali e nazionali, che parecchie donne (in verità, quasi tutte e di ogni età) avevano realizzato all’uncinetto un grande albero di Natale. Ufficialmente per attrarre attenzione e turismo in questo antico, importante ma ormai desolato paese montano del Molise, in provincia di Campobasso al confine con l’Abruzzo della provincia di Chieti, dominante la vallata del fiume Trigno. Nonostante sia ancora sede di una delle prime diocesi della cristianità, nonostante una piccola zona artigianale ed un territorio dalla cospicua agricoltura, Trivento si svuota sempre più. Inesorabilmente, come tutte le aree interne del sud come del nord Italia e di quel mondo marginalizzato, devitalizzato e reso insignificante.
Nel giorno dell’Immacolata (8 dicembre) del 2018 mia moglie ed io siamo andati a vedere da vicino questo originalissimo albero di Natale (alto circa sei metri, con un diametro alla base di circa 3,5), formato da oltre 1300 piccoli quadratini dai colori e dai disegni più belli e svariati, fatti all’uncinetto. Davvero magnifico e di grande effetto. E, a misurare l’effetto che faceva tale Opera su noi visitatori, c’erano lì vicino alcune donne, tra cui l’ideatrice Lucia Santorelli, e lo stesso sindaco. Convinto per esperienza che la notorietà non debba essere fine a sé stessa, non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di chiedere non soltanto il come ed il perché di tale originale iniziativa (anche se era facilmente intuibile), ma anche si sollecitare donne e sindaco a portare le istanze di tutti i borghi spopolati nelle sedi istituzionali (dalla Regione al Parlamento Europeo) approfittando del vasto clamore suscitato da questa loro “trovata”. Tale mia sollecitazione non ha avuto alcuna considerazione né séguito, mentre invece l’albero di Natale all’uncinetto è stato imitato in varie parti d’Italia e del mondo con sempre più crescente successo e ammirazione. Peccato, un’altra occasione persa per le aree interne che avrebbero potuto approfittare di tale popolarità, diffusione e risonanza mediatica per far sentire le proprie istanze contro lo spopolamento.
Qualche mese prima, nel luglio 2018, le stesse donne di Trivento (con la guida della stessa Lucia Santorelli) avevano prodotto un altro notevole lavoro all’uncinetto: un tappeto lungo ben 640 metri, esibito sulla suggestiva scalinata del paese, attraendo molti visitatori e suscitando l’ammirazione dei “social” di tutto il mondo. Personalmente, ho sentito al telegiornale regionale tale notizia, ma, per un motivo o per un altro, non avevo avuto modo di recarmi da Agnone a Trivento (38 km) per ammirare tale splendida opera che sarà costata chissà quanto lavoro, sacrifici e anche denaro. Ma, per farti capire meglio di cosa si è trattato, ti trascrivo la nota dell’ANSA (agenzia nazionale stampa associata) del 13 luglio 2018.
(ANSA) – TRIVENTO (CAMPOBASSO), 13 LUG – Si candida al ‘Guinness World Record’, ma un grande risultato lo ha già ottenuto: è il ‘Tappeto a uncinetto più lungo del mondo’, realizzato da un gruppo di donne di Trivento, guidate da Lucia Santorelli, alle quali si sono aggiunte 800 persone da tutto il mondo invitate tramite social network. I lavori sono arrivati dall’Italia, da Messico, Croazia e Albania.
I proventi della vendita delle circa 600 piastrelle, un metro quadro ciascuna, saranno devoluti all’Associazione ‘Famiglie Sma’ Onlus che sostiene le famiglie di bimbi affetti da Atrofia muscolare spinale. La Pro Loco Terventum e la Città di Trivento hanno dedicato la giornata del 29 luglio all’esposizione del tappeto, dalla monumentale scalinata di San Nicola alla piazza della Cattedrale, attraverso i vicoli del centro storico. In questa occasione a Trivento si potranno visitare i siti di interesse storico-culturale quali la Cripta di San Casto, il Museo Diocesano di Arte Sacra, la Cattedrale, il Museo Civico di Casa Florio. (ANSA).
2 – LE DONNE DI MARANZANA
Caro Tito, Maranzana è un piccolo e grazioso Comune della provincia di Asti (adesso 250 abitanti circa dai 1244 massimo storico nel 1911), in Piemonte, assai noto perché dal 2016 è “il paese dei babàci”. Babàci, nella lingua locale, significa “pupazzi”. Su internet troverai parecchi scritti su questi “babàci” per come li ha inventati Marilena Ciravegna (classe 1939, sindaca di questa comunità fino a poco tempo fa) e per come li hanno realizzati le donne di Maranzana. Con la signora Marilena sono stato al telefono dalle ore 20.10 di martedì 02 maggio 2023 per 35 minuti e 21 secondi per saperne di più. Una conversazione molto piacevole al ritmo della simpatia di questa donna di 84 anni che non conosco di persona, ma che spero possa scendere in Alto Molise per vedere da vicino i “babàci” di Poggio Sannita, ispirati a quelli suoi da Maria Porrone e Fausta Mancini di cui dirò più avanti, al seguente paragrafo 3. Speriamo che le due comunità, Maranzana e Poggio Sannita, possano giungere ad un gemellaggio (almeno ideale ed operativo) che rilanci entrambe, specialmente quando l’attenzione mediatica andrà scemando. Il gemellaggio dei babàci. Sarebbe, infatti, bello ed interessante vedere come i due borghi si raccontano attraverso la rappresentazione “presepiale” che sa tanto di “archeologia” come testimonianza e celebrazione del mondo che fu.
Come prima spinta e alla base di mettere in ogni angolo del borgo questi babàci, in scene tipiche di paese, è stata la constatazione del progressivo spopolamento. Mettere babàci-pupazzi al posto delle persone che mancano è stata un’idea geniale che può venire soltanto a chi ama la propria comunità sofferente, come lo è stato per me, nel 1986, quella del “paese in vendita” per salvare Badolato persino dallo sgretolamento fisico delle case. Potrebbe apparire una provocazione, ma è soltanto un semplice ed onesto grido di aiuto a non far sparire quell’Italia cosiddetta minore e periferica che (fin dall’alto medioevo) ha dimostrato di resistere per mille e più anni e che è alla base delle “città d’arte” e del buon vivere, senza le frenesie dei miraggi modernisti che chissà dove ci porteranno, forse ad un altro tipo di umanità, quasi sicuramente anonima e meccanocratica (non necessariamente migliore).
Così, attorno a questa idea di ripopolamento del borgo di Maranzana con il posizionamento dei babàci quasi a grandezza naturale in scene di vita quotidiana, si sono aggregate alcune donne suddividendosi i compiti. Bisognava confezionare questi manichini nelle varie forme in modo tale da renderli “cittadini” a tutti gli effetti ed affetti. Rosalba Boccaccio è la coordinatrice del progetto, una vera e propria scenografa, e costruisce i babàci; mentre Marilena Ciravegna (l’ideatrice) disegna i volti e dà loro anima ed espressione di vita e, a volte, di sogno, sicuramente di speranza. Le altre donne danno una mano per tutto il resto. In pratica c’è una sartoria-laboratorio che funge pure da restauro oltre che da confezionamento dei personaggi che poi vanno a popolare il borgo negli angoli più emblematici o impensati (segui << https://www.facebook.com/nonsolomaranzana/ >>).
Così, dai primi 36 personaggi del 2016, i babàci sono poi diventati 80 fino ai 170 di questo 2023. Con una caratteristica: prendono vita soltanto nella bella stagione, poiché altrimenti tutti questi personaggi vengono messi in un apposito deposito affinché le intemperie invernali non li danneggi. Invece – come vedremo – i babàci di Poggio Sannita restano fuori pure d’inverno, con un immancabile deterioramento che avrebbe necessità di un ritocco stagionale. Maranzana e Poggio Sannita sono entrambi territori climaticamente montani o comunque interni e spesso attorniati o coperti da neve: l’uno a 272 metri sul livello del mare e l’altro a 700 metri.
A dare una grossa mano c’è Barbara Pastorino, presidente della Cantina sociale del paese (dove si produce un ottimo vino) e figlia di Rosalba Boccaccio, la factotum. Ma chi finanzia tutta questa originale operazione di ripopolamento del borgo?… Un po’ tutti in paese, ma il maggior peso economico e operativo è di Rosalba (80 anni). Ma poi c’è Monica con il marito, Franca, Giovanna, ecc. quasi tutte anziane. Dal 2016 non si contano i soldi impiegati per la preparazione e la gestione dei babàci. In cambio c’è l’enorme soddisfazione di aver messo Maranzana al centro dell’attenzione soprattutto mediatica; il che ha fatto arrivare finora in questo borgo una marea di curiosi e di turisti che amano farsi fotografare accanto ai babàci. Insomma, questi “nuovi abitanti” muti e di pezza (ma molto simpatici ed espressivi) hanno dato una spinta anche socio-economica a questa parte di Monferrato che, nonostante la bellezza del luogo, soffre della malattia del secolo: lo spopolamento causato dai miraggi della cattiva globalizzazione.
Nella telefonata con l’ex-sindaca Ciravegna, non poteva mancare un accenno alle “Calabrotte” cioè a quelle donne calabresi che (negli anni 1950 – 60 e 70) hanno sposato contadini ed allevatori del Piemonte, specialmente delle Langhe e del Monferrato. Ne abbiamo scritto ampiamente nel corso del 2022 (dopo le serie televisiva de “la Sposa” di Rai Uno a gennaio). Vengono fuori nomi come Grazia (che adesso non c’è più) o Teresa Guarnaccia di Reggio Calabria (con la quale ho avuto una interessante conversazione telefonica il 6 maggio scorso alle ore 11.55) e qualche altra meridionale. Ho detto alla signora Ciravegna di un mio cugino badolatese che, arrivato come operaio nelle vigne dell’astigiano, adesso è diventato imprenditore del vino. Mi verrebbe da dire che queste terre piemontesi si popolano adesso di babàci, nonostante il primo spopolamento di questi territori sia stato “tamponato” dalle immigrazioni provenienti dal nostro meridione italiano. Un’ultima considerazione: Marilena Ciravegna mi dice che, oltre a Poggio Sannita (che ha ripreso a pieno l’uso dei babaci), c’è in Sardegna qualche imitatore occasionale ed isolato. Personalmente ritengo che quella dei babàci possa essere imitata anche altrove, nonostante sia un impegno costoso sia in termini economici che nella gestione di questa nuova “popolazione” che, sebbene silenziosamente, vanta diritti di esistenza dignitosa … essendo “cittadini” a tutti gli effetti ed affetti (leggi in << https://www.ilpiccolo.net/massimo-usai/2023/04/17/news/l-incontro-con-i-babaci-per-le-vie-di-maranzana-151578/ >>) oppure << https://www.youtube.com/watch?v=9ANpfVzdPwo >> (sei minuti), ma anche << https://www.percorsimonferrato.com/maranzana-il-paese-dei-babaci/ >>. Chissà se i babàci eleggeranno, prima o poi, il proprio sindaco sia a Maranzana che a Poggio Sannita?!…
3 – LE DONNE DI POGGIO SANNITA
Solitamente, per scendere giù verso la costa adriatica di Vasto – San Salvo – Termoli, da Agnone e dalle montagne dell’Alto Molise si passa pure per Poggio Sannita, un borgo medievale che adesso conta 568 abitanti, mentre cinque anni fa, nel 2017, ne erano 660 (e fino al 1991 ne contava 1217 dopo aver raggiunto il massimo storico di 2907 nel 1871 con tutte le case sparse nella vasta campagna). Ultimamente ogni anno questo Comune perde in media venti residenti. Ma, come osserva qualcuno, oggi 568 sono soltanto le persone formalmente iscritte all’anagrafe, però coloro che ci vivono sono ancora meno poiché molti studiano o lavorano altrove e tornano solo per Natale e per le vacanze estive, ormai nemmeno più a Pasqua.
Per esorcizzare tutto questo doloroso spopolamento, per avere almeno memoria pure di antichi mestieri e delle precedenti generazioni, per dare visibilità ad un paese ricco di tradizioni e di poeti (e così attrarre turisti e visitatori) … due belle e intraprendenti signore (pensionate e di una certa età) Fausta Mancini e Maria Porrone, ispirandosi ai babàci di Maranzana (descritti sopra al paragrafo 2) hanno cominciato a popolare decine e decine di angoli del borgo (per lo più appartenenti a proprietà private) con scene tipiche della civiltà contadina. I babàci di Poggio Sannita sono leggermente più piccoli, come dimensione, rispetto a quelli di Maranzana, ma non meno efficaci. Il sindaco Pino Orlando è stato il primo ad essere contento di questa realizzazione, fatta ad opera e a spese delle brave signore, utilizzando prevalentemente materiali di riciclo, soprattutto tessili. Come quelli di Maranzana, i babàci di Poggio Sannita hanno attratto tantissimi curiosi ed hanno avuto l’attenzione dei mass-media locali, regionali e nazionali (tra cui Rainwes24, persino Voyager di Roberto Giacobbo e di altri video-viaggiatori). Ne hanno scritto pure poeti come Guido Mancini, mentre sono stati i protagonisti nei “Social” (specialmente di “Facebook”). Vedi ad esempio << https://www.youtube.com/watch?v=Ul0Owt3F9xc >> e << https://www.facebook.com/ibabacidipoggiosannita/ >>.
Maria Porrone e Fausta Mancini stravedono per il proprio paese; a tal punto da realizzare altre iniziative come la Notte Santa (Presepe Vivente), il “Carnevale” o “Il borgo in fiore” o la “Via Crucis” e quella più recente della “Festa della Primavera” che ha avuto luogo meravigliosamente nel pomeriggio dell’appena trascorsa domenica 23 aprile e che, per i contenuti ed i riferimenti, potrebbe essere un’altra validissima attrazione turistico-culturale, specialmente se legata ai riti primaverili presenti nella Tavola Osca di Agnone (raro documento bronzeo sannita) e nel mito di Proserpina. Con vera soddisfazione e con intimo orgoglio il duo Mancini-Porrone mi hanno pure detto del primo premio ottenuto a Pietrabbondante (Isernia) nella sfilata dei costumi d’epoca del 03 agosto 2018 quando, unici tra tanti concorrenti, hanno presentato costumi originali antichi di ben tre generazioni. Insomma, queste stupende signore sono delle vere e proprie “animatrici socio-culturali” e cercano di tenere su il morale della comunità. Tutto volontariato. Tutto a proprie spese, pur di strappare alla depressione un territorio.
Poggio può contare pure su altri utili e attivi personaggi (come il poeta Tiberio La Rocca, nonostante sia residente a Subiaco – RM) che cercano di animare e rianimare in tanti modi la comunità nel respiro culturale e nella “significanza” territoriale. Ogni evento prodotto da chiunque possa agire serve per dire “Ancora esistiamo”. Ogni iniziativa è una espressione di “esistenza in vita”. Persino un semplice articolo sull’unico quotidiano cartaceo rimasto in regione (Primo Piano Molise) o due righe ottenute in qualche emittente televisiva locale servono ad attestare la vitalità minima di questo borgo che vanta in passato personaggi famosi pure a livelli nazionali. E ci sono il coraggio e la scommessa del sindaco Pino Orlando il quale (fra due settimane, il 22 maggio 2023) inaugurerà una piccola biblioteca comunale, in collaborazione con il SAI gestito dalla cooperativa MediHospes, il locale Comitato civico, sperando che funga da utile centro di aggregazione e di inclusione. Contribuirò pure io con libri, idee e comunicazione sociale, come già dimostrato in altre occasioni.
Insomma, a Poggio Sannita (famoso per il vino e l’olio d’oliva sempre biologici) si cerca di non fare morire il paese e, in particolare, taluni si impegnano nella rappresentazione annuale della mietitura e della trebbiatura; mentre Giovanni Battista, in contrada Mucchi (distante alcuni chilometri dal borgo), fa da guida a curiosi, turisti e scolaresche nel suo personale museo delle macchine e degli attrezzi agricoli. Il Molise “che non esiste” ha dimostrato di esistere e di sapersi esprimere alla grande pure con i babàci di Poggio Sannita. Non mancano però le difficoltà. I bàbaci sono aumentati ad oltre cento esemplari, restano fuori al sole estivo, al gelo e alle intemperie anche d’inverno e quindi, avrebbero bisogno di maggiore manutenzione rispetto a quelli di Maranzana che (esibiti soltanto da maggio a settembre) con la cattiva stagione vengono custoditi e salvaguardati in appositi locali al chiuso. Le due signore, Fausta e Maria, si chiedono fino a quando possono mantenere il ritmo di questi spettacolari babàci, i quali sembrano chiedere aiuto. Aiuto di sopravvivenza proprio come i borghi d’Italia, d’Europa, del Mediterraneo e del mondo intero. Sembra una battaglia persa. Ma le donne di Trivento, di Maranzana, di Poggio Sannita (e di tanti altri borghi) non si arrendono e rappresentano quella “nuova Resistenza” socio-culturale che, a proprie spese, portano avanti (spesso nel disinteresse dei più e delle istituzioni), mentre i vantaggi sono davvero “comuni” e condiviso o, almeno, goduti da pochi che sono resti a collaborare.
Caro Tito, pure per i babàci di Poggio Sannita (così come per Maranzana e l’uncinetto di Trivento) potrai trovare numerosi riferimenti giornalistici, video e foto su internet, come ad esempio << https://www.turismoinmolise.com/babaci-poggio-sannita/ >> oppure << https://www.youtube.com/watch?v=aDoM2zDwJag >> (TGR Molise RAI) o anche << https://www.youtube.com/watch?v=FxzUq1i_MLU >> (5 minuti – Wallace). Tutte queste donne che si impegnano per la propria comunità vanno incoraggiate, sia come supporto tecnico-logistico e sia possibilmente pure con contributi economici poiché le spese da loro sostenute sono notevoli. Ma il contributo che non ci costa niente è il “passa-parola” affinché si sappiano le motivazioni di queste notevoli “imprese sociali femminili” che vanno sostenute pure con il turismo e gli apprezzamenti, dal momento che il lavoro e l’impegno sono davvero tanti, così come la passione civile e l’amore per il proprio paese.
4 – LA POESIA DI GUIDO MANCINI SUI BABACI
Poggio Sannita è un paese di Poeti. Tra loro c’è il veterano Guido Mancini (classe 1945) il quale sta già preparando la sua quarta raccolta che dovrebbe andare in stampa nella primavera 2024. Pure Lui racconta la comunità poggese, come la raccontano i babàci, nei suoi aspetti più tipici, epici ed etici. In pratica è uno storico o un memorialista in versi. Non poteva mancare la sua penna pure per i babàci (avvenimento speciale per Poggio Sannita) . Così ha scritto la seguente poesia, declamata tempo fa pure al microfono di Telemolise ( https://www.youtube.com/watch?v=Ul0Owt3F9xc – Viaggio in Molise – Puntata n. 7558 – 11 minuti) . La trascrivo qui di sèguito, evidenziandone sùbito la premessa di presentazione: “Ci son donne fantasiose che con i babàci fan sentire la loro voce: questo paese sta per morire! Basta chiacchiere, è ora di agire”. Sembra essere un appello per tutti coloro che fra quasi due mesi (partiti, candidati e cittadini) affronteranno le imminenti Elezioni Regionali del Molise del 25 e 26 giugno 2023. Ma ecco i suoi accorati e struggenti versi …
<< NASCONO I BABACI – Ma che bella idea geniale / è stata quella di collocare, / per il paese, dei pupazzi / sui balconi e sui terrazzi. // Di lì un tempo i bambini / eran coi nonni nei giardini, / ora spogli e abbandonati, / pieni d’erba, come prati. // Le geniali Fausta e Maria / con l’estrosa lor fantasia / per il paese han realizzato / scene di vita del passato. // E’ quel genio femminile / che si ingegna a far capire: / – sto paese sta a languire! / Che aspettate a intervenire? // La natura ci è pur propizia, con il bel clima ci delizia, / ma per il resto c’è da dire / che nessun ci vuol sentire. // Ridotti ci hanno i servizi / per sostenere i loro sfizi / e tartassati siam di tasse / per vitalizi e portaborse. // Poggio non si può andare, / è giunta l’ora di cambiare; / per inettitudine e mal agire / andremo a farci benedire. // Solo i Babàci e nostalgia / vi resteran per compagnia, / e i politici, senza affanno, / il bel vitalizio si godranno. >>
5 – LA RIVOLUZIONE TESSILE FEMMINILE ED ETICO-MATERNA
Caro Tito, se pensiamo al tessile (come quello usato per realizzare i babàci), è spontaneo pensare alle donne come prime protagoniste. E’ stato quasi sempre una esclusività o un àmbito femminile la tessitura, il confezionamento dei vestiti, il miglior abbigliamento nella grazia del portamento e dello stile. Spesso della vanità. A volte nella rivoluzione dei costumi e della morale. Le donne sempre un passo avanti, bisogna ammettere! … E la sartoria, benché condivisa con i maschietti e comunque la si voglia coniugare, resta pur sempre una pazienza, una cura dei particolari ed un’arte minuziosa prevalentemente femminile. Quasi un cesellare d’artista. Così come la moda, il trucco, l’estetica. Sono il tocco, la fantasia, la lungimiranza, la seduzione e le movenze femminili che fanno poi la differenza. Ma c’è qualcosa in più, a mio modesto parere. Ne ho avuto conferma quando ho chiesto, quasi provocatoriamente, a Fausta Mancini e a Maria Porrone, quasi a bruciapelo, facendo l’avvocato del diavolo: “Ma chi ve lo fa fare?” (visto e considerato che l’impegno e la solitudine in tale impresa sociale sembrano essere e in effetti sono maggiori delle proprie forze, pure nel gestire un simile fenomeno, specialmente se provoca così tanto clamore ed interesse che potrebbe sfuggire di mano).
Fausta e Maria, candidamente, mi hanno risposto che lo fanno per amore del proprio paese. E quando si fa una cosa per amore (quasi materno) solitamente si è dotati di una forza sovrumana. Concordo con Loro, poiché ne so qualcosa da me stesso per il mio di paese, travolto e stravolto dallo spopolamento. Da sempre e anche adesso che ne sono lontano dal 1988 … quasi 700 km ma sempre vicino nel cuore. E per amore si cerca di fare il possibile e l’impossibile. C’è qualcosa di altamente etico e di salvifico in ciò che fanno le donne di Trivento, di Maranzana, di Poggio Sannita e di tanti altri luoghi in grande sofferenza, sotto la mannaia e le ingiustizie di politici locali, di governi e di globalizzazione. Leggiamo o ascoltiamo spesso che “il mondo verrà salvato dalle donne”. Può essere che ci sia una piccola dimostrazione già in questi paesi dove sono le donne che portano avanti il discorso di una minima rivitalizzazione o rianimazione. Mentre gli uomini sono facili a fare la valigia e a partire, le donne sentono maggiormente le radici genitoriali e le fondamenta delle proprie case. Così come, purtroppo, sono i maschietti che sono più facilmente portati a fare la guerra, sacrificando i propri figli, che le mamme non cederebbero mai alla carneficina. Ma le donne, specie se mamme, non sempre riescono a fermare le guerre, il martirio dei propri figli. E non è detto che riusciranno ad evitare la morte dei borghi. Però bisogna tentare con tutte le esigue forze! E questa mia “Lettera n. 466” intende essere un forte incoraggiamento a fare il possibile e l’impossibile per salvare il salvabile della propria identità.
6 – LA BATTUTA DI ANDREOTTI SUL TESSILE
A proposito di rivoluzione tessile, pare che sia stata Eva, per prima, a mettersi la foglia di fico sulla sua tenera natura nuda, porgendone una ad Adamo, così come prima gli aveva offerto la mela del peccato (o forse dell’intelligenza e, in particolare, dell’intelligenza del cuore). Nel 1990 (quando in Agnone collaboravo con il mensile “L’Eco dell’Alto Molise” e ne curavo un inserto per la “Università del Riequilibrio”) ho indetto un concorso nazionale per sapere cosa si siano detti Adamo ed Eva appena si trovarono improvvisamente nudi. Tra gli altri, mi ha risposto per iscritto l’allora Presidente del Consiglio, on.le Giulio Andreotti (1919-2013), con il suo spirito sempre sagàce ed ironico: “Hanno parlato della crisi dell’industria tessile”. La cosa che più mi ha meravigliato non è stata tanto la frase argùta, quando il contesto temporale in cui l’ha scritta con la penna stilografica a inchiostro blu (come mi ha poi confidato la sua segretaria cui aveva affidato il messaggio autografo da farmi pervenire). In pratica, Andreotti dal 01 luglio al 31 dicembre 1990 ricopriva per turno semestrale pure le funzioni di Presidente del Consiglio Europeo. Ebbene, quella frase è stata scritta dal Presidente Andreotti proprio qualche minuto prima di ricevere a Palazzo Chigi tutti i Capi di Stato e di Governo dell’Europa. Ciò la dice lunga sulla capacità di questo uomo di essere stato attento persino ad una semplice richiesta proveniente dalla estrema periferia della Repubblica. Ne fui davvero assai lieto, specialmente per la bella e preziosa sorpresa. Solitamente i Grandi nemmeno leggono le lettere inviate Loro dai comuni cittadini, ci pensano le segreterie a cestinarle. Invece Andreotti era attento pure alle più estreme e sconosciute periferie. Ne do un altro emblematico esempio.
Infatti, l’on.le Andreotti mantenne per alcuni mesi una corrispondenza epistolare autografa con un mio nipote, il quale (allora ventenne e studente universitario) aveva intenzione di intraprendere la carriera politica. Seguendo il proverbio che è meglio andare alla sorgente delle cose, ho suggerito a questo giovanissimo nipote di rivolgersi direttamente, quale Maestro di politica, ad un grande come Andreotti, il quale ha risposto alle sue lettere, non soltanto con puntualità, ma addirittura per quasi un anno. Penso che ad interrompere tale corrispondenza fosse stato proprio questo mio nipote, il quale, a quel punto avrebbe potuto e dovuto presentarsi di persona ad Andreotti, del quale sarebbe sicuramente diventato “discepolo”. “Vai cui megghyu toi e fanci i spisi” (vai con chi è meglio di te e passagli pure le spese) si dice al mio paese. Ma non sempre si riconoscono i miracoli o le semplici opportunità.
7 – E LE DONNE DI BADOLATO ?
A questo punto, è spontaneo fare riferimento pure alle donne di Badolato, alle poche o alle tante che si occupano e si preoccupano di fare la propria parte per rivitalizzare i due paesi di cui è composto il Comune (Badolato borgo e Badolato Marina). Un pensiero di riconoscenza e di gratitudine può e deve andare innanzitutto a Luisetta Caporale (classe 1939 come la ex sindaca di Maranzana, Marilena Cirivegna) che da sempre (cioè almeno dagli anni sessanta) è la maggiore animatrice della nostra comunità, specialmente delle giovani generazioni dai più piccoli ai più grandi. E’ stata “animatrice e pedagogista parrocchiale” e continua ad esserlo ancora adesso a 84 anni nei limiti delle forze e dell’età. Ma è anche scrittrice e memorialista di comunità. Tra le nuove generazioni che si danno da fare, c’è la nipote Myriam Rovito, la quale (con i propri figli e con l’associazione culturale Nicola Caporale, di cui è Presidente, dedicata a suo nonno scrittore ed artista 1906-1994), si occupa e si preoccupa di produrre iniziative di valorizzazione pure di Badolato borgo (concorsi di pittura e, in particolare, il presepe vivente che, intitolato “Badolato è culla per te”, nella seconda edizione del 26-27 dicembre 2022 ha richiamato da ogni dove circa tremila visitatori). E poi c’è la brillante Josephine Caroti con il festival polispecialistico “Insegui l’arte” che fa di Badolato una “Spoleto del mare”. Da qualche anno si sta cimentando molto bene pure l’insegnante Anna Maria Laganà, presidente della “Associazione Antonio Gesualdo storico” che ha sede proprio al borgo e che finora ha prodotto eventi davvero di grande impatto ed efficacia socio-culturale. Brilla tra tutte la signora (ormai anziana) Rosa Lentini, la quale è stata il punto di riferimento simpatico, sorridente e privilegiato per neo-badolatesi, turisti, giornalisti, troupe televisive, memoria e custode delle migliori tradizioni etiche ed umanistiche del borgo, che adesso assiste ad un forte ricambio generazionale nella cura della sua immagine e della sua essenza (di cui è protagonista Guerino Nisticò nuovo punto di riferimento, ma anche Sonia Simpatico una giovane svizzera che ama abitare tra le case medievali rendendosi utile alla loro valorizzazione).
Ma ci sono pure i neo-badolatesi (cioè quelli che, provenienti dal resto d’Italia e dall’estero vivono al borgo antico come Sonia) ad essere diventati protagonisti nella rivitalizzazione e nella manutenzione del borgo antico. In particolare le donne come Imelda Bonato (regista veneta che dal 1999 ha girato, prodotto e diffuso numerosi video-documentari su Badolato e dintorni), come la statunitense Catherine Rosinski la quale si occupa a proprie spese della cura del verde pubblico e di una colonia di gatti… oppure come le sorelle genovesi Clara e Anna Giannuzzi che si sono impegnate nell’accoglienza e nella sana aggregazione sociale anche con una associazione culturale. Non saprei immaginare Badolato antico con tanti babàci come sentinelle del silenzio e della solitudine del borgo. Tuttavia, se ci fossero, la suggestione di Badolato ne guadagnerebbe molto … Si faccia avanti qualcuno che volesse avventurarsi in questa bella missione dei babàci (perché si tratta di vera missione e dedizione artistica e sociale).
Non è possibile concludere questo pur parziale elenco delle donne epiche di Badolato senza citare la mitica professoressa Giovanna Durante, la quale in primissima persona (con la collaborazione dell’Associazione culturale La Radice e delle insegnanti Franca Carnuccio e Maria Stella Verdiglione) ha salvato dal colpevole oblìo amministrativo la Biblioteca Comunale, valorizzandola alla grande per ben nove anni, prima che la cattiva amministrazione tornasse ad imporre i suoi “diktat” anti-culturali. Il tutto ovviamente e totalmente “gratis”. Una dedizione irripetibile che ha del sacro per la Cultura sociale. Purtroppo questa è una ennesima dimostrazione di come taluni Sindaci non sanno approfittare nemmeno dei volontari e della gratuità del servizio. Il che avviene in parecchie parti d’Italia (e forse del mondo). Siamo proprio al più completo suicidio civile. Non a caso nel 1977 (in tempi ancora non sospetti) concludevo la mia tesi di laurea su Badolato proprio con IL SUICIDIO DEL SUD.
8 – BABACI DI BRONZO TRA ARTE POVERA E SPAVENTAPASSERI
Ideati in modo così tanto geniale e rivoluzionario a Maranzana dall’intelligenza del cuore di Marilena Ciravegna nel 2016 e realizzati in modo altrettanto accorato e coraggioso a Poggio dal 2020 da Maria Porrone e Fausta Mancini, ritengo che i babàci siano un significativo fenomeno di “non-monumentalità” come espressione della semplicità etica della civiltà contadina e periferica rispetto alla ostentata ed esagerata monumentalità praticata nelle città egocentriche che opprimono e tengono in ostaggio e sotto scudiscio i borghi, pure come serbatoio dei bisogni delle oligarchie. Infatti, se ci fai caso, coloro che abitano in città hanno bisogno di autocelebrarsi e compiacersi con monumenti edilizi o statue di pomposa autoreferenza (dalla imponente statua equestre ai grattaceli) … mentre i borghi vivono di semplicità, soprattutto etica e non solo edilizia ed urbanistica.
Nel settembre 1998, visitando alcune città spagnole (come Barcellona, Saragozza, Madrid, Valencia, Tarragona, ecc.), ho visto per la prima volta semplicissime statue in bronzo di persone, a grandezza naturale, che rappresentavano atteggiamenti quotidiani. Una specie di veri e propri “babàci di bronzo”. Tale “non-monumentalità” si è poi diffusa nel resto d’Europa ed anche da noi in Italia. Infatti a Termoli, in un angolo di uno dei corsi principali, c’è una piccola statua di Jacovitti (1923-1997), celebre autore di fumetti nato in questa città marittima molisana; mentre è possibile incontrare in modo naturale, come se fosse vivo, il famoso scrittore Leonardo Sciascia (1921-1989), mentre cammina per una via del centro storico di Racalmuto (sua città natìa) avendo tra le dita della mano destra la sua inseparabile sigaretta.
Similmente altri personaggi (famosi o semplici cittadini) sono posizionati (appunto, come babàci di bronzo) nei più vari atteggiamenti o luoghi di un borgo o di una città. Così il famoso scrittore Andrea Camilleri (il papà del notissimo Commissario Montalbano di Rai Uno) viene rappresentato, a grandezza naturale, al tavolo di un caffè con accanto alcune copie di suoi libri da autografare per i suoi lettori di cui sembra essere in attesa. Sono ormai innumerevoli i “babaci di bronzo” che ripopolano i luoghi più significativi, pure per ravvivare noti o comuni personaggi e, attraverso essi, le idee ed i significati delle loro presenze del loro “essere stati al mondo”. A parte questa simpatica quanto suggestiva consuetudine dei “babàci di bronzo” che appare sempre più diffusa … ritengo che abbiano una propria valenza (artistica e comunicativa) quella che potremmo definire la “babacistica” commerciale, costituita da manichini o figure pubblicitarie quali possiamo trovare non soltanto nelle vetrine dei negozi e dei supermercati, ma anche per eventi sportivi (si vede, ad esempio, quanto sta succedendo a Napoli riguardo i calciatori che recentemente sono diventati campioni d’Italia nel Campionato di serie A). E, se ci pensiamo bene, tutte le chiese sono popolate da statue di santi (n cartapesta, legno, marmo, metallo, ecc.) che altro non sono, seppure con il senso del sacro devozionale, un altro tipo di “babàci” anche perché raccontano storie e virtù, in un messaggio permanente di tipo pedagogico sociale.
Penso che la “babacistica” possa e debba essere materia di studio nei Licei artistici e persino nelle Accademie delle Belle Arti … se non altro perché sta diventando un rilevante fenomeno sociale di espressione popolare dai risvolti antropologici e sociologici degni anche delle Università. D’altra parte, in Italia e nel mondo, sono diffuse pure le manifestazioni (addirittura dei veri e propri “Festival”) per celebrare persino gli “Spaventapasseri” … questa forma di arte povera contadina che potremmo ritenere anticipatrice dei “babàci” di Maranzana e di Poggio Sannita. Quasi che i babàci debbano spaventare lo spopolamento oppure esorcizzarlo. Il fenomeno, a mio parere, è molto più serio di ciò che possa apparire; per cui sarebbe utile e necessario che se ne debbano interessare le istituzioni non soltanto politico-amministrative ma specialmente scolastiche ed universitarie. Quindi non si tratta soltanto di curare la valorizzazione attrattiva e turistica, ma sarebbe opportuno entrare nell’anima del popolo che li ha prodotti. Che siano considerati “pop art” o “land art” sicuramente i “babàci” è opportuno ed utile che vengano studiati nelle sedi più opportune. Spero che presto possa essere pubblicato un Catalogo cartaceo e/o web, sia a Maranzana che a Poggio Sannita. E, anzi, sarebbe bello che entrambe le esperienze vengano messe a confronto in uno studio da dare alle stampe pure perché resti nel tempo.
In questo tipo di arte povera e di espressività popolare bisogna inserire pure la “babacistica” sacra “non-monumentale” quale, ad esempio, l’arte presepiale (sia natalizia che pasquale) e la statuaria creata per raccontare e significare eventi e situazioni mito-religiose, come ad esempio i gruppi scultorei in bronzo che narrano le apparizioni della Madonna nell’area del santuario di Castelpetroso, in provincia di Isernia. A mio modesto parere, gli stessi “monumenti-non-monumenti” ai caduti, così diffusi quasi in ogni Comune, possono rientrare in tale contesto di racconto e di devozione civile e di religione patriottica. La stessa cosa vale per i “monumenti-non monumenti” agli emigrati. Con i “babàci” di Maranzana e di Poggio Sannita va in scena la rappresentazione di un dramma assai doloroso … quello della fine della civiltà contadina a sèguito dello spopolamento, inteso come la cacciata “forzata” dalle proprie case e dal proprio territorio di intere generazioni. Non a caso facevo riferimento al mito di Adamo ed Eva, poi cacciati dal Paradiso Terrestre per avere peccato di disobbedienza o di troppa intelligenza. La civiltà contadina viene “cacciata” dal suo Paradiso Terrestre (a mio modesto parere) per essere troppo etica e contraria alla dannosissima competizione e all’economia sfrenata della “cleptocrazia” internazionale. Al contrario i borghi sono sinonimo di collaborazione e solidarietà, valori che non hanno posto nella globalizzazione. E come il grillo parlante viene schiacciato nella favola di Pinocchio così i “borghi-verità-di-vita” devono sparire od omologarsi poiché altrimenti proclamerebbero la cattiva coscienza di chi governa i territori, le Regioni, gli Stati e la globalizzazione. E anche per questo bisogna sostenere ad oltranza la Resistenza dei borghi a non spopolarsi completamente e morire nell’insignificanza umana e storica.
I superstiti a questo “tsunami” epocale celebrano questo dramma, così come nella Settimana Santa i borghi celebrano la Passione di Gesù con le “Vie Crucis viventi”. C’è un nesso tra i babàci di Poggio Sannita e la Via Crucis Vivente organizzata dalle stesse Autrici Maria Porrone e Fausta Mancini. Forse senza troppo pensarci, le nostre comunità devastate dai Poteri forti manifestano il proprio dolore con questi eventi drammatici per elaborare il lutto del proprio martirio sociale. La stessa poesia di Guido Mancini (che sarebbe utile rileggere sopra, al paragrafo 4) evidenzia, con altre parole, lo spopolamento come “cacciata dal Paradiso Terrestre” quando afferma << La natura ci è pur propizia, con il bel clima ci delizia >> … perché, quindi, abbandonare il proprio borgo, il proprio habitat dove hanno vissuto finora così tante generazioni ??? …
9 – BABACI D’AUTORE E GIGANTI CALABRO-SICULI
Caro Tito, non so quale sarà il destino dei babàci di Maranzana e di Poggio Sannita. Spero possano diventare una istituzione per la loro valenza socio-culturale-turistica e di testimonianza contro lo spopolamento nel contesto e nei valori appena descritti. Comunque non mi meraviglierei affatto se tutto finisse, persino nel giro di poco tempo … così come è finita (annullata per paradosso dagli stessi Amministratori comunali di Badolato e/o dai loro padroni e padrini politici) l’esperienza del “paese in vendita” che si era mostrata utilissima per la salvezza del borgo antico … tanto utile che è stata imitata persino all’estero, anche sotto altre forme (vendita delle case ad un euro pur di non farle sgretolare). E la probabile fine dei babàci si dovrà addirittura alla solitudine dei nostri borghi (sempre più “fantasma”) che, per taluni aspetti, è solitudine pure auto-inflitta, specialmente ad opera di amministrazioni locali spesso fortemente carenti di lungimiranze (ma anche di oneste opportunità) e non soltanto ad opera dei Poteri centrali. Spero che se ne parli non soltanto nei Consigli Comunali di Maranzana e di Poggio Sannita, ma anche in sedi di decisioni politico-amministrative provinciali e regionali, nonché in quelle scolastiche ed universitarie, ma soprattutto al Ministero della Cultura.
Ho poi notato, da alcune foto, che qualche artista ha voluto firmare la creazione di un “babace” o di uno “spaventapasseri”. Siamo così al “babàce d’autore”. Ciò ci porta al discorso dell’identità. Se ci fai caso, ogni paese o città tende a darsi una identità con un sottotitolo che evidenzi una “identità distinta” rispetto ad altre comunità … come, ad esempio (giusto per stare nel nostro àmbito) “Maranzana il paese dei babàci” o “Trivento città dell’uncinetto” o “Agnone città delle campane” oppure “Sanremo città dei fiori” e anche “Badolato paese in vendita” così via. Giustamente, taluni (pochi o molti che siano) non accettano tale “identità distinta” (provvisoria o permanente) affermando che il proprio luogo è ed esprime molto altro. Tuttavia nell’immaginario collettivo si ha bisogno di identificare con un sottotitolo ogni cosa. Ed anche più sottotitoli sono utili per individuare un luogo o un borgo. Ben vengano, pure perché ognuno di noi è poliedrico. Quindi anche i Luoghi. Non a caso, in fin dei conti, il cosiddetto “Genius Loci” (lo spirito, l’anima del luogo) può essere polivalente proprio perché è polivalente l’anima stessa.
Se poi volessimo essere ancora più seri e profondi, dovremmo pensare meglio e di più a questa arte popolare dei “babàci” pure perché costituiscono un “Museo a cielo aperto” e un “Museo diffuso” … ma anche perché il gradimento culturale e turistico si è dimostrato davvero così rilevante fino a diventare un’idea da esportazione, così come l’albero di Natale all’uncinetto di Trivento imitato veramente in tutto il mondo, anche nelle sue variabili interpretative e rappresentative con altri tipi di figure (non solo albero di Natale o decoro urbano). Basterebbe già questo per programmare attorno a tale notevole fenomeno tutta una serie di iniziative atte a valorizzare al massimo possibile tali creatività popolari o d’autore. Talune comunità hanno adottato provvedimenti in tal senso, come ad esempio il Comune di Roncegno Terme (Trento) che sostiene il “Museo degli Spaventapasseri” oppure il “Museo della cartapesta” di Lecce, ma anche il “Museo del Carnevale” di Viareggio. Le stesse chiese – ribadisco – sono un museo di “babàci sacri” quali sono le state dei santi, ognuno dei quali racconta una storia o una virtù. Un percorso etico e/o di santità salvifica. E i nostri borghi hanno tanto bisogno di percorsi salvifici!!!…
Se con “babàce” vogliamo indicare una qualsiasi creazione statuaria o rappresentativa di una situazione realizzata con materiali poveri, allora bisognerebbe inserire due personaggi come Mata e Grifo che vengono celebrati o semplicemente ricordati in Calabria e Sicilia in forma di “giganti” tanto che, costruiti in cartapesta, vengono denominati proprio “Giganti” nel folclore regionale, presente in altre parti d’Europa. La storia di questi personaggi è legata alle invasioni saracene sulle nostre estreme coste calabro-sicule. Grifo o Grifone era un “gigante nero” e rappresenta il truce invasore o pirata saraceno che però, innamorandosi di Mata, giovane donna locale, diventa mite ed inoffensivo (potere dell’amore!). In fondo, questo è pure il racconto della nostra Magna Grecia che si è formata da solo immigrati maschi che, sposando donne locali (di Calabria, Sicilia, Lucania, Puglia e poi anche Campania), hanno dato vita ad un nuovo popolo … così come si sta profilando con le immigrazioni attuali. Niente di nuovo sotto il sole. Dinamici sono la Natura e i popoli. E noi siano (per geografia e storia) crocevia di popoli e idee. Inutile ostacolare le migrazioni. La voglia di mischiarsi è più forte. Da sempre e per sempre. Tuttavia è necessario governare i fenomeni senza procurare drammi, tragedie, morti e distruzioni. Persino genocidi.
10 – SALUTISSIMI
Caro Tito, concludendo e senza farla lunga, possiamo dire che le creazioni e le tradizioni popolari (che si esprimono in rappresentazioni teatrali o scenografiche di vario tipo come i babàci di Maranzana e di Poggio Sannita) hanno una grande importanza, anche quando sembrano semplici o improvvisate. Infatti, ogni espressione umana ha un retroterra socio-culturale di cui magari non ci rendiamo conto per quanto possa essere antico e profondamente significativo. E tutto ciò è ancora più importante oggi perché è legato ad un grosso e drammatico problema sociale, quale quello dello spopolamento generalizzato ed incontrollato dei borghi in Italia e ovunque nel mondo. Ci vuole equilibrio per non provocare la desertificazione. Chi ha la responsabilità del governo dei popoli non riesce ancora a capire quanto grave sia lo spopolamento di intere nazioni. Per chi governa il mondo, sembra che le persone siano come pupazzi (babàci) di cui si può disporre a piacimento, spesso spostandoli (con le migrazioni di massa) da un continente all’altro senza curarsi dei drammi e delle morti che ciò procura. Così, tra tanto altro, i “babàci” sono la metafora dell’inconsistenza umana nelle mani non tanto della vita quanto del Potere abituato a stravolgere o ad annientare le vite come la stessa vita del pianeta. Cosicché il pianeta diventa il “babàce” più emblematico in balìa della malvagità umana. In verità siamo tutti “babàci” e “baliàti” (cioè sempre in balìa di qualcosa o di qualcuno).
Così, tanto per chiudere il cerchio ed il senso di questa “Lettera n. 466” possiamo affermare che le donne sono più sensibili di noi maschietti su questi temi del “cordone ombelicale” e dell’identità radicata in un luogo, in territorio di nascita o di elezione. Un grande e devoto plauso, perciò, a donne come Marilena Ciravegna e Rosalba Boccaccio di Maranzana o come Fausta Mancini e Maria Porrone di Poggio Sannita che fanno più del loro dovere nel tenere viva la speranza e la lotta per non far morire il proprio borgo. Un eroismo civile da imitare e da sostenere il più possibile. Ognuno dia il proprio contributo di qualsiasi natura ed operosità. Prima di firmare questa “Lettera n. 466” sento l’obbligo di comunicarti che (alle ore 06.53 di ieri, domenica 07 maggio) lo scultore Gianni Verdiglione (amico e poeta da sempre) mi ha inviato via whatsapp la foto n. 17 appena evidenziata che raffigura la bella, significativa e recentissima statua in ferro, opera del badolatese Antonio Andreacchio (Lindanu), intitolata “L’uomo di Badolato”. Tale statua (come la ”Porta dell’Europa” di Lampedusa) è dedicata ai migranti, in particolare ai profughi sbarcati sulle nostre coste joniche dalla nave Ararat il 27 dicembre 1997 ed accolti proprio nel borgo di Badolato per lungo tempo.
L’artista vorrebbe che tale statua sia posizionata sulla nostra spiaggia in modo beneaugurante anche perché è il simbolo dell’accoglienza e Badolato è sempre stato un “paese di accoglienza” (altro sottotitolo che può vantare). Infatti il largo atteggiamento del sorriso e delle braccia sembra dire “Venìte, entràte, favorìte” che è l’espressione tipica della nostra gente per accogliere gli ospiti che per noi sono ancora sacri come al tempo della Magna Grecia. Spero che sia possibile collocare questa statua (che potrebbe essere un “babace” speciale … il babace dell’accoglienza) di fronte al mare Jonio che in oltre 4000 anni ha visto milioni di migranti arrivare da Oriente sulle nostre coste del Sud. In tale senso, alle 10.39 di ieri, ho inviato un messaggio a Giuseppe Nicola Parretta, sindaco di Badolato, per invitarlo ad esaminare la possibilità di dotare la nostra Cultura di un altro bel significato attraverso la collocazione di questa statua proprio ai bordi della nostra spiaggia di Badolato Marina, come simbolo della capacità di accoglienza dimostrata dal nostro popolo (un esempio che ha avuto un clamore ed un plauso davvero a livelli internazionali). Finora non mi ha dato alcun riscontro, ma sono fiducioso che farà di tutto perché “L’uomo di Badolato” possa, ancora e sempre, accogliere tutti, migranti e turisti, viaggiatori e villeggianti.
E con il titolo di “Trasìte, favorìte” (Grandi storie di piccoli paesi. Riace e gli altri) la giornalista e scrittrice piemontese Chiara Sasso ha pubblicato nel 2010 un libro che narra l’ottima accoglienza che la nostra Calabria (in particolare paesi come Badolato prima e poi Riace e altri) ha avuto per gli emigrati sbarcati non soltanto sulle sue coste.
Badolato, in particolare, è diventato un “hub” … un paese-prototipo di inserimento e snodo di migranti, pure come sede del CIR regionale (Consiglio Italiano Rifugiati) che è ancora operativo. Colgo l’occasione per sollecitare Gerardo Mannello (allora primo sindaco dell’accoglienza) e Daniela Trapasso (prima e storica responsabile del CIR) a volersi dedicare a scrivere finalmente il già più volte promesso libro su quella loro ineguagliabile ed epica esperienza di accoglienza 1997-2002.
Con questo augurio di curare pure la memoria per le presenti e le future generazioni (compito che stanno assolvendo bene i babàci di Maranzana e di Poggio Sannita), ti ringrazio per voler pubblicare questa “Lettera n. 466” e (in attesa della “467”) ti saluto sempre con tanta fraterna cordialità e affettuosa stima.
Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)