Rileggete, o leggete “1984” di Orwell. Trovate che, di tanto in tanto, il governo del Grande Fratello riscrive i libri di storia: per esempio, se il politico XY appare in una foto ma poi viene condannato e messo a morte, la foto si ritocca e XY non compare più; il governo si assicura così una verità ufficiale, con divieto, anzi impossibilità di dimostrare che XY sia mai esistito. Noi dotti diciamo che è “damnatio memoriae”.
Tollerate un esempione grosso quanto un palazzo. Virgilio era molto amico del poeta Gallo, in nome del quale chiude le “Bucoliche”; e voleva fare lo stesso con le “Georgiche”; nel frattempo pero Gallo, nella veste di politico e militare, si mise in contrasto con Augusto, e ciò segnò la sua fine non solo politica ma anche letteraria. Virgilio, infatti, riscrisse il tutto, e ne venne il bell’episodio di Orfeo, con grande guadagno della poesia e non tanto della faccia.
È passata una legge che punisce da due a tre anni, più IVA, chi discuta la “shoà”. Non ho letto e non leggerò mai la legge, che sarà sicuramente un pateracchio raffazzonato dalle maglie larghissime, all’italiana: tipo, lo ricordo agli anziani, la legge Scelba sul fascismo, in nome della quale, se l’avessero mai applicata, io, e con me un milione e mezzo di votanti MSI (AN 1995, ovviamente, essendo antifascista non vale) saremmo da un pezzo in galera. Posso esibirvi miei libri e articoli quanti ne volete.
Eccepisco sul principio. La storia dovrebbe raccontare il passato in maniera possibilmente veritiera, però non è, come pensano gli accademici, una raccolta di più o meno verisimili documenti che, secondo loro, basterebbero alla verità. Non è così, ma “historia opus oratorium”, dice Cicerone, cioè è un fatto di politica, e ognuno la racconta con i suoi occhi. Resta da vedere se onestamente o meno.
Esempio. Nella mia “Storia delle Calabrie” del 1984, e altrove, io ho raccontato i fatti del 1799, la Repubblica Partenopea e il cardinale Ruffo, nel seguente modo: nel 1798 l’esercito giacobino dello Championnet, battuto facilmente Ferdinando IV, giunge alle porte di Napoli; il popolo napoletano, i Lazzari, difende eroicamente la città; i Francesi la spuntano con molta politica, e costituiscono una Repubblica del tutto priva di ogni reale potere ma sovrabbondante di belle vuote parole e proclamazioni di diritti e democrazia; intanto Fabrizio Ruffo, cardinale laico, sbarca con sei uomini a Palmi, raccoglie un esercito calabrese, caccia i Francesi, raggiunge Napoli; per un paio di giorni i repubblicani sono davvero liberi, e si difendono valorosamente; Ruffo, ritenendoli degli inoffensivi utopisti, vorrebbe salvarli, ma viene ingannato dal Nelson, e avvengono 96 esecuzioni.
Come avete notato, le mie simpatie di seguace del Vico e di reazionario vanno a cuore aperto verso i Lazzari e il Ruffo, e me ne assumo allegramente la responsabilità culturale. Però ho scritto dei valorosi giacobini del forte di Vigliena; e, in seguito, degli importanti murattiani i Pepe, Ambrosio, Arcovito, Filangieri. Credo così di aver mostrato la massima onestà intellettuale, unitamente a sfacciata spudoratezza e scorrettezza politica. Ora immaginate una legge che mi obblighi a parlare bene dei giacobini e male dei sanfedisti del 1799; oppure il contrario. La prima conseguenza sarebbe che la mia narrazione storica non varrebbe nulla, in quanto prevedibile, scontata, già scritta.
Così per un mare di altre situazioni. Se parlo di scuola, se uno qualsiasi parla di scuola, come fa a non dire che la scuola italiana è retta dalla riforma Gentile del 1922-3 e dalla riforma Bottai del 1939; e che tutti gli altri interventi sono stati, detto in generale, maldestri ritocchi in peius? Immaginate una legge che lo vieti.
Un corollario. Soverato si trova sulla costa ionica calabrese; chiunque passi, vede la nostra ridente cittadina. Immaginate una legge che ordini, pena la galera, di affermare che Soverato si trova sulla costa ionica calabrese. Come minimo, tutta Italia dubiterebbe che Soverato si trovi sulla costa ionica calabrese, e penserà sia sulle Alpi o in Sardegna o all’estero, tutto tranne la costa ionica calabrese. La costa ionica non ha bisogno di essere tutelata per legge, è lì da milioni di anni. Ma una verità che ha bisogno di una legge è deboluccia, dubbia, sa di pasticcio, puzza d’imbroglio e di ben poca verità; e se qualcuno vuole una legge del genere, è come uno zoppo che cerca le stampelle. Chi ha belle gambe sane, cammina da solo.
Altro corollario. Se si comincia con l’obbligo di shoà, chi garantisce che poi non scatti anche l’obbligo di parlare bene dei Romani e male dei Cartaginesi, oppure il contrario? E, narrando la Divina Commedia, la disposizione ministeriale di stare con i guelfi contro i ghibellini, o viceversa, in spregio del VI del Paradiso?
Orbene, resto in attesa che il parlamento (da ottobre, spero, una sola camera) mi indichi cosa devo pensare, se bene o male, di Roberto Guiscardo, Maria Teresa d’Asburgo, Giovanni delle Bande Nere, Ludovico il Moro e Castruccio Castracani… beh, pretendere che i nostri parlamentari sappiano qualcosa di Castruccio è davvero troppo: mi rivolgerò al Machiavelli che ne scrisse la Vita.
Ci vediamo a Siano. Ricordatevi che non fumo, e portatemi una torta con dentro la lima.
Ulderico Nisticò