Cronache di uccisioni di donne, e denunzie inutili


 Femminicidio è una di quelle parole che in linguistica si definiscono trite, cioè a furia di ripeterle perdono ogni efficacia semantica. Parlo perciò semplicemente di omicidi.

 Ebbene, ogni volta ci viene comunicato che era avvenuta una denunzia ai sensi di un “codice rosso”: altra locuzione ormai luogo comune.

 Che succede, dopo una denunzia? Quello che succede sempre in Italia per qualsiasi atto giudiziario: apertura di un fascicolo, avviso di garanzia, rinvio a giudizio, prima istanza, seconda istanza, immancabile ricorso in Cassazione, e, quando tutto manca, al TAR. Nel frattempo, il reprobo può perseguitare e uccidere chi e quando gli pare.

 Siamo di fronte a un evidente conflitto tra i “diritti” del futuro omicida, e il DIRITTO di una donna minacciata a essere protetta e restare in vita. I due diritti non sono equivalenti, e il secondo, quello alla vita, deve nettamente e ovviamente prevalere.

 Come? Si comincia con una convocazione in caserma dei Carabinieri, luogo già per sé poco tranquillizzante per i birbaccioni; e (meglio se dopo un paio d’ora di misteriosa attesa!!!) si procede con una DIFFIDA scritta… accompagnata da una più concreta diffida verbale.

 A che serve la diffida scritta? A mandare copia ai magistrati, avvertendo che se il mascalzone sgarra, verrà arrestato prima di cena. La mattina dopo qualche giudice garantista lo libera, ma intanto… e qui mi taccio.

 Ah, un corollario. Succede anche che qualche donna s’inventi tutto. Le donne, a onta dei poeti e degli adolescenti, sono esseri umani anche loro. Ebbene, ci sono precisi articoli del Codice Penale Rocco.

Ulderico Nisticò