Considerazioni scorrette sugli anziani, me compreso


Abbiamo studiato a scuola che gli antichi Greci e Romani mostravano la massima venerazione per i vecchi. E Cicerone c’informò che Fabio Rulliano vinse a Sentino quando aveva 85 anni, e Appio Claudio e Catone, ultranovantenni, concionavano con successo in senato. Cicerone, nato nel 106, e Cesare nato nel 100, alla vecchiaia non arrivarono perché uccisi nel corso delle burrascose vicende di quei tempi; però Augusto, che partecipò di persona o per interposti poeti, o ne fu causa, ai funerali di mezza storia e mezza letteratura latine (Virgilio morì 34 anni prima), visse 78 anni, di cui quasi sessanta al potere. Leopardi morì a 39 anni, però Manzoni a 90. Nel mio piccolo, l’ottocentesca quadrisavola paterna visse 104 anni, la bisnonna materna 98.

Detto così, sembra convincente. E invece c’è che i coetanei di Rulliano e quelli della quadrisnonna, nati rispettivamente 85 e 104 anni prima, erano, al 95%, premorti, tantissimi in età perinatale, tanti altri in seguito e per ogni genere di cause di morbi o di guerre o terremoti e diluvi e carestie e pestilenze. Oggi, l’Europa non guerreggia dal 1945; le pestilenze classiche non ci sono più; quasi tutte le malattie sono debellate o curate… Risultato, l’età media nel periodo migliore dell’umanità antica, l’Impero Romano, era di anni 42, oggi è più del doppio.

Non solo, ma anche, e soprattutto, oggi si arriva ad età avanzata in condizioni fisiche soddisfacenti: quelle mentali, sono un altro discorso, e da vedere caso per caso. Ancora qualche decennio fa, chi arrivava a 70 veniva indicato con stupore.

Ecco dunque perché tutti i popoli antichi portavano il massimo rispetto agli anziani: perché erano pochissimi, e all’età avanzata arrivavano in condizioni ottimali, dopo aver superato ogni genere di ostacoli. E si riunivano nel “senatus”, in quanto “senes”; poi erano giovani, ma sedevano lo stesso; e “vecchio” era un titolo onorifico, come sceicco per gli arabi.

Il Meridione vantò sempre longevità, in particolare Calabria e Basilicata; longevità soprattutto femminile, a dire il vero: i maschi, dalla vita faticosa e divertaiola, spesso degeneravano. Oggi, in presenza di longevità e in assenza di nascite, il numero del morti supera quello dei nati. Lo supera non certo perché si muoia, ma perché non si nasce: mi spiace per i piagnoni da premio letterario e sociologi della domenica, ma è, numericamente, così; e la nuova industria del Sud sono le case di riposo, o RSA che dir si voglia.

Le recentissime cronache insegnano che a queste RSA bisogna dare un’occhiata, e più di un’occhiata; e non alle carte, ma alla sostanza. Esse sono comunque necessarie: nessuna famiglia è in grado di assistere anziani fisicamente malati, e tanto più se mentalmente problematici.

Vero che ci sono anche anziani soli per ragioni personali, e tuttavia in discreta salute e autosufficienti; e cui basterebbe un’efficace assistenza domiciliare ad orario. Qui possono intervenire sia la pubblica o privata sanità, sia il volontariato.

Conclusione: tutto poteva immaginare, Cicerone, quando scrisse “De senectute”, tranne che un mondo con tanta percentuale di “senectus”. Per ora, il mondo occidentale in senso lato; tra poco, se continua il progresso, il mondo intero.
Se invece, come molte volte nella storia, al progresso seguirà un regresso… beh, lo racconteranno i nostri pronipoti o i loro pronipoti.

Ulderico Nisticò