I nati del 2019 sono 435.000, i defunti sono 647.000, dunque siamo a -212.000; e a Sud è peggio. Oggi, alla notizia, qualcuno piangerà, qualcun altro lancerà il regolamentare grido di allarme… e dopodomani nessuno farà niente, neanche lacrime.
Del triste fenomeno ci sono evidenti dinamiche oggettive, ben note: difficoltà economiche, scarsezza o assenza di servizi; e, riassunto del tutto, zero politica a favore della natalità. ONMI, dove sei? Che era? Era l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia: era! Oggi, chiacchiere e garanti verbosi.
Sulle questioni oggettive dovrebbero intervenire governi, regioni, comuni… e concretamente, e subito.
C’è che i giovani non trovano lavoro; e i giovani del Sud, se mai, lo trovano a Milano. C’è poi che anche gli anziani del Sud, appena andati in pensione, vanno “per qualche tempo a dare una mano ai figli”, e non tornano più. Donde gli innumerevoli edifici soveratesi dalle serrande tristemente abbassate.
Ma ci sono cause più profonde, e sono tutte riconducibili alla dilagante depressione, al fiato di morte che attossica tutta la cultura divulgata italiana, e soprattutto meridionale e calabrese. La diagnosi di depressione si fa facile, con l’ausilio della fisiognomica, cioè guardando in faccia la gente, e riscontrandone colorito grigio, mancanza di sorriso, aria di malinconia: parola da intendere non come più o meno nobile sentimento, ma in senso etimologico, di umore nero, fegato guasto.
Mentre, grazie a un enorme progresso scientifico e delle condizioni di vita, i corpi restano sanissimi fino a tarda età, le anime degli Italiani invecchiano a vent’anni, a quaranta sono decrepite, a sessanta piombano nella senescenza.
Quanto ai ragazzi e giovani, essi escono da scuole in cui il programma didattico si riduce praticamente a un solo concetto: il piagnisteo. I ragazzi apprendono ufficialmente che presto moriremo tutti (in mezzo secolo, l’umanità è passata da un miliardo e poco ad otto miliardi: ma non glielo spiega nessuno); che le donne vengono tutte uccise; che più uno è malato, meglio è così scrive poesie piagnone (poesie nel senso di piatta prosa andando arbitrariamente a capo ogni tanto!); anzi, se uno è sano e giovanilmente tracotante e sa ridere, lo guardano male e chiamano uno psicologo.
Al femminile, tantissime signorine di bella presenza e socialmente e finanziariamente affermate, nonostante questo restano quello che loro dicono single, e invece vuol dire zitelle; e ciò per due motivi: esse cercano un’impossibile felicità da film americano anni 1950, perciò scartano il 97% dei maschi anche abili arruolati e benestanti; e i maschi, educati malissimo e alla più bieca mitezza, sono privi di mascolina audacia e virile me ne impipo.
E mentre entrambi i sessi non battono un reale chiodo, siamo sommersi da ondate di sesso parlato, rato e non consumato: un’attività che, come dimostrano i numeri, non genera figli.
Conclusione: io non posso aprire asili nido e assicurare ai giovani altre provvidenze materiali; però posso, e lo faccio in ogni modo, reagire alla cultura dell’accoramento e del moriremo presto a miliardi; all’idea, anch’essa insegnata a scuola, che la storia umana sia stata una continua disgrazia intervallata da sciagure (e che la Divina Commedia e le Cattedrali si siano scritte e costruite da sole, mentre Dante e Arnolfo piangevano dietro una Greta del XIV secolo); e che la letteratura sia solo cronaca piccolissimo borghese e suicidi, mentre non è così. E spiegare che l’economia è una delle tantissime e complesse componenti della storia, e non la storia; e non è vero che i poveri sono infelici e i ricchi felici, e vi posso portare infiniti esempi; e che la religione cristiana non è una versione palestinese del sindacalismo, ma la metafisica dell’anima… e che le chiese contemporanee senza statue sono più tristi di un fienile arrangiato, e invece quelle degli analfabeti medioevali furono veramente la Casa di Dio: eccetera.
Se non recuperiamo una cultura della forza, dell’energia, del piacere di vivere e di affrontare la vita come avventura, meno che meno vedremo nascere bambini. Serve, urgente, una tempesta di robusta barbarie: ma, purtroppo, non si vedono in giro dei barbari.
Ulderico Nisticò