Era il 16 aprile scorso quando l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro aveva deciso di costituire un Ufficio Antimafia “per il raggiungimento di obiettivi di legalità e trasparenza”.
Tanto si rendeva necessario al fine “di attuare quell’azione di risanamento indispensabile per ridare trasparenza agli atti prodotti e contemporaneamente impermeabilità nei confronti della criminalità organizzata”.
Utile iniziativa per cercare di voltar pagina, in tutta fretta, dopo lo scioglimento dell’azienda per infiltrazioni mafiose disposto dal governo lo scorso settembre.
Ad una settimana di distanza dalla creazione, ecco che ben tre componenti l’Ufficio Antimafia si ritrovano coinvolti nell’inchiesta “cartellino rosso” condotta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro.
Le indagini giudiziarie ci consegnano tutta una serie di comportamenti inquietanti posti in essere da alcuni dipendenti.
Tra questi vi sarebbero, appunto, tre componenti l’Ufficio che ha il preciso compito di ripristinare la legalità violata.
Ora, laddove non si tratti di una banale omonimia – sostiene Francesco Di Lieto del Codacons – i Commissari hanno il preciso dovere di chiarire i criteri con cui hanno individuato i componenti dell’Ufficio Antimafia, ovvero i soggetti che dovevano garantire legalità e trasparenza e rendere effettiva l’attività di risanamento dell’Azienda.
Perchè ora ne abbiamo davvero le tasche piene di nomine fatte in maniera imbarazzante.