Qui vogliamo parlare di questo misterioso fantasma che turba i sonni della cultura ufficiale e politicamente corretta: che roba è, questo populismo? Etimologia, dal latino “populus”, che in latino vuol dire tutti gli abitanti di un territorio senza distinzioni; però nella traduzione inconscia della cultura ufficiale significa invece sempre e solo qualcosa di negativo: plebe (i giacobini del 1789, davvero molto democratici, dicevano “canaille” o “populace”), gente non scolarizzata, attenta all’interesse immediato, e incapace di voli ideologici; e che va governata, direbbe Voltaire, “per il popolo ma non con il popolo”. Se ne deduce che a governare non dev’essere il popolo, ma la sua classe dirigente, gli intellettuali. Gli intellettuali, quelli un poco gobbi, grigi, le labbra atteggiate a sorriso malinconico, inappetenti, salutisti. Non li vedresti mai frequentare tavolate e feste e brindisi paesani; o parlare qualche volta delle sorti calcistiche del Crotone? Mai, sarebbe, appunto, populismo.
Ovvio che questi dirigenti e intellettuali non possono essere eletti o designati dal popolo, che è ignorante. Chi li designa, allora? Semplice: si designano da soli. Tipo i convegni degli dotti depressi a colpi di “Ha ben detto Maria”, e giù applausi, anche se non si sa, in una platea piena di donne dalla pesante ma costosa eleganza, quale delle tantissime Marie. Però Maria ha ragione perché l’ha detto Antonio: il quale ha ragione perché l’ha detto Maria; entrambi esenti da cognomi. Antonio, infatti, ha scritto dei premiatissimi libri supercitati da Maria; e quelli di Maria, da Antonio. Letti, no: ma leggere, e magari scoprire che Antonio ha scritto banalità in insopportabile, pesantissimo italiese fatto di –ismi e -izzare, è populismo. Dire che scrive male anche Maria, poi, sarebbe bieco maschilismo.
Sono ignoranti, i populisti: e sarebbe populismo elencare i filosofi e poeti reazionari Aristocle, che in palestra, per le spalle larghe che aveva e le capacità atletiche, venne soprannominato Platone, e Fichte, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche, d’Annunzio, Gentile, Pirandello eccetera? Sì, tutti ignoranti. Anche chi firma queste poche righe, nel suo piccolo, non è proprio l’ultimissimo dei ciuchi, però se proprio deve scegliere, oggi è populista e non certo democomunista e tanto meno liberale.
Parliamo di Europa. E un’Europa che vive di deliri e sogni, e con passacarte e assurde regole, e non dà risposte né economiche né ideali. E, soprattutto, ha una ferrea politica comune sulla plastica per avvolgere la pasta, ma non ha in comune una politica estera, anzi ognuno per conto suo. Dopo mezzo secolo, è un fallimento epocale. Ma si può fare l’Erasmus… ragazzi, l’Erasmus si può fare anche con i Giappone e con il Perù: basta un accordo tra ambasciate.
I populisti dunque hanno scarso entusiasmo per l’Europa; e, più in generale, per le istituzioni mediate e rappresentative. Con grande dolore di alcuni lettori, vi informo che il populista non crede affatto alla bontà di un’istituzione qualsiasi; per lui, le istituzioni sono come l’automobile: quando non funziona più, si porta allo sfasciacarrozze e se ne compra un’altra.
Lo ha detto il Vico. Il popolo minuto, magari, non sa esattamente chi sia stato il Vico; ma tranquilli, che tanti miei colleghi di filosofia lo saltano, non avendo, Giovan Battista, un cognome terminante in consonante straniera.
Populismo è non credere ciecamente che tutte le promesse di Antonio e Maria, e dico tutte, si realizzeranno; e più sono utopie, più si realizzeranno, e presto. “I domani cantano”, disse un poeta comunista verso gli anni 1930, tale Aragon: ed è populismo far osservare come hanno cantato i domani in quondam Unione Sovietica e dintorni: ahahah. Stando a Maria e Antonio, a breve saremo tutti felici, buoni, femministi, ecumenici, buonisti, perdonisti: del resto non si sarà più niente da perdonare, quando tutti saranno buoni. Quando? A breve, prestissimo; e già se ne vedono i segnali. Così assicurano Antonio e Maria, e guai a chiedere, anche indicativamente, una data: sarebbe populismo cronologico. Presto… A breve, è progressismo; subito, sarebbe populismo. Il popolo mangerà, è progresso; se vuole mangiare oggi, è rozzo populismo. Leggete, a tale proposito, i Promessi Sposi, vero monumento all’utopia morale e sociale, con il popolo di Milano che, incredibile, si rifiuta di restare a digiuno per effetto delle leggi economiche! “I fornai respirarono, ma il popolo imbestialì”: Manzoni sta con i fornai e con le leggi economiche; quanto al popolo, tra qualche annetto, è sicuro che avrebbe mangiato: che è, un poco di digiuno? Anzi, assicurano i salutisti, fa bene ai trigliceridi. Tipo il Venezuela di Chavez e Maduro, che galleggia sul petrolio e intanto importa la benzina.
L’euro, non l’euro ma la sua catastrofica gestione (tutta in mano ad economisti ed intellettuali con sei lauree), hanno causato in Italia cinque milioni in povertà assoluta; però Maria e Antonio, quando vanno al convegno internazionale sulla pace, non hanno il fastidio di passare dalla banca per cambiare i soldi. Gli spiccioli, voglio dire, perché al convegno ci vanno a spese pubbliche: farlo notare, però, è populismo.
L’accoglienza? Sono i parcheggiatori abusivi e accattoni e campi profughi e baraccopoli; né Antonio e Maria hanno mai accolto nemmeno un cucciolo di gatto. Ma se io dico che a Rosarno c’è una tratta di schiavi in mano a mafie e a ben retribuiti benefattori di mestiere, è populismo.
Se la Francia blocca Ventimiglia, Antonio e Maria sorridono: “la France c’est la patrie de l’illuminisme”; se l’Ungheria e gli USA alzano muri, è populismo. Il muro di Calais e quello di Gaza… ma no, una pittoresca siepe campestre, “apibus depasta”, infiora Maria, che ha studiato al Classico, e Antonio la guarda con onanistico amore!
Alla fine, gli intellettuali, beati loro, vivono in un mondo di idee che non assumono corpo mai; e se e quando si realizzano, è un disastro. Ma beati loro non solo e non tanto per i comodi e gli stipendi che raccattano e i libri non letti che vendono alla Regione; ma per i sogni che sognano, per la serena ingenuità rigorosamente esente da ogni tarlo del dubbio. Si può mai dubitare di Antonio e Maria? O Antonio di Maria e Maria di Antonio? Dubitare delle astrazioni in nome della realtà effettuale, è populismo.
Il populismo, riassumendo, rifiuta Antonio, Maria, l’Europa di Juncker, le utopie, le chiacchiere, le promesse, i sogni, i mezzi sorrisi mesti, i film che non si capisce niente, la Crusca che scende il cane, il napoletano dei bassi spacciato per meridionalismo, le liti alle poltrone del PD gabellate per dibattito ideologico…
Detto questo, tuttavia, vi accorgete che abbiamo dato, del populismo, una definizione in negativo, cioè quello a cui si oppone, e a cui, del resto, è facilissimo opporsi. Quello che dovrebbe volere, è ancora nella testa di Zeus: se ne nascerà Atena o un tumore, è da vedere.
Anche al populismo, infatti, servirebbero dei pensatori. Non degli intellettuali, Dio liberi: pensatori populisti, realistici, lontani da utopie però capaci di progettare il futuro possibile. Sì, va bene, pensatori reazionari, tracotanti, forti, coraggiosi, pieni di dubbi nell’analisi e di certezze nell’agire… però, pensatori. Se no, i populismi sono destinati a breve successo, e c’è sempre il rischio che tornino i depressi e tristi e gufi di prima!
Ulderico Nisticò