La procedura non appropriata determina il cattivo stato di conservazione che integra il reato senza prelievo di campioni o analisi di laboratorio. Lo ha stabilito la Cassazione condannando un ristoratore di Trieste.
Sì a cibi surgelati proposti nei menu dei ristoranti, a patto che il ristoratore non congeli i cibi in proprio. La norma già la si conosceva ma ora si è espressa anche la Cassazione e non si può più sgarrare. A farne le spese proprio un ristoratore di Trieste, condannato penalmente per avere congelato i cibi in proprio o rimessi nuovamente al freddo dopo averli scongelati.
E ciò perché le operazioni realizzate senza rispettare le garanzie di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 110/92 determinano il cattivo stato di conservazione dell’alimento e, dunque, il reato di cui all’articolo 5, primo comma, lettera b) della legge 283/62, che si configura a prescindere dalla presenza di microbi, parassiti, sporcizia e stati di alterazione. E può essere accertato dal giudice senza prelievo di campioni o analisi di laboratorio sulla base del solo verbale e delle dichiarazioni degli ispettori Asl.
È quanto emerge dalla sentenza 5672/24 pubblicata il 9 febbraio dalla terza sezione penale della Cassazione.
Niente da fare per l’imputato, un cittadino cinese: diventa definitiva la condanna inflitta perché, come operatore del settore alimentare del ristorante, ha detenuto nel “pozzetto” prodotti alimentari deperibili in cattivo stato di conservazione e di pulizia; gli ispettori Asl trovano carni, semilavorati, anatre e mazzancolle, congelati in proprio anche se destinati al consumo come freschi oppure scongelati e di nuovo messi nella ghiacciaia ma «mantenuti in vaschette aperte con brinatura e senza indicazioni».
Ad avviso del Collegio, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Non giova alla difesa lamentare che il verbale di ispezione sanitaria non consideri le caratteristiche degli alimenti “incriminati” ma soltanto il cattivo stato di conservazione.
La fattispecie di cui alla lettera b) della disposizione, infatti, configura una fattispecie di reato autonoma dalle ipotesi in cui negli alimenti sono presenti microbi o parassiti oppure si verificano stati di alterazioni: persegue un fine, altrettanto autonomo, di benessere che consiste nell’assicurare una protezione immediata all’interesse del consumatore a che il prodotto arrivi in tavola con le cure igieniche imposte dalla sua natura.
E a ritenere sussistente il reato basta il verbale degli ispettori che rileva l’evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie a conservare gli alimenti in vista della somministrazione. La preparazione dei prodotti e l’operazione di surgelamento deve avvenire «senza indugio» osservando le regole del decreto legislativo 110/92 che ha recepito la direttiva 89/108/Ce.”
Sono vari i precedenti in tal senso, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, e a ogni passaggio in Cassazione la giurisprudenza si arricchisce di dettagli: negli anni sono finite sotto la lente dei giudici osterie e ristoranti cinesi che servono prodotti congelati e pasticcerie di lusso che per preparare le loro ricette utilizzano prodotti congelati in proprio. La conclusione è stata sempre la stessa: sanzioni da varie centinaia di euro a qualche mese di reclusione.