Io, quando distrattamente lascio accesa la tv e faccio altro, presto però attenzione alla pubblicità, i cui autori la sanno lunga, e studiano accuratamente la sociologia, dovendo accattivarsi i gusti. Da qualche mesetto, non si sente altro che “prodotti italiani”, e, generalmente, Italia. Io sono abbastanza vecchio, anzi sono decisamente vecchio, quindi posso ricordare quando ci dicevano che siamo obbligatoriamente cittadini del mondo, o, con minore fortuna, d’Europa; e ogni avventuriero della linguistica parlava un mezzo inglese, o meglio americano, amerikano. Oggi, musica per le mie nazionalistiche orecchie, non solo dobbiamo mangiare italiano, ma Draghi, e dico Draghi, ha lanciato un messaggio pubblico e ufficioso: parlate italiano! Nel centenario di Dante, è una bella indicazione.
Attenti a questa lezioncina di glottologia, applicata proprio all’inglese. Ogni lingua è sempre esposta a sostrato (le varie lingue dell’antica Britannia), strato (l’anglosassone), adstrato (il franconormanno), superstrato (linguaggio ecclesiastico e dotto di matrice latina). E già Lucilio, Catullo, Giovenale deridevano i Romani che si atteggiavano a Greci, e non parlavano latino. Nel XVIII e XIX secolo, l’italiano fu esposto all’attacco del francese internazionale. Negli ultimi decenni, dell’americano dei film. Ora pare che reagisca, e facciamo bene a combattere questa guerra in primissima linea.
Gli americanismi hanno dalla loro parte due armi potentissime: la mentalità diffusa dal cinema (e ci sono avvocatucoli che chiamano il giudice Vostro Onore!); e la grande capacità dell’inglese di esprimersi in modo sintetico, spesso con due, persino un monosillabo. Lingua pragmatica e veloce di marinai e mercanti, l’inglese comune è una tentazione linguistica per la sua comodità.
Del resto, non attingiamo al greco, magari con fantasia? Ed ecco che la mate-matica diventa tele-matica; e via con antropologia, filosofia… e parole miste come tele-visione e socio-logia… Una volta che una parola viene accolta e usata, magari foneticamente adattata, è come i re inglesi, che erano tedeschi DOC, e prima di una nonna di Elisabetta non avevano una goccia di sangue britannico manco per matrimoni, eppure tutti gli Inglesi li considerano paesani come e più di Mago Merlino. Chi si ricorda che guerra è una parola germanica, e non è bellum dei Romani? Con buona pace dei classicisti e del Manzoni, un buon terzo dell’italiano è longobardo, toponomastica e cognomi inclusi.
Ma una lingua non è una somma di parole, è uno strumento di pensiero. La mia preoccupazione quando sento parole inglesi non sono le parole, è la paura che il parlante pensi in inglese e in americano. Già hanno cambiato la procedura penale per farla tipo Perry Mason! Ed è ora di ricordare che quando uno “si avvale della facoltà di non rispondere” ha palesemente la coda di paglia, altro che americanate di presunti diritti.
E solo uno nutrito a film d’oltre Oceano può credere che una procace signorina sia minorenne fino a 17 anni, 11 mesi, 29 giorni e 23 ore, quindi se uno appena appena la guarda è un orrendo e bieco pedofilo; mentre da 61 minuti dopo, ella può tranquillamente superare le glorie notturne di Semiramide, e se uno la critica lo arrestano per sessismo: ormai è maggiorenne, no? Ecco un bell’esempio di americanata ridicola, che pure ci ammollato full time… ahahahahahah, vole dire a tutto spiano.
Non basta dunque tradurre in italiano l’inglese; bisogna tornare a pensare in italiano, e all’italiana. Bisogna recuperare le radici profonde dell’italianità, difetti inclusi, difetti senza i quali non avremmo avuto Dante. E già, se l’Alighieri fosse stato un casto e mite puritano, intanto, niente Purgatorio, e niente di quella sublime contraddizione per cui Francesca, Farinata, Pier delle Vigne, Brunetto, Ulisse, Guido, Ugolino sono sì dannati da Inferno, eppure grandi anime e specchio universale di umanità. Un perfetto esempio di italianità conflittuale.
Approfittiamo del centenario di Dante, gli Italiani. Ovviamente, tranne la Calabria, dove Regione, Università e dotti in genere di Dante, con annesso Gioacchino da Fiore di Celico, se ne fregano.
Ulderico Nisticò