Che gusto preferisci? quando la doppia preferenza, da baluardo di senso diventa uno slogan senza senso


Il dibattito sulla doppia preferenza di genere nelle elezioni amministrative regionali, che addirittura invece d’essere legittimamente accolto richiede pronunciamenti giuridici al pari d’una eccezione, ci ricorda con puntuale amarezza quanto siamo lontani dal pensare la donna e l’uomo come persone con identità differenti e con pari opportunità di partecipazione alla vita democratica.

Nonostante le lotte per l’emancipazione femminile, ancora oggi le donne, pur ricoprendo incarichi di potere, sono tenute artatamente lontane dai ruoli che conferiscono autorità e che quindi, influenzando più generazioni, sono responsabili di cambiamenti sociali duraturi.

È evidente che l’autorevolezza esercitata dalle donne fa paura, altrimenti non si spiegherebbe la feroce costanza con cui si tentano di negare molti dei diritti conquistati nel tempo a prezzo di grandi sacrifici.
È un errore grossolano pensare che queste riflessioni siano di esclusivo interesse delle stesse donne, perché se il recupero effettivo del valore dell’identità femminile non diventa una finalità prioritaria per tutti, fornendo anche alle nuove generazioni, senza distinzione di genere, strumenti culturali onesti ed efficaci al fine di un sano discernimento, non ci sarà mai alcuna azione politica realmente volta ad ottenere una parità oggettiva e quindi una democrazia partecipata e compiuta da tutti i cittadini.

È importante che i giovani comprendano che i diritti e le libertà di cui oggi le donne godono sono stati conquistati in seguito a battaglie condotte in passato da altre donne, e che pertanto occorre conoscerli, per poterli custodire e difendere, mantenendo in costante evidenza il loro valore.
La rappresentanza delle donne nei ruoli apicali delle istituzioni è osteggiata in Occidente da comportamenti sessisti che hanno origine in tempi storici remoti, basati su pregiudizi che sono ancora in grado di condizionare il pensiero di fasce trasversali, per cultura e reddito, di intere popolazioni. Alle donne fino al recente passato è stato concesso di esprimersi solo in merito a questioni riguardanti la loro femminilità o il loro ruolo in famiglia o per occuparsi di altre donne ed in ogni caso a titolo personale e non a nome della collettività.

In Italia, a parte il significativo ritardo nel riconoscere il diritto al voto alle donne ed ancor prima quello alla scolarizzazione superiore, resta il pregiudizio della donna vista come incapace di una razionalità proattiva, prigioniera di una superficialità e volubilità che si millanta di genere e, sostanzialmente, inferiore all’uomo. Tanto che quello che passa come complimento per una donna è “avere gli attributi” come un uomo, ovvero non poter avere altro paragone che il genere maschile per affermare il valore del suo carattere prima ancora che quello del suo essere persona.

Ed in questo ha giocato un ruolo importante anche una voluta distorsione del messaggio cristiano con il quale occorre confrontarsi senza censure, con onesto coraggio, ribadendo la laicità dello Stato.
Ancora oggi nei rari casi in cui si pensa ad una donna per un ruolo di potere lo si fa in quanto la si riconosce capace di mediare, di presentare un volto accogliente ed utile allo scopo, ma soprattutto capace di assumersi la responsabilità, per attitudine da abitudine, in situazioni difficili e con poche possibilità di successo.

È pur vero che provvedimenti legislativi ed una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica verso una democrazia paritaria hanno consentito di veder crescere il numero di donne presenti nelle istituzioni locali e nazionali, in magistratura, nelle reti televisive ed ai vertici delle aziende, ma quando si tratta di effettuare le selezioni della classe dirigente permangono anomalie di genere piuttosto gravi le cui denunce restano quasi sempre inascoltate e per tale ragione, a volte non vengono neanche presentate.
In genere le donne capaci, anche nella politica internazionale, hanno subito e subiscono offese perché ritenute antipatiche, fredde e mascoline nei modi, quasi che competenza ed ambizione non possano essere proprie delle donne, ma solo mutuate dagli uomini.

Il rapporto tra le donne e le istituzioni e le donne e la politica in Italia resta difficile anche per l’inerzia dei partiti politici. Nonostante la legge elettorale in vigore preveda che nessuna lista superi il 60% di candidati dello stesso sesso, quasi tutti i partiti hanno fatto in modo di aggirarla, suscitando la nascita di interessanti movimenti di protesta che a tutt’oggi comunque non hanno ottenuto cambiamenti reali, nelle logiche di partito, che rendano le candidature femminili davvero pari, per opportunità, a quelle maschili.
I politologi ritengono la percentuale del 35% di presenza femminile negli organi di governo come la soglia minima con cui poter avviare processi di cambiamento nelle istituzioni, in quando il modo di far politica delle donne sembra sia il più efficace per avvicinare il potere centrale ai cittadini e per poter realizzare una democrazia paritaria, avviando un processo di cambiamento del pensiero politico diverso da quello del modello tradizionale maschile, spesso incapace e corrotto. Il diverso contributo di uomini e donne sulla scena politica, quindi, potrebbe dare risposte ottimali alla comunità, dal momento che lavorerebbe con il sentire sia maschile che femminile, rispecchiandoli entrambi negli orientamenti e nelle scelte politiche.

Questo è possibile solo se si è autenticamente e liberamente partecipi, tutti, senza condizionamenti. Non serve, ad esempio, se le donne in politica portano il punto di vista maschile anche in omaggio alla presunta concessione di questo nuovo spazio dal quale temono di essere estromesse, senza stringere nuove alleanze con altre donne, in un recupero collettivo dell’identità non riconosciuta.
Anche l’uso del linguaggio nella comunicazione, che fatica ad incamerare il genere femminile nelle professioni, considerandolo foneticamente inidoneo, l’apparente goliardia di proverbi sessisti e di pratiche rituali dalle quali sembra difficile affrancarsi in quanto appaiono come gentilezze, mentre sono di per sé svilenti (es. l’entrata gratis per le donne in discoteca o allo stadio), costituiscono ostacoli importanti per una fattiva parità di genere. Per non parlare delle disparità nel mondo del lavoro, che penalizzano la lavoratrice madre in aperto oltraggio ai diritti Costituzionali. Ed il fatto che questo non venga percepito come discriminatorio è già di per sé un problema, in quanto nelle radici culturali più arcaiche (ancora vive e vitali, come dicevamo) il genere maschile è considerato universale e, quindi neutro, a differenza di quello femminile, ed il ruolo del maschio protettivo ha spesso mascherato il dominio e l’abuso.

Non è più possibile rinunciare alle competenze femminili nel campo dell’assistenza sociale così come delle scienze, della tecnologia, dell’economia, eppure a mero esempio, nonostante i gruppi di ricerca che per primi hanno isolato il genoma virale in Italia, nella pandemia in corso, siano costituiti prevalentemente da donne e l’Italia vanti presenze femminili nella ricerca scientifica che sono riconosciute come eccellenze in tutto il mondo, anche il Comitato Tecnico Scientifico che affianca l’esecutivo è formato da soli uomini. Riesce difficile credere che sia una pura casualità.
Non basta, quindi, lottare perché aumenti la rappresentanza delle donne in parlamento, ma perché la stessa nei ruoli decisionali sia paritaria per opportunità.

Occorre che nel pensiero collettivo si operi un mutamento di logica in modo che siano le competenze e le qualità di un individuo a determinarne il valore, indipendentemente dal genere.
Significa, e questa è la parte più ostica, riconoscere al potere politico il suo naturale ruolo di servizio alla collettività e non di asservimento al desiderio dei singoli. Ed in questo le donne, per la loro sensibilità ed attitudine alla cura, sono allenate forse anche meglio degli uomini e potrebbero dare un contributo significativo in termini di crescita e di recupero di una sana etica politica.

Tuttavia ancora oggi le donne non sono prese sul serio e questo le rende individualmente deboli, ma se imparano ad essere leader e seguaci del pensiero femminile, in un confronto aperto, onesto e reciprocamente irrinunciabile, con il maschile il loro contributo non potrà essere più ostaggio della disparità di genere. Questa, infatti, come dicevamo in apertura, non è una questione che riguarda le donne e la sua trattazione e promozione, in quanto problema della collettività, non dovrebbe essere lasciata alle donne, ma affrontata con pari caparbietà anche dagli uomini. Se così fosse non sarebbe più necessario ricorrere all’istituto della doppia preferenza, che oggi rappresenta un baluardo irrinunciabile, al fine di garantire un diritto che dovrebbe essere naturale e indiscusso.
I tempi sono maturi perché da queste riflessioni nascano movimenti nuovi, forti, realmente generativi di cambiamenti radicali di linguaggio, di pensiero, di rappresentanza, di alleanze fattive.
Per un nuovo mondo di genere equo, fecondo e davvero politicamente corretto.

Loredana Gaudio – Comitato Coordinamento Progetto Meridiano