È una vicenda kafkiana quella che ha interessato un uomo di 43 anni L. R. originario di Catanzaro che però vive e lavora in Friuli-Venezia Giulia ormai da tempo.
L. R. era stato condannato dal Tribunale di Pordenone ad anni 2 e mesi 4 di reclusione, con dispositivo del 15 novembre 2022 e con indicazione di giorni 15 per il deposito della motivazione. Dal momento del deposito della motivazione stessa il difensore avrebbe dovuto presentare l’impugnazione, onde evitare di far passare in giudicato la sentenza. Così è avvenuto, ritenendo la stessa sentenza di prime cure soggetta a diversi profili critici.
Il difensore, l’avvocato Marco Grande del Foro di Catanzaro, nel termine previsto dalla legge, segnatamente il 6 dicembre 2022, aveva quindi tempestivamente proposto appello. La presentazione di una impugnazione penale, salvo determinati casi previsti dalla legge, ha di per sé effetto sospensivo, cioè fino all’esito del giudizio di impugnazione l’imputato è libero.
Tuttavia, nella serata di ieri, alle ore 20:30 la polizia giudiziaria notificava a L. R. un ordine di esecuzione traducendolo presso l’istituto penitenziario territorialmente competente.
Il difensore ha allora presentato prontamente un ricorso al giudice dell’esecuzione penale per chiedere l’immediata revoca del provvedimento di carcerazione, dimostrando per tabulas di aver presentato l’atto di appello nei termini di legge. Il magistrato giudicante ha emesso già in data odierna un provvedimento di immediata scarcerazione, accogliendo la domanda del difensore e rimettendo L.R. istantaneamente in libertà.
In questa vicenda (a lieto fine) rimane comunque un’amara considerazione: l’ “imperdonabile svista” di un ufficio giudiziario ha fatto subire ad una persona una ingiusta detenzione carceraria, con tutte le conseguenze del caso, agevolmente immaginabili.