Non voglio giocare al piccolo CT, e poco m’intendo di calcio; e ho visto la partita con un occhio solo, e con l’altro scrivevo. Posso solo dire di aver assistito a novanta minuti di volenterosi assalti dei nostri, ma evidentemente senza idee precise. Una di quelle partite che si possono vincere o perdere o pareggiare, però per caso.
Alle volte, le sconfitte fanno bene: nel calcio come nella vita. Lasciando ai tecnici se era meglio schierare Y invece di X, o se Ventura… eccetera, riferisco quello che è emerso a botta calda da più commenti, e che io, seguendo quel poco che seguo, intuisco da tempo.
“Che fan qui tante peregrine spade?”, si chiedeva desolato il Petrarca, di fronte al dilagare delle milizie mercenarie formate da sbandati Tedeschi di Ludovico il Bavaro; e di Francesi e persino Inglesi provvisoriamente disoccupati dalla Guerra dei cent’anni, e che venivano a sbattere in Italia. Signori e città li assoldavano volentieri proprio per togliere le armi ai cittadini e sudditi, i quali erano contenti di scansarsi la naia: così l’Italia finì in mano a bande di tagliagole che, fingendo di combattersi e spesso accordandosi di soppiatto prima della battaglia (“il bavarico inganno”), arrotondavano con il saccheggio di popolazioni volenterosamente e stupidamente disarmate e disarmatesi.
Alla fine del XIV secolo, sia detto per inciso, iniziò la “milizia italiana” con quell’Alberigo da Barbiano da Conio, che smentì clamorosamente Dante il XIV del Purgatorio, che dei Conio profetizzava l’estinzione per indegnità. Ma non solo il Sommo, pure il Petrarca era morto.
Anche le nostre squadre di calcio sono fatte ormai di peregrine scarpette: stranieri fino ai due terzi. Domanda: dove li troviamo, undici italiani buoni più le riserve? O ce li dobbiamo inventare come l’egiziano e il brasiliano? O aspettiamo qualche ius soli calcistico, Dio liberi? Dallo ius soli in genere, e da quello sportivo in specie. Insomma, servono meno forestieri nelle squadre italiane… italiane, si fa per dire: cinesi! Meno non vuol dire nulla: tutti abbiamo ammirato alcuni campioni come Charles o Suarez; e gli “oriundi” come Sivori. Ma c’è un limite.
Attenzione, non è tanto un’idea balzana. Nel 1962, quando l’Italia – in verità anche per un arbitraggio scandaloso – venne eliminata dal Cile, si decise una moratoria degli stranieri, e andò bene. 1962, non c’erano al governo i fascisti e razzisti.
Da dove devono spuntare, i calciatori italiani? Dai vivai delle squadre, e qui non dico nulla, non conoscendo la situazione.
Quello che è certo è che non esiste una politica italiana dello sport. Le scuole raramente dispongono di una palestra; le strutture sono poche e mal tenute, salvo non rendano soldi. Poi non dite che sono nostalgico: se c’è sport, oggi, è a pagamento, non gratis e obbligatorio come nel Ventennio.
E troppo spesso oggi l’atleta sta a fare la pubblicità in compagnia di una fidanzata di tutt’altra razza e forma e mentalità: e non si può essere calciatore e damerino assieme. E qui torniamo al Petrarca: ai signori di oggi convengono di più zerbinotti e signorine della “generazione Bataclan”, ragazzi volti all’edonismo spicciolo, malleabili con una serata di sballo, mollaccioni di corpo e di anima, più che giovani consapevoli. Lo sport non è svago per smidollati, è impegno, è sacrificio, e allenamento, è disciplina morale e fisica. Non so se una certa mentalità gradisca giovani sani e forti, o non piuttosto mammoni e piagnoni e beoni, e ogni tanto una dose di porcherie peggiori! Qualora un lettore dovesse pensare che chi scrive sia un bieco reazionario, ebbene lo informo che è esattamente così.
Occorre una politica seria dello sport in genere e del calcio in specie. Se no, quattro dilettanti ci battono, e l’Italia piomba per un giorno nel lutto nazionale; poi, esaurito il pianto, non assume provvedimento alcuno.
Ulderico Nisticò