Nell’azienda del padre di Giggino portabevande Di Maio, sembra che qualcuno (almeno uno) lavorasse in nero. La notizia è uscita fuori dopo un servizio delle Iene dove è stato intervistato tal Salvatore Pizzo di Pomigliano d’Arco che ha sostenuto che per ben due anni avrebbe lavorato senza contratto per l’azienda di famiglia del vice-premier. Interessante anche il fatto che il Pizzo abbia deciso di denunciare la cosa solo ora, quando in realtà i fatti risalgono a ben otto anni indietro. Come si dice, carpe diem… cogli l’attimo! Chiaramente Gigino si è giustificato per se stesso e la sua posizione sembra avulsa da qualsiasi responsabilità. Ma ha condannato il fatto in se, pur trattandosi del padre, elogiando il Pizzo che ha avuto il coraggio di denunciare questa vicenda che lo stesso Di Maio ha definito “grave”.
Molti si scandalizzano. E giustamente. Perché non vivono la realtà del territorio e non vedono che il lavoro non regolare, detto anche lavoro nero, è la prassi in molte aziende medio piccole del sud Italia. E’ vero che molti lavoratori sono costretti ad accettare lavori siffatti in condizione di assoluta necessità subendo vessazioni al limite del mobbing, ma è anche vero che molti lavoratori sguazzano nella melma di questo sistema illegale che demolisce alla base il sistema paese fondato sul lavoro. Vi spiego cosa, presumibilmente, fanno molti pseudo-furbi nel sud d’Italia. Lavorano a contratto per un certo numero di mesi/anni. Poi, con la compiacenza dell’azienda, si fanno licenziare così da permettergli di avvantaggiarsi dei vari sussidi di disoccupazione e allo stesso tempo continuano a lavorare in nero per l’azienda che gli verserà uno stipendio esente da qualsiasi tassa (per l’azienda e per il lavoratore) che si aggiungerà al sussidio già percepito. Finito il tempo dell’assegno di disoccupazione, l’azienda li riassumerà e il ciclo riprende senza soluzione di continuità. In sostanza, questi signori, che penseranno di se stessi di essere dei geni, stanno massacrando il futuro dei nostri figli. E il bello è che questi pseudo-lavoratori-usurpatori di futuro, per l’Istat, sono quei poveri che avrebbero anche i titoli per usufruire del reddito di cittadinanza, perché versano, sulla carta, in condizioni di indigenza estrema.
C’è da dire che non sarebbe nemmeno troppo complicato smascherare questa macchina criminale. I furbetti del black work non si preoccupano di far finta di vivere in condizioni di povertà, ma ostentano la loro miseria girando in audi, mercedes o bmw, ufficialmente regali di parenti lontani. Vivono in case di proprietà, però intestate a nonne sul far del tramonto. E se li cerchi nelle loro abitazioni durante la giornata, non ci sono mai. Per ben otto ore consecutivamente. Mi chiedo perché non si ha la voglia di scoperchiare il vaso di Pandora. Chi ci guadagna? Perché?
Nell’attesa che Gigino portavivande Di Maio subisca da tv, giornali e benpensanti lo stillicidio che si riserva a chi si espone al pubblico ludibrio, facciamo finta che vada tutto bene, che in un paese perfetto, l’unico che commette reati sul lavoro sia Babbo Di Maio.
Gianni Ianni Palarchio (Blog)