Così, nel solito intento di accontentare tutti nella stessa frase, recita l’art. 5 della carta del 1948: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Una e indivisibile è un’espressione giacobina, cara a quei tagliagole, alla lettera, con la ghigliottina!, di Robespierre e soci, e poi a Napoleone, e venne applicata in Francia alla lettera. Comunque sta scritto che l’Italia è una e indivisibile con le autonomie. E non facciamo come con l’art. 11, di cui qualcuno legge solo 5 parole quando sono 58!
In Italia, quando ancora nemmeno avevano iniziato a scrivere la detta carta, il luogotenente del Regno, poi re Umberto di Savoia firmava lo Statuto della Regione Sicilia. Attenti alle date, siamo prima del 2 giugno 1946, quindi quelli che scrissero la carta si ritrovarono già, senza il loro parere, una Sicilia autonoma. Lo Statuto siciliano è un documento esplosivo, che fa dell’isola quasi uno Stato federato con l’Italia: grazie a Dio, i siciliani non lo hanno mai nemmeno letto, e si sono allegramente contentati di un mucchio di spiccioli privilegi. Però carta canta, e la Sicilia è autonoma.
Seguirono, dopo non molto, Sardegna, Val d’Aosta, Friuli, Trentino Alto Adige: e, per non farsi mancare niente, il Trentino Alto Adige è diviso in due “Province autonome”: Trento e Bolzano. Bolzano che, per segrete ma evidenti motivi, nemmeno votò per il referendum istituzionale e l’assemblea costituente: toh!
Sarò distratto, ma non ho mai sentito nessuno lamentarsi dell’esistenza di queste sei autonome entità, inclusi certi aspetti finanziari che riguardano soprattutto, ma non solo, Bolzano. No, nessuno ha mai pianto.
Del resto, quando si parlava di unità politica dell’Italia, altrettanto nessuno, tranne Mazzini, pensava a farne una e indivisibile, ma tutte le proposte erano per una confederazione o federazione. Ci fu un fugace e impacciato tentativo di fare una guerra assieme (Prima guerra d’indipendenza, 1848-9); ma intanto successe il putiferio: la Sicilia era in rivolta armata contro Napoli; qui liberali e mazziniani tentarono una mezza insurrezione, repressi da esercito e popolo; i mazziniani e repubblicani cacciarono Pio IX… Dieci anni dopo, le cose andarono in modo del tutto diverso e centralista.
Autonomia significa anche gestione dei propri soldi delle proprie tasse e risorse; o dei soldi che, in vario modo, arrivino dallo Stato o dall’Europa. La Calabria, da quando disgraziatamente esiste come Regione (1970), ha ricevuto valanghe e slavine di denari che non ha spesi, e ciò per pochezza umana della classe dirigente politica e burocratica. Pare che adesso le cose stiano cambiando: o almeno lo spero.
Dal 1970 al 2022 è stato un ininterrotto disastro. E non ricordo che qualcuno abbia mai elevato la benché minima protesta. Nessuno: né partiti, né sindacati, né giornali, né tv, né intellettualoni eccellenti nel piagnisteo senza fare nomi! Il motivo è palese: tanto, stipendi e pensioni arrivavano lo stesso da Roma.
Io invece voglio che l’elettore sia messo in condizione di sapere per nome e cognome se Tizio e Caio usano bene il denaro, e lo spendono. E non prendersela genericamente con “i politici”, o come fanno certi amici miei sognanti, con Nino Bixio ammesso sappiano chi fu: proprio con nome e cognome; e non rieleggere gli inetti e ignoranti. E se funzionari, colpirli nella tasca, come ha annunziato voler fare il governo: e anche in questo caso, aspetto di leggere un nome di sederepiatto effettivamente punito.
Come vado scrivendo da anni anche su queste pagine di Soveratoweb, mi sta benissimo una Regione Ausonia (Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria), con ampia autonomia.
Io ho detto come la penso. Sarei felice se qualcuno rispondesse, e non con ingiurie generiche e ridicole invenzioni di una storia che mai fu e sbarchi di Ulisse; ma con solidità di argomenti e in modo civile. Finora ho sentito e letto solo propaganda spicciola; e tentativi di fornire alibi a una classe politica inetta quale, con rare eccezioni, quella calabrese dal 1861.
Ulderico Nisticò