Prepotenze e violenze ai danni di un giovane durante una serata di movida a Reggio Calabria. É la vicenda che ha portato all’arresto da parte della Squadra mobile reggina di un giovane di 22 anni, Giovanni Tegano, nipote nonché omonimo del presunto boss della ‘ndrangheta e capo dell’omonima cosca, attualmente detenuto.
L’arresto di Tegano é stato fatto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa dal Gip di Reggio Calabria su richiesta della Dda con l’accusa di violenza privata, aggravata dalle modalità mafiose.
I fatti che hanno portato all’arresto di Giovanni Tegano risalgono alla sera del 28 maggio del 2017 ed accaddero davanti ad un bar frequentato dalla movida reggina. Tegano giunse sul posto insieme ad altri giovani a bordo di un’auto a forte velocità, impattando col marciapiede vicino al luogo in cui era seduto un giovane che stava trascorrendo la serata insieme ai propri amici.
Quest’ultimo face cenno al conducente di andare piano, trovando tuttavia la pronta reazione del guidatore che scese dall’auto, insieme ad altri quattro giovani, e con fare minaccioso gli si rivolse con la frase «Non sai chi sono io? Sono Giovanni Tegano», continuando poi ad inveire e ad utilizzare la chiave dell’autovettura spingendola contro il collo della vittima, tanto da provocarli lesioni.
Le violenze, secondo quanto ha riferito la Questura di Reggio Calabria, sono consistite anche nel fatto che il giovane é stato anche costretto a non allontanarsi dal posto per un successivo confronto con Tegano e nell’impedirgli di utilizzare il proprio telefono cellulare. La vicenda ha rischiato poi di degenerare in violenza nel momento in cui Tegano, avvisato da alcuni amici che la vittima intendeva contattare le forze dell’ordine, é uscito dal bar ed ha cercato, senza riuscirci, di colpirlo con schiaffi e pugni. Le indagini, coordinate dal pm antimafia Walter Ignazitto, sono state svolte attraverso escussioni testimoniali e riprese video che hanno confermato quanto dichiarato dai testimoni.
«Al giovane Tegano – riferisce la Questura – viene contestata l’aggravante mafiosa per avere evocato, ostentando il proprio cognome, la forza intimidatoria dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, storicamente espressione di una delle più temibili frange della locale criminalità organizzata».