Se il fascismo fosse rimasto al potere (cioè se avesse vinto la guerra, o la guerra non ci fosse stata), oggi, 28 ottobre 2016, inizierebbe, anche ufficialmente, l’anno novantetreesimo dell’Era Fascista, ovvero XCIII E.F. Il 28 ottobre 1922 si compiva l’atto politico simbolico della Marcia su Roma; il giorno dopo, Mussolini riceveva dal re l’incarico di formare il governo, e l’avrebbe mantenuto fino al 25 luglio 1943.
I fatti. La Prima guerra mondiale era finita inopinatamente in anticipo, con il collasso interno dell’Impero Austroungarico (4 novembre 1918), e della Germania (11 novembre). I vincitori avevano fatto piani politici e militari per il 1919, e loro stessi, e tutta l’Europa Orientale, piombarono nella confusione, di cui approfittò quasi solo la Francia; il governo italiano mostrò la netta incapacità di reggere quella che, con l’esito della guerra, era diventata una Grande Potenza. Di fronte alla questione di Fiume, Vittorio Emanuele Orlando scoppiò a piangere, suscitando l’ironia del prostatico Clemenceau: Si je puis pisser comme il pleure! A stento Giolitti rabberciò Zara e un’assurda Città libera di Fiume; niente colonie. Tale pessima gestione della politica estera (vittoria mutilata) segnò la fine della classe dirigente postrisorgimentale.
Non meno fallimentare la gestione della politica interna, con improvvisata smobilitazione dei soldati, crisi economica, ondate di scioperi; e linea del governo liberale di rigoroso non intervento, cioè stare a guardare.
Alle elezioni del 1919 risultò maggioranza relativa il Partito socialista; ma questo, come sempre la sinistra, era dilaniato tra tentazioni di potere (“erano dei borghesi che provavano orrore del proletariato e temevano la rivoluzione”, dirà anni dopo di loro Mussolini) e velleità bolsceviche, sulla scorta delle notizie che venivano dalla Russia. Nel 1921 i socialisti meno approssimativi fondarono il Partito Comunista d’Italia. Tra i fondatori, Nicola Bombacci che, divenuto fascista, cadrà fucilato a Dongo.
Tra gli ex combattenti e le destre, non minore la confusione; e ciò spiega a sufficienza come tutto il composito mondo degli interventisti, dei soldati, della piccola borghesia, dei nazionalisti, trovasse punto di riferimento credibile un uomo che, venendo dalla sinistra e dalla conoscenza del leninismo, era l’unico a poter creare una forza politica consapevole e organizzata, quindi un partito gerarchico. Mussolini affermò una sintesi di socialismo e nazionalismo, che superava il periodo risorgimentale medio e alto borghese, e nazionalizzava le masse, guadagnandole allo Stato; e le inquadrò con disciplina e contenuti.
Nella mitologia fascista, restò simbolico l’evento di Dalmine, quando per la prima volta gli operai in sciopero innalzarono sulla fabbrica non un’insegna rossa ma il tricolore. Mentre i liberali continuavano a sperare, crocianamente, nelle virtù autonome della storia, cioè che le cose sia aggiustassero da sole; e i socialisti annaspavano nell’incertezza; il fascismo, da piccoli inizi, andò crescendo nel consenso.
Tra il 1919 e il ’22 l’Italia fu anche teatro di frequenti scontri di piazza, sempre nella quasi totale indifferenza dei governi liberali che andavano cadendo e sorgendo. Alcuni episodi furono da guerra civile, come l’assalto a Parma dato da Italo Balbo alle trincee difese dagli Arditi del popolo, formazione comunista militarmente organizzata; i più, da tafferugli e violenze estemporanee. Si contarono 400 morti; per quelli che amano simili macabre computisterie, 250 fascisti e 150 rossi.
Nel 1921 i Fasci si fusero con i nazionalisti, e nacque il Partito Nazionale Fascista. Curiosità filologica: la parola fascio, nata a sinistra con il senso di “associazione” (Fasci siciliani), passò a significare romanità, dall’insegna dei consoli, il Fascio littorio; e littorio divenne sinonimo di fascista: città di Littoria, corazzata Littorio… L’apporto dei nazionalisti pose un freno alle tendenze repubblicane, che ritorneranno con i tragici bagliori della RSI.
Crescendo il fascismo, Giolitti pensò, ingenuamente, di potersene servire e poi dismettere. Propose un governo Salandra con quattro ministeri fascisti. E figuratevi se non c’erano miei camerati con l’acquolina in bocca e speranzosi di posti fissi: tipo lo sbracamento ignobile di Alleanza Nazionale 1995, vero? S’impose Michele Bianchi, la migliore mente pensante dopo Mussolini; e vinse la linea della presa del potere.
Non mancarono intese con elementi monarchici, in particolare con la regina vedova Margherita e il duca d’Aosta; e vari altri. Donde la fiducia ottenuta da Mussolini alla Camera e al Senato, alla testa di un governo ancora di coalizione con liberali, popolari ed esponenti di altissimo prestigio: il filosofo Gentile, il generalissimo Diaz; e il sostegno attivo di figure come d’Annunzio, Marinetti, Marconi, Pirandello, Ungheretti… ; e la tardiva opposizione di Croce che pure al senato aveva votato a favore. Esempio evidente, Croce, di come Mussolini abbia vinto perché era il solo ad avere le idee chiare in mezzo a un’Italia di chiacchieroni e furbetti e incapaci. Lo provò la raffica di Regi Decreti che, in pochi mesi, cambiarono l’Italia, e che sono in gran parte ancora vigenti. Curiosità: il primo documento della riforma Gentile porta la data del 31 dicembre (San Silvestro!) 1922; così i professori se lo trovarono dopo l’Epifania.
Quanto alla Marcia su Roma fu un atto simbolico. Poteva divenire un momento drammatico, quando Facta, un giolittiano di turno al governo, propose al re lo stato d’assedio, cioè di fermare i fascisti con l’esercito. Era molto probabile che almeno parte dei militari si rifiutasse di usare la forza sui fascisti per mantenere al governo un insignificante Facta, e ciò avrebbe comportato gravi conseguenze anche istituzionali. Vittorio Emanuele III non firmò, e, secondo lo Statuto Albertino, nominò Mussolini.
I partecipanti alla Marcia vennero insigniti di Sciarpa Littoria; non faccio fatica a immaginare che accanto ai marciatori autentici si siano infilati degli abusivi e imbucati e voltagabbana del 1922, come poi saranno nel 1943 in senso contrario; e come spuntò che Scalfaro fosse partigiano dopo essere stato giudice della RSI fino al giorno prima. Ma così funziona l’Italia, e non funziona bene: nella Germania hitleriana era normale che generali e alti funzionari non fossero iscritti al Partito nazionalsocialista, e nessuno glielo chiedeva. La tessera dell’italico PNF venne distribuita a troppo piene mani e in cambio di poco impegno, fino a farsi chiamare “la tessera del pane”! Tutti fascisti? Così il Partito si ridusse a ente di Stato, benemerito di attività sociali, sportive eccetera, ma sempre più svuotato di contenuti politici. Ma questa è un’altra storia.
Interessante anche la cronaca del fascismo soveratese; ne diremo in qualche occasione.
Ulderico Nisticò