Si chiude un 2019 che non ha mantenuto quasi nessuna delle promesse e aspettative del 31 dicembre 2018. Se a qualcuno, preso singolarmente, è andata bene, fu un’eccezione; detto in generale, un anno qualsiasi.
Per quanto mi riguarda, ringrazio gli attori, i musicisti, la danzatrice, i tecnici, e il pubblico delle repliche di Faber a Soverato, Chiaravalle, Sersale, Petilia Policastro; e di Lo scalpello della Fede; Eleonora e Michelina; Cronache del Quarzo; Il soffio di vento del tempo, Sensazioni sull’effimero; La notte dei Normanni; Inno alla luce.
Come tutti, mi auguro e vi auguro che il 2020 sia migliore. Sì, però, tenetevi forte: è bisestile, e da quando c’è, il bisesto è detto anno funesto. Speriamo non sia vero!
Da quando c’è? In verità, dal XVIII secolo, che tornò a molte usanze dei Romani. Era il secolo della ragione illuministica, che, come è ovvio, si portò dietro anche un mucchio di esoterismi immaginari e superstizioni borghesi; come se non bastassero quelle popolari!
L’anno tornò a contarsi come ai tempi…
Ai tempi di Romolo, l’anno romano si divideva il dieci mesi; con inevitabile sfasatura tra quello legale e quello astronomico. Se ne deduce che tutte le date dell’età regia e di quella repubblicana sono inesatte: ma ci siamo, e non si possono cambiare milioni di libri di storia.
Giulio Cesare, che, come Napoleone e un’altra persona, fece le riforme con l’unico metodo serio, i decreti, chiamò l’astronomo Sosigene di Alessandria, il quale compì il prodigio di un calendario perfetto (quasi), rispettando le tradizioni romane. I mesi divennero dodici, di durata disuguale come i nostri.
Poiché occorreva recuperare ogni anno sei ore, febbraio, che è breve, venne utilizzato per ricevere un giorno intercalare ogni quadriennio, e si scelse il raddoppio del 24. Nel complicato modo latino di indicare i giorni, ecco “ante diem bis sextum Kalendas Martias”, in sigla a.d.b.VI.Kal.Mart.
Nel Medioevo le popolazioni si diedero spesso particolari calendari; mentre la Chiesa conservò il Giuliano. Era però evidente ai più accorti che c’era qualche sfasatura, in particolare per il calcolo della Pasqua. Il cardinale Sirleto presentò il lavoro di Luigi Giglio (Aloyius Lilium) da Cirò a papa Gregorio XIII, che, sempre con un decreto (bolla Inter gravissimas, 1582), abolì dieci giorni di ottobre, e sancì l’attuale modo di misurazione dell’anno; con un secolo bisestile, che non si è ancora verificato. Per farla breve, Giglio aveva costatato un errore di sei minuti nel computo di Sosigene.
Inutile dire che la Calabria se n’è fregata e del Giglio e del Sirleto nelle rispettive ricorrenze del 2014 e 2010. E già, mica erano lo sbarco di Ulisse o i soliti piagnistei!
Quanto al Calendario Gregoriano, lo adottarono i Paesi cattolici; e solo dopo il 1714 la Gran Bretagna; alcune Chiese orientali autocefale si sono decise ad accettarlo, ma non tutte, e in particolare quella russa. La rivoluzione d’ottobre avvenne a novembre, e solo il regime comunista sancì il Gregoriano; ma non la Chiesa, nemmeno sotto Stalin; e figuratevi ora.
Entriamo nel 2020 dopo la nascita di Cristo, secondo il concetto di Cassiodoro di centralità di Cristo nella storia, e il calcolo di Dionigi lo Scita, che stabilì l’equazione 0 = 753 di Roma. Qualcuno critica tale computo, e lo arretra di quattro anni.
Ormai è 2020 in tutto l’orbe. Ma saremo nel 2773 di Roma; 2799 delle Olimpiadi; per gli Ebrei ortodossi, un 6000 dalla creazione; e hanno proprie numerazioni Cinesi, Giapponesi, Etiopi… Né dobbiamo dimenticare Beroso, che retrodatava la storia del mondo di almeno trentamila anni.
Comunque, buona fine e buon principio.
Ulderico Nisticò