In questi giorni i vari telegiornali stanno aprendo le loro edizioni con le notizie su quanto sta accadendo in Afghanistan e lo fanno non nascondendo una certa incredulità (sorpresa?) come se, all’improvviso, un esercito sconfinato di talebani fosse uscito fuori dal cilindro di un mago, e con velocità sorprendente, in pochi giorni, ha preso possesso di quasi tutto l’Afghanistan. Una domanda sorge spontanea: ma quali notizie ci hanno fornito i nostri commentatori nel corso di questi lunghi venti anni? Quale immagine hanno voluto dare al pubblico della grande coalizione? Una coalizione, un’alleanza ampia benedetta dall’ONU e dalla NATO, un’operazione militare con un nome Enduring Freedom che oggi, visto ciò che è accaduto, suona come una beffa. In testa gli Stati Uniti che, in nome della lotta al terrorismo e della necessità di esportare la democrazia, hanno deciso di invadere e prendere possesso di un Paese la cui stragrande maggioranza della popolazione era, e continua ad essere, composta da pastori e nomadi, con una delle economie più povere del pianeta, dove si vive con poco più di un dollaro al giorno, dove non esistono ferrovie (se non un breve tratto di 75 km) in un territorio grande quasi il doppio dell’Italia.
Oggi gli americani vanno via e con loro gli alleati della grande coalizione. Sono trascorsi vent’anni dall’inizio dell’occupazione di quel Paese (avevano parlato di liberazione e di esportare la democrazia, ricordate?). L’occidente democratico e liberale si faceva carico di un’azione storica: debellare una volta per tutte il terrorismo, portare pace e sicurezza in nome dei principi sacrosanti della nostra santa (e sempre sia lodata) democrazia. Vent’anni, un tempo lunghissimo per un esercito di occupazione, un tempo più che sufficiente per riorganizzare uno Stato, le sue strutture economiche e politiche, per sviluppare economia e infrastrutture, per costruire scuole e luoghi di aggregazione, per creare consenso e approvazione. Per permettere ai più piccoli di completare un intero ciclo di studi (dalla scuola dell’infanzia all’università), per modificare e contrastare stereotipi e pregiudizi con l’educazione, l’istruzione e l’esempio.
Un paragone, tra i tanti, possiamo farlo. Gli Usa, occuparono militarmente il Giappone alla fine della seconda guerra mondiale e la presenza delle truppe americane durò dal 1945 al 1952 (entrata in vigore del trattato di San Francisco). Sette anni sui quali possiamo stender un pietoso velo ma che, in ogni caso, cambiarono in modo irreversibile le sorti del Giappone e segnarono la transizione al nuovo governo giapponese che avvenne in maniera, tutto sommato, sufficientemente tranquilla.
Nel 2001 le potenze occidentali, con alla testa gli Usa, iniziano la guerra e la conseguente invasione dell’Afghanistan, colpevole di ospitare e foraggiare il terrorismo internazionale. Lodevole intenzione ma, come sappiamo, le strade dell’inferno sono lastricare da buone intenzioni.
Nel corso di questi vent’anni, prima dell’uscita di scena dell’esercito americano (e, a seguire, come era ovvio, degli alleati) cosa abbiamo saputo dell’Afghanistan? Poco o nulla. Le informazioni che i mass media ufficiali ci hanno fornito sono state, in gran parte, rassicuranti. Certo, continuavano a esserci zone che sarebbe stato meglio non frequentare; l’Afghanistan non poteva ancora essere considerato un luogo tranquillo, adatto a trascorrere le vacanze, ma, in ogni caso, la presenza delle truppe di occupazione (o di liberazione come qualcuno avrebbe detto) avrebbe garantito una relativa sicurezza. L’annuncio del ritiro delle truppe americane e, per effetto domino, degli alleati, ha alzato il velo dell’apparenza e mostrato a tutti che, ancora una volta, il Re è nudo. Nel giro di qualche giorno i talebani hanno preso possesso di quasi tutte le province dell’Afghanistan (ma dove erano finiti? Sono stati così bravi a nascondersi in tutti questi anni? E l’intelligence della Nato, degli Usa e degli altri paesi alleati, era in vacanza?).
Quando nel 1979 le truppe sovietiche dell’Armata Rossa entrarono in Afghanistan si trattò di un’invasione con l’obiettivo (buone intenzioni?) di controllare o eliminare un possibile estendersi dell’influenza islamica che avrebbe potuto diffondersi anche nelle regioni sovietiche confinanti con l’Afghanistan. L’occupazione dell’Armata rossa sovietica durò dieci anni, dal 1979 al 1989. Dieci anni che non sono stati sufficienti a domare la resistenza afghana che, tra l’altro, raggruppava varie tribù ed etnie che, nel passato, erano state in lotta tra di loro. Possiamo quindi affermare che l’invasione sovietica un effetto lo ebbe di sicuro: divenne un fenomenale collante, capace di dare modo a quel movimento che poi avremmo conosciuto con il nome di talebani, di rafforzare la propria capacità organizzativa (e comunque, dopo il ritiro delle truppe sovietiche i talebani impiegarono tre anni per sconfiggere l’esercito regolare afgano addestrato dai sovietici). In quell’occupazione, quini, vi erano da un lato i sovietici invasori, e dall’altro i talebani e le altre organizzazioni afghane, unite dallo scopo comune di cacciar via dal suolo afghano l’Armata Rossa e di poterlo fare grazie anche all’appoggio militare e logistico delle potenze occidentali a partire da quello offerto (in armi e denaro) dagli Stati Uniti d’America.
Nel 2001, come reazione all’attentato terroristico a New York, quel genio politico di Bush, il texano, decise di colpire l’Afghanistan per sradicare il terrorismo e portare la democrazia in quel Paese. Nel 2003 sarebbe toccato anche all’Iraq e qui stendiamo un altro pietoso velo su menzogne e false prove che furono portate per suffragare la necessità di quell’intervento militare. Dal 2001 al 2021 la potenza militare americana, sostenuta da quella dei tanti paesi occidentali (e non) e con la benedizione dell’ONU, che appoggiarono quell’invasione, avrebbe finalmente garantito il trionfo della pace, della giustizia e l’ingresso dell’Afghanistan tra i Paesi democratici e civili (con una strizzatina d’occhio al modello occidentale).
Ora, le informazioni che arrivano ci dicono che, dopo 20 anni (un periodo di tempo lunghissimo, l’intervallo di una generazione) gli americani si ritirano e con loro gli alleati occidentali e che, come un miracolo (Allah Akbar potrebbe dire qualcuno) i talebani sono di nuovo diventati i padroni dell’Afghanistan.
Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio è l’antico monito che ci viene dato per riuscire, finalmente a comprendere errori e menzogne perpetuate in nome di un principio superiore e, di conseguenza, per agire con correttezza ed equità. È il caso di ribadire la validità di quanto si afferma nella nostra Costituzione, la necessità di ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Un esercito di medici, infermieri, insegnanti e volontari, rispettosi delle differenze culturali, in vent’anni avrebbe certamente saputo fare di meglio.
Gianni Paone
Scrittore e Presidente associazione di promozione sociale TERRA DI MEZZO