Un defunto venuto alla luce a Pompei si chiama M[arcus] Venerius Secundio. Lascio agli archeologi di spiegarci modalità e circostanze della sepoltura; e faccio qualche curiosa riflessione.
Secundio è nominativo; il genitivo fa Secundionis. Venerius, se, a quanto pare, si tratta di un liberto, potrebbe essere un calco latino di un nome greco come Ἀφροδίσιος, o da uno dei tanti appellativi di Afrodite, la dea dell’amore: Cipride, Cipria, Pafia, Amatusia, Cnidia…
Afrodite, o Venere, è la dea poliade di Pompei, e dea dell’amore. L’amore a Pompei era di casa, come mostrano, tra l’altro, le immagini pubblicitarie senza parole, ma con esposizione molto chiara. Le altre pubblicità sono scritte, spesso in un latino regionale; interessanti, anche in vista del 4 ottobre prossimo, i graffiti elettorali.
Secundione era addetto al culto di Venere, e anche al culto imperiale di Augusto: del resto, non erano i Giuli dei discendenti diretti di Enea, figlio di Venere? Se non lo erano, con il tempo e il potere lo diventarono!
Egli organizzava spettacoli nei teatri cittadini, e, leggiamo, sia lavori in latino, sia in greco. Il greco era la lingua del mondo globalizzato, dal Mediterraneo all’India; i Romani ne facevano uso anche chiacchierando tra loro, sia pure con sdegno dei tradizionalisti.
È però importante ricordare che Strabone scrive essere scomparso il greco parlato dal Meridione d’Italia, tranne che a Reggio, Taranto e Napoli: s’intende, con i dintorni. Pompei era porto e luogo di ricchi e variegati commerci, quindi la frequentavano viaggiatori di ogni origine.
Un Secundio ce l’abbiamo anche noi, in quella che ancora (Pompei viene distrutta nel 79) si chiamava Colonia Minervia Scolacium, poi (96-8) Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium, e che è la più grande e notevole area archeologica romana a sud di Pompei. È quel Decimius Secundio che donò alla città i gradoni del Capitolium. Visitate il Parco e il ricchissimo Museo, intellettualoni indigeni con sei lauree!
Secundio doveva essere un appellativo di liberti? O avevano avuto lo stesso padrone?
C’è a Scolacium anche una Novia, nome che appare accanto al Secundio di Pompei, e si pensa fosse la moglie. Moglie… andiamoci piano. Se sono dei liberti, come pare, la loro non è una piena cittadinanza romana, in punta di diritto. Libertus è uno schiavo liberato (ciò avveniva frequentemente, e per molti motivi), che spesso diviene, o era già divenuto da schiavo, uno benestante, imprenditore, e quindi importante nelle città, e anche a Roma. Ma nessun libertus fu mai console o dux di eserciti; onori e onori dei veri Romani, come il legittimo matri-monium. Furono di origine servile il primo poeta, Livio Andronico; il comico Terenzio Afro; Publilio Sirio; Orazio; Fedro.
I figli dei liberti, per quanto spesso guardati male (“me rodunt omnes libertino patre natum”, Orazio sorride), erano cittadini. Guardati male e invidiati, come la caricatura di Petronio: Trimalcione.
I padri, liberati, avevano avuto un patronus romano, prendendone il nome. Lo schiavo Afer divenne Terentius; Andronicus, Livius.
Gli schiavi di origine greca avevano, generalmente, un nome; gli altri, erano indicati dalla nazionalità. Molto comune era il nome Gavius, che troviamo anche a Scolacium, in un’iscrizione purtroppo a metà. Egli dedica qualcosa alla sua “Fors Fortuna”: nato o finito schiavo, diventò poi ricco; Fortuna, in latino, è una parola ambigua, come rimane nel nostro dialetto: “a fortuna mia!”.
Quanto sono vicini a noi, i Romani!
Ulderico Nisticò