La derisione e lo sfottò quotidiano


Caro Raffaele, avevamo individuato in uno spiccato senso di superiorità (e, quindi, nella subdola o palese sottomissione di altri attraverso una qualsiasi e pur minima violenza psico-fisica) una delle principali matrici del razzismo, il quale, con le sue innumerevoli sfumature e indici di gravità, può andare dalla semplice presa in giro fino al genocidio.  Ad esempio, la derisione è una delle sue più gravi e comuni sfumature, tanto da essere non episodica ma addirittura sistematica e quotidiana, a tutti i livelli sociali, dai bambini fino alle più alte cariche dello Stato. Nei nostri paesi, molto spesso, la derisione prende le forme assai diffuse dello “sfottò”. Come possiamo constatare, siamo enormemente lontani dalla più antica e armoniosa legge dell’Umanità (condivisa e rilanciata pure dal Vangelo): ama il prossimo tuo come te stesso!

1- IL RAZZISMO QUOTIDIANO

Sappiamo che solitamente, quando si parla (scientificamente o propagandisticamente) di “razzismo”, si fa riferimento soprattutto al “razzismo storico” ovvero alla discriminazione o segregazione razziale (più o meno grave, pretestuosa e delittuosa) … a quel razzismo cioè subìto dagli ebrei, dai neri afroamericani, dai meridionali, degli immigrati, dalle etnie, da alcune religioni, dai cosiddetti “diversi” e via dicendo. Fatti storici o clamorosi. Non pensiamo quasi mai al “razzismo quotidiano” … quello che colpisce quasi tutti o quello che produciamo noi stessi nel nostro piccolo, persino senza che ce ne rendiamo conto… tanto siamo intrisi di tale “cultura omicida-suicida” morale o addirittura fisica e sadomasochista. Ma ci sarebbe pure da considerare i “contro-razzismi”… cioè i razzismi prodotti paradossalmente da coloro i quali storicamente stimiamo abbiano subìto angherie a carattere razziale. I martiri. La realtà non è mai così semplice, chiara e lineare come si può pensare. Gli intrecci della violenza (piccola o grande che sia, quotidiana o storica, fisica o psicologica, culturale e politica) sono talmente tali e tanti, spesso così perversi, che non si riesce a trovare il bandolo della intricata matassa, per cui i torturati possono a loro volta diventare torturatori e le vittime a loro volta carnefici.

Infatti, ognuno di noi è potenzialmente un razzista, un assassino e un suicida, poiché, il bene e il male convivono in noi e sta a noi far prevalere uno o l’altro. Il più convintamente e stabilmente possibile. Nessuno di noi è esente da questa che è la contraddittoria “condizione umana” comune a tutti, indistintamente a tutti. Forse potremmo ammettere qualche rara eccezione, ma ne dubito.

Quasi trenta anni fa ho elaborato una teoria (derivata da una lunga osservazione pratica) secondo la quale chi uccide fisicamente o psicologicamente, poi a sua volta, si suicida dentro. Teoria che (contenuta nel testo di commento al romanzo di Rosa Gallelli, Spiragli da una bocca di lupo, da me edito nel giugno 1992) è piaciuta ad alcun i psicologi e psichiatri. E’ vero che si distrugge una vita, ma è pur vero che si distrugge anche la propria, in un modo o nell’altro. Il rimorso si può pure affrontare con spavalderia ma c’è e rode la propria esistenza nel profondo, rendendola inutile o quasi. Nemmeno la cosiddetta “redenzione” può cancellare il male, tanto è grave uccidere. E’ un boomerang. Come quello dell’uccisione dell’Armonia attraverso la distruzione del nostro habitat, dell’ambiente, del pianeta. E’ il nostro suicidio! E un “auto-razzismo”! Paradossale, no?…

Ormai sai bene, caro Raffaele, che queste lettere sul “razzismo è una gramigna” non hanno alcuna pretesa, ma unicamente l’umile “spirito di servizio” per cercare di migliorare noi stessi, poiché (tra tante altre pulsioni negative che ci caratterizzano in attività o in quiete) c’è un razzismo che ci riguarda più o meno tutti. Considera questo mio raccontare come un quadro impressionista. Tende a dare delle pennellate emotive oltre che di conoscenza di situazioni, di fatti e di personaggi.

E’ mio stile dare a me stesso degli “input” di riflessione a voce alta e che, poi, estendo a chi ha voglia di riflettere insieme a me. Ed è poi una mia caratteristica, del tutto spontanea e naturale, parlare al cuore e ai sentimenti più che ai cervelli e alle menti. La parte sentimentale di noi è quella che può salvare il mondo ancora meglio e di più che non la volontà o i ragionamenti. Ne sono convinto. Ciò è dovuto pure al fatto che l’emotività è più vicina all’Armonia più di qualsiasi altra nostra facoltà ricettiva ed operativa. Nel pluripremiato film di Mario Martone Capri-Revolution (2018) c’è un personaggio che afferma: “La rivoluzione siamo noi!”. Ebbene, è proprio questa la verità proclamata già dai più antichi pensatori e filosofi. Tutto parte da noi. La nostra “mediocrità”, la nostra “perdizione” o la nostra “salvezza”!

Ma tale “salvezza” spesso viene impedita da quella parte di noi che è ostaggio delle passioni più incontrollate ed irruenti. In particolare dal “malorgoglio” e dalle ideologie (tutte sovrastrutture cervellotiche che non tengono conto del cuore, della vera natura delle persone e dell’Armonia). L’arte però sta nel tenere a bada il nostro irrazionale cercando di convogliare la nostra energia nel migliorare il mondo e non nel peggiorarlo o addirittura nel distruggerlo (come purtroppo stiamo facendo ora). A proposito di ideologie o di catena para-ideologica intergenerazionale, senti questa! Entriamo, così, nel vivo del nostro razzismo quotidiano.

2 – SCIOCCA E PERDENTE

Durante le ferie estive 2020, appena trascorse, ho conosciuto una simpatica, giovane ed aggraziata famiglia padana di ceto medio-alto (il capo è un piccolo industriale) con una “forma mentis” tipica degli americani di stile “trumpiano”. Infatti il presidente USA Trump è il loro idolo.  Posizione rispettabile anche se non condivisibile da tutti. La loro legge è “vinca il più forte” ed è, in pratica, la forsennata competizione sociale ed economica …. altra forma di razzismo, a ben vedere (e comunque a mio parere), specialmente perché in pratica si basa sul “suprematismo” delle classi dominanti (che tende ad escludere, a discriminare, a sottomettere). E si fonda sul concetto che ci deve essere chi vince e chi perde, come se non potessimo stare bene tutti bene, in amicizia (possibilmente amore), collaborazione e cooperazione (premessa della coppia e della famiglia, prima cellula della società)!

Evidentemente in casa parlano tra coniugi e forse anche ai figli in modo tale da educarli a tale visione della vita e della società locale e globale. Senza esclusione di colpi. Hanno pure una bimbetta assai energica (già con il piglio di leader) al suo esordio scolastico (prima elementare). Ovviamente gioca innocentemente con altri bambini. Ad una sua coetanea, compagna di giochi (che evidentemente avrà fatto qualcosa a lei sgradito), ha detto perentoriamente: “Sei sciocca e perdente!”.

Ecco, bisogna appartenere ad una società di “vincenti”, avere “successo”, “primeggiare” a tutti i costi … cosa che di per sé non sarebbe poi tanto male se uno si limita a valorizzare i propri talenti, le proprie doti, senza sopraffare gli altri per vincere (pure con brogli, trucchetti e giochi di borsa e persino crimini). Ma da qui a dividere il mondo in “vincenti” e “perdenti” la cosa cambia. E si può persino sentire odore di razzismo, poiché spesso il vincere presuppone il vanto della propria superiorità e l’umiliazione (o la povertà e miseria) dell’altro. Non a caso il filosofo Pitagora non ammetteva il metodo della competizione nemmeno alle Olimpiadi.

A parte una certa educazione familiare, sappiamo che i programmi televisivi, cinematografici o divulgativi non sono scritti e realizzati dai frati francescani che hanno il motto di “Pace e Bene”. Le tante Hollywood del mondo si attengono a sfruttare acriticamente le mode del momento e, ovviamente, a quel filone “padronale” che rispecchia le ideologie di chi ci mette i soldi per realizzare, distribuire e trasmettere tali programmi. E i bambini (ma anche gli adulti) ne restano influenzati a tal punto che la loro “forma mentale” è “tarata” a quelle idee standard. Con un costante “lavaggio del cervello”. 24 ore su 24.

Bisognerebbe valutare quanto razzismo ci sia non soltanto nei “format” multimediali (specialmente nel linguaggio che poi i bambini apprendono e diffondono senza pensarci o per gioco) ma anche in tutte le fonti ideologiche e di intrattenimento, mercantili e politiche, destinate a tutte le età, dall’infanzia alla vecchiaia. Certo è che dare del “perdente” è sintomatico in una ben determinata visione delle cose e delle persone. Soprattutto se il tono della voce è di derisione più o meno assoluta e definitiva, categorica per condannare o addirittura per distruggere. Specie se detto da chi si sente già parte dei vincitori e in presenza di altre persone. In questo caso persino in un gioco di bambini, apparentemente semplice ed innocente. La legge del vincitore ha animato persino un uomo come Enzo Ferrari, creatore del mito nelle gare automobilistiche.

Eppure, ti assicuro caro Raffaele, c’è di peggio in giro, pure in bimbetti di scuola materna, specchio del proprio ambiente. La derisione (con il suo senso di superiorità e di sufficienza, quando non di offesa e di umiliazione) è un “virus” diffusissimo. Purtroppo. Proprio come la gramigna. E come la gramigna difficile da estirpare. Ma non abbiamo altra alternativa che tentare di arginarne il più possibile la diffusione ed il male.

Purtroppo, ad alimentare la discrepanza tra vincitori e vinti, c’è tutta una letteratura sui perdenti, che caratterizza ogni genere di film, romanzi, saghe e quanto altro, poiché l’eroe vincente è importante nelle storie da raccontare (non soltanto nello sport) ma è necessaria, anzi indispensabile la controfigura del perdente (così pure nella grande Storia). E’ una tragica spirale che non si riesce ancora a risolvere. E ci cascano, a volte, persino grandi scrittori ed illustri artisti.

La più grande ed epocale rivoluzione umana e sociale sarebbe proprio quella di non avere più vincenti e perdenti, ma che tutti siano vincenti nel trasformare il mondo in un equilibrio il più possibile armonico. Utopia? No, necessità … anzi … urgenza (come ripeto spesso). Questo traguardo è, umilissimamente, il mio cantiere permanente di lavoro nel contesto di tantissimi altri sforzi che da millenni si stanno producendo per riportare l’Umanità in un riequilibrio indispensabile (pure per questo nella primavera del 1990 ho fondato idealmente l’Università del Riequilibrio dove si possa studiale l’Armonia sociale e le opere per ripristinarla).

3 – COMMEDIA SATIRICA E DERISIONE

E nella categoria della “derisione” potremmo inserire tutti quei sinonimi e quelle sfumature che la cultura ordinaria ci ha consegnato nel corso dei secoli. Le nostre ultime (dal 1954 in poi, in pratica) sono generazioni che (cresciute più o meno quasi tutte davanti alla televisione e adesso con i “social” praticamente sempre a portata di mano) risentono di elementi tipici dell’ironia delle vignette, del sarcasmo più simile alla derisione, della innocente risata comica, della sagàce e bonaria sàtira delle commedie … fino agli scontri verbali e ai tafferugli dovuti alla cattiveria beffarda di ogni genere. Purtroppo, non manca, alla fine di tutto ciò, persino l’omicidio a sfondo razziale che quasi quotidianamente ci proviene prevalentemente dagli Stati Uniti d’America dove il razzismo è di casa già dalle prime importazioni di schiavi africani. Secoli ormai. Ed è cronaca televisiva quotidiana, ahimé, disgraziatamente.

Ma chi ha fatto studi classici o chi vi si è acculturato, sa bene che fin dall’antichità e in tutti i popoli è sempre esistita la scena teatrale dove la categoria della derisione (con tutti i suoi attributi, le sue espressioni e le sue sfumature) ha un posto da protagonista. Una derisione bonaria fatta, pare, a fini pedagogici oltre che per spettacolo e divertimento. L’emblematica frase del poeta latino Orazio (65 – 8 a.C.) “Ridentem dicere verum: quid vetat?” (contenuta nei “Sermones” al libro 1 – Satira 1 – verso 24) già codifica, con il suo significato (cosa vieta di dire la verità scherzando?), tutto un genere espressivo assai intelligente ed arguto quasi mai offensivo che, ad esempio, nel nostro cinema, prende il nome di “commedia all’italiana” erede della “commedia dell’arte” (conosciuta all’estero, già ancora prima del 1564, data di un atto notarile, come “Commedia italiana”). Tutto ciò nel contesto della lunga e gloriosa “storia del teatro occidentale”… specialmente di quello con una forte valenza socio-psico-pedagogica di massa.

C’è un’altra frase che (ancora più efficace e popolare di quella di Orazio) rimanda al medesimo concetto ed è attribuita al letterato francese Jean de Santeuil (1630 – 1697): “Castigat ridendo mores” – Castiga o corregge i costumi ridendo. Una frase dedicata principalmente alla figura di Arlecchino, la maschera forse più famosa della suddetta “Commedia italiana” che, già a quell’epoca, aveva grande successo pure a Parigi. Peccato che, oggi come oggi, è personaggio pressoché dimenticato, assieme ad altri fondamentali della nostra cultura identitaria. Nella corsa al benessere materiale e al superfluo ci stiamo dimenticando della nostra anima che rischiamo di perdere per sempre, subendo una trans-migrazione genetica quale oggi non riusciamo ad immaginare.

Ma, per capire meglio di cosa stiamo parlando, siamo soliti ormai fare ricorso al vocabolario. Il quale assegna alla parola “derisione” il significato di scherno, dileggio, beffa, burla, canzonatura, irrisione, sfottimento, sfottitura. E al termine “sfottò” altri sinonimi, più o meno, del medesimo valore negativo: canzonatura, burla, derisione, dileggio, irrisione, presa in giro, sbeffeggiare, schernire.

4 – DERISIONE E SFOTTO’

Chi di noi non ha avuto esperienza (in forma attiva o passiva) di almeno un episodio di derisione o sfottò?… Nei nostri ambienti paesani, specialmente tra i giovani e giovanissimi (o al cosiddetto emblematico “bar dello sport”), è quasi una regola quotidiana che può andare dal fare scherzoso ed amichevole a vere e proprie liti con conseguenze spesso molto incresciose. In ogni caso è un atteggiamento negativo che tende a mettere non soltanto in ridicolo la vittima ma persino a provocarle del male psico-fisico, cercando di annullarne la personalità, specie nei casi più gravi e seriali.

La derisione e lo sfottò sfociano, spesso e nei casi più gravi, nel “bullismo” che è assai presente e preoccupante in numerosi ambienti, soprattutto tra gli adolescenti e nelle scuole con il suo carico di arroganza, impertinenza, insolenza, irriverenza, maleducazione, prevaricazione, sfrontatezza, spacconeria, spavalderia, strafottenza, violenza psico-fisica (come afferma, in particolare, il vocabolario Treccani). Speso si può sconfinare in altri comportamenti persecutori, perseguiti dal codice penale.

5 – ARMI PSICOLOGICHE MICIDIALI

L’essere umano ha sempre usato vari tipi di armi pur di ferire i propri avversari o annientare i nemici, nella competizione per la sopravvivenza o per il predominio su territori e ricchezze come di persone e popoli. Nel corso di migliaia d’anni ha inventato ed usato un’infinità di armi (sempre più sofisticate) pronte ad uccidere fisicamente, ma, con il tempo, ha perfezionato anche altre armi di carattere psicologico, non meno efficaci e micidiali. In particolare, nella guerra fredda (1947-1998) tra Occidente democratico e Oriente comunista così come attualmente nella competizione socio-economica-politica tra Potenze, specialmente USA-CINA, si è usata e si continua ad usare (con nuovi metodi) la cosiddetta “guerra psicologica”.

Una delle prime armi è stata l’abilità a provocare “panico” negli scontri diretti (ad esempio, nelle battaglie) e “paura” permanente nei sottomessi. A noi è ben nota, ad esempio, la paura dell’inferno o di un’altra vita dolorosa (dopo la morte). La paura paralizza e rende soggiogati coloro che ne sono vittime, offrendo alle classi dominanti facile gioco di predominio spirituale, economico e politico fino alla vera e propria schiavitù. Non meno deleteria è la “paura alimentare” … la fame, la povertà, l’indigenza, la miseria. O quella per le malattie, come ad esempio questa del Covid-19 che stiamo soffrendo a livelli addirittura planetari (non si sa ancora se e quanto provocata e a che reconditi fini, come ormai è sospetto diffuso).

Tutto ciò è vero e proprio razzismo, poiché si basa sul concetto che i più forti comandano e i più deboli devono essere asserviti ed in condizione di sofferenza, più o meno grave e continua, senza via d’uscita. Ogni tipo di violenza ha un’origine razzistica. Razza padrona. Ricordi questa espressione che circolava quando al potere, in Italia, c’era il partito della Democrazia Cristiana?… E, probabilmente e paradossalmente, questa stessa espressione di “razza padrona” era essa stessa “razzista” poiché tendeva a demolire quel partito non batterlo elettoralmente e civilmente nel dialogo democratico-costituzionale. Tutto si gioca sul filo della più sottile intelligenza o furbizia. Quasi una partita a scacchi, la cui posta è il predominio delle tasche, dei cuori e delle menti delle persone. Usare le armi da fuoco oggi potrebbe essere addirittura controproducente.

6 – INTRECCIO DI RAZZISMI

Così, nella lotta per la sopravvivenza o lo strapotere, si attua un tale intreccio di razzismi reciproci da provocare un vortice e una spirale da cui è difficile districarsi ed uscire. Ne è prova quotidiana quando, proprio con la derisione, i vari partiti (quelli al governo e quelli all’opposizione) si fronteggiano usando l’arma impropria della “derisione” con il tentativo di ridicolarizzarsi a vicenda e persino di delegittimarsi. Sarà pure il “teatrino della politica” come sostengo alcuni. Però, tra tante altre ricadute negative, c’è pure il cattivo esempio che si dà alle giovani generazioni dal più alto consesso istituzionale … quello che dovrebbe garantire (anche solennemente, con prestigio e autorevolezza) il sereno e dignitoso svolgersi della vita democratica e del progresso civile!

Ciò avviene persino a livelli internazionali tra capi di Stato e di Governo (nuovi attori della “Commedia umana”), generando divertimento ma anche smarrimento e sfiducia tra le persone ed i popoli. Famosi e quasi quotidiani i “twitter” con cui si fronteggiano e si deridono tra loro i politici, dal “lecchino” di paese ai giganti mondiali. Non è certo uno spettacolo edificante! … E, probabilmente, pure questo continuo “beccarsi” fa parte di una concordata strategia? Infatti, a chi giova tutto ciò?… Come sostenevano gli antichi Romani che ben s’intendevano di imperialismo?…  “Divìde et impera!” – Divìdi (e confondi) le genti (e le menti) e comanda su di loro. Ricordi?

E le persone ed i popoli ci cascano con tutte le scarpe!… La derisione crea pure le tifoserie e dentro le stesse tifoserie altri tipi di divisioni create principalmente dalla derisione in una gara forsennata senza fine e senza costrutto. Più le persone e i popoli sono divisi, più sono manovrabili e soggiogabili, anche se con modi apparentemente gentili, dai quattro gatti, padroni del mondo.

7 – LA DERISIONE TEATRALE E INTELLETTUALE

Se ci hai fatto caso, nell’elenco dei sinonimi della “derisione” offerto dal vocabolario italiano, non c’è l’ironia (quantunque ne sia una parente). Quindi, la derisione è o può essere ben altra cosa dall’ironia, quella usata spesso dai comici in modo raffinato ed intelligente per evidenziare i difetti e i paradossi della politica, dei politici e di taluni personaggi pubblici, ma anche della gente comune e della condizione umana in genere. Tuttavia, alcuni Autori, come Dario Fo (1926-2016), ad esempio, uno dei più illustri ed eleganti fustigatori del malcostume socio-politico-culturale e persino religioso (tanto da meritarsi il Premio Nobel per la Letteratura nel 1997), non hanno rispettato i pur labili confini tra ironia e derisione. Probabilmente lo esigevano i tempi. Ma, a volte, c’è andato alquanto pesante!….

A chi detiene un qualsiasi potere pubblico o a chi è assurto alla notorietà non fa certo piacere essere preso di mira dal cocente sarcasmo dei comici o di altri … quantunque, paradossalmente, se ne può ottenere addirittura maggiore notorietà e vantaggio. Figurati come e quanto possa essere “perversa” l’attività della derisione! “Parlate male, purché parlate di me” recita una regola pubblicitaria. Ciò, non ha impedito, però, nel corso della Storia, ai fustigatori dei cattivi costumi di essere perseguitati o persino pagare con la morte il loro ardire. Infatti, la derisione a volte è un rischio. Un ardire. Un azzardo. Pericoloso. Molto pericoloso.

Sta di fatto, però, che il Potere non se ne sta con le mani in mano e attua tutta una serie di ritorsioni, di derisioni e di attacchi verso quegli intellettuali che, a parte i comici, criticano con argomenti seri (a volte persino scientifici) l’operato di politici ed amministratori, specialmente di quelli che si macchiano di crimini gravi e di varie ruberie nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche ed istituzionali. A volte scatta l’omicidio. Tappare le bocche è una tentazione troppo forte. Non disturbate il manovratore!… Ricordi?…

8 –  UN MUSEO DELLA DERISIONE

Caro Raffaele, mi sembra così importante, basilare, addirittura strategico-risolutivo trattare anche pedagogicamente tale diffusissimo fenomeno che ho addirittura proposto un vero e proprio “Museo della derisione”… con un annesso istituto universitario socio-sanitario, anche in funzione preventiva.  Ecco, qui di sèguito, il testo del comunicato stampa pubblicato da www.soveratoweb.com (17 ottobre 2016) e da altri giornali internet e cartacei.

<< Nei giorni appena trascorsi, durante le cerimonie di estremo saluto tributato all’attore Dario Fo, premio Nobel per la Letteratura nel 1997, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha dichiarato di voler valorizzare al massimo possibile la figura e l’opera dell’illustre artista scomparso con iniziative adatte alla sua statura universale. Così Domenico Lanciano, responsabile dell’Università delle Generazioni di Agnone del Molise, ha inviato una lettera al primo cittadino del capoluogo lombardo per proporre di realizzare ed intitolare proprio a Dario Fo un “Museo della Derisione” oppure un multimediale “Museo dell’intellettuale deriso”.

Domenico Lanciano motiva tale proposta con l’attinenza dell’arte della derisione e dei suoi tanti sinonimi, positivi e negativi, fatti propri in vario modo da Dario Fo nella sua lunga e proficua vita di affabulatore teatrale e politico, e comunque presenti (purtroppo solo in negativo) fin dai primordi dell’umanità, quindi universali. Infatti così scrive l’animatore dell’associazione agnonese: “Ben si sa da che mondo è mondo: la “derisione” è sempre stata una potente arma psicologica per indebolire e avvilire nemici ed avversari … Un museo o un multimediale del genere potrebbe rifare la “Storia dell’Umanità” sotto la luce della “derisione” (magari ponendo come figura centrate “il Cristo deriso” come simbolo, appunto di ognuno di noi)”.

Secondo Lanciano un “Museo della Derisione” potrebbe “stupire il mondo” per la sua originalità e attrattiva e, questo, potrebbe destare grande curiosità e fare venire in Italia e a Milano, in particolare, milioni di visitatori poiché sarebbe una struttura unica, utile e lungimirante, autofinanziabile in gran parte. Inoltre, una simile iniziativa potrebbe diventare un momento di “pedagogia sociale” tesa ad educare le persone e i gruppi proprio in un’epoca, come quella attuale, in cui sono in gioco equilibri tra i grandi popoli ed importanti culture e civiltà nella globalità sempre crescente e la tensione e la delegittimazione reciproche potrebbero scatenare conflitti anche armati tali da mettere in serio pericolo il nostro pianeta, già afflitto da innumerevoli seri problemi. Per tale motivo, Lanciano ha inviato la medesima lettera pure ai rettori di due università milanesi (Gianluca Vago e Cristina Messa) e al direttore dell’Accademia di Brera, Franco Mazzocco, nonché al presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni.

Il “dialogo gentile” tra persone e popoli è essenziale alla pace e alla solidarietà. Un eccesso di derisione (come purtroppo vari tragici episodi storici e anche attuali dimostrano) degenera sempre in crimini difficilmente controllabili, ragion per cui è assolutamente necessaria una educazione individuale e sociale al rispetto e alla valorizzazione reciproca per eliminare o almeno arginare fenomeni come l’irrisione politica, ad esempio, o abitudini altrui (persino il bullismo), come succede quotidianamente generando conflitti più o meno gravi. La derisione mista all’orgoglio e all’irruenza può essere una miscela esplosiva, sia tra persone che tra popoli. Un Museo della Derisione potrebbe contribuire notevolmente a prevenire. >>

9 – LA DERISIONE COME UMILIAZIONE

Soleva dire il Mahatma Gandhi (1869-1948) “Per me è sempre stato un mistero perché gli uomini si sentano (persino) onorati quando impongono delle umiliazioni ai propri simili”. Specie se fatta in pubblico, la derisione può essere considerata vera e propria umiliazione. La quale, come appunto la derisione, tende a distruggere, in modo più o meno totale, la persona cui viene inflitta.

In alcune comunità (le più diverse, dalle accademie militari a talune scuole, ad esempio, nei conventi o nelle pseudo-terapie riabilitative) la derisione, l’umiliazione o la fustigazione pubblica sono ancora considerate un utile metodo educativo e formativo, addirittura imposto per fortificare il carattere (come se non ci fossero altri e migliori modi)! Metodi medievali, dirai! “Così è (se vi pare)” diceva Luigi Pirandello.

Ricordi l’espressione “subire una cocente umiliazione”? Come voler dire “la fine di tutto”… il mondo che ci crolla addosso. Ciò che a volte ci stronca la vita sociale. Eppure, ho notato taluni personaggi che, nonostante siano passati attraverso tali sofferenze che definirei assolute, hanno inflitto, a loro volta, ad altri la medesima “cocente umiliazione” (magari persino maggiorata). Come vedi, ci sarebbe veramente tanto da lavorare per ingentilire l’animo umano ed evitare così tormenti che (divenuti, spesso, atroci “vendette”) moltiplicano la spirale dell’odio con conseguenze individuali e sociali inaudite e sempre drammatiche quando non addirittura tragiche e nefaste!

10 – LA GELOTOFOBIA

Caro Raffaele, ritengo sia utile ribadire che queste mie lettere non hanno alcuna ambizione ma sono soltanto pure e semplici annotazioni (in parte pure giornalistiche), imparziali e rese in buona fede, poiché fungono da promemoria personale e sociale, per come tratte dalla mia diretta esperienza o da ciò che ho osservato in 70 anni di esistenza. Non hanno (nemmeno lontanamente) la pretesa di essere o divenire un benché minimo “trattato sul razzismo”.  Quindi non voglio assolutamente sfiorare discorsi colti o scientifici.

Però, questa volta voglio fare una piccola eccezione per evidenziare il termine “gelotofobia” derivato dal greco “gelos = risata” (ghelio?) e “phobia = paura, ansia”. Confesso che è la prima volta che incontro tale parola, alquanto curiosa in verità (sembrerebbe significare “la paura del gelo o del gelato”!) e forse forse nemmeno scritta bene (meglio “gheliofobia”?).

Ovvero (come spiegano alcuni siti internet, tra cui Wikipedia) la “gelotofobia” è una paura intensa e irrazionale di essere derisi o di essere oggetto di scherno e può essere concepita come una particolare forma di fobia sociale. Siamo già nel patologico serio o addirittura clinico. E forse pure “cinico” (nel senso del “cane bastonato”). Ne soffrono tantissime persone, in numero che non riusciamo ad immaginare, poiché spesso è una patologia occulta, quasi sempre nascosta, da assenza di autostima, dalla eccessiva timidezza o solitudine delle persone. Tradotto in termini popolari, tale fobia si veste spesso di “permalosità” o di “suscettibilità” (in forma abnorme, quasi irrazionale, con un retroterra però anche di disagio ambientale e/o di isolamento sociale).

11 – LA DERISIONE CONIUGALE E FAMILIARE

Ma, come sempre, è la famiglia il primo ambiente dove i bambini assistono alla derisione o ne prendono involontariamente le lezioni. Derisione reciproca tra coniugi o tra genitori e figli o tra figli. Chi non ha mai assistito (con sentimenti di preoccupazione o di pietà) ad un marito che deride, spesso molto pesantemente, la moglie o viceversa?!… Ciò avviene spesso in presenza dei figli, i quali ne soffrono anche se non lo danno a vedere. Sono traumi che poi si portano dietro e, a volte, condizionano persino la loro futura vita, anche coniugale! Ne potrei portare numerosi esempi tratti dalla nostra realtà calabrese.

Come sempre più frequentemente dimostra la cronaca nera, la derisione è alla base di aspri litigi tra coniugi, delle separazioni e dei divorzi. La parola “maltrattamenti” spesso implica la derisione, cui seguono lo stalking (persecuzioni) e le violenze fisiche e, quindi, nei casi più gravi l’uxoricidio (in gran parte femminicidio). Se esaminiamo meglio le situazioni, all’inizio c’è quasi sempre un episodio di derisione. Ma, in genere, quante liti e quanti omicidi avvengono persino per una semplice parola impropria o detta male in determinati contesti, ancora oggi nel 21° secolo!

12 – LA DERISIONE SCOLASTICA

Immediatamente dopo la famiglia, è la scuola l’altro ambiente dove la derisione trova il suo triste manifestarsi, quasi uno truce spettacolo. Si parla tanto di “bullismo” a scuola. Ed è purtroppo vero. Così come è pur vero che spesso sono gli insegnanti ad usare variegate espressioni di derisione verso i propri alunni. Cosa nefasta, oltre ogni immaginazione. Ne sappiamo bene un po’ tutti qualcosa. La derisione come metodo pedagogico! Adesso, però siamo giunti al paradosso: sono gli alunni e persino i loro genitori che deridono gli insegnanti, inveiscono loro contro o addirittura li percuotono!

Come spesso ripeto in ogni sede comunicativa scritta e parlata (pure a monito storiografico e pedagogico), è stato per diversi motivi ma principalmente a causa della derisione subìta da taluni sacerdoti-docenti che nel dicembre 1968 ho lasciato il liceo classico salesiano di Soverato (CZ). Malauguratamente però non ho trovato di meglio (come invece supponevo) al liceo statale di Locri (RC). Dalla padella alla brace, come si usa dire. Quelli erano i tempi e le persone, quelle le mentalità!

Dobbiamo riflettere tutti e molto bene, responsabilmente, su noi stessi come persone ma anche sui sistemi educativi, sull’uso delle parole e del linguaggio. Che, poi, alla fin fine, significa depurarci mente, cuore ed anima. La Scuola (oltre ai mass-media) è la ancora sede-base più adatta a realizzare tale rivoluzione etica ed estetica. Ma, tanto dipende pure dai mezzi di comunicazione sociale, a tutti i livelli, pubblici e generalisti, privati e personalizzati.

13 – LA DERISIONE RELIGIOSA

E, dopo famiglia e scuola, la terza stazione educativa delle persone per importanza è quella religiosa (almeno dalle nostre parti e, in particolare, nella mia passata stagione formativa). Nel nostro caso, consideriamo adesso la Chiesa cattolica, sul territorio solitamente più diffusa delle stazioni dei Carabinieri. Non so come e quale sia al momento la situazione, giacché sono oltre 40 anni che non pratico più tali ambienti. Però (ai tempi della mia infanzia, adolescenza e giovinezza … anni 1956-1975) era frequente che i sacerdoti si concedessero alla derisione di questo o di quello, di varie situazioni e ideologie, comportamenti e stili di vita! Persino dal pulpito! Addirittura, la chiamata era nominativa, così come il rimprovero, pure dall’altare e in una chiesa piena di gente!

In particolare, il concetto di “peccato” imposto anche culturalmente oltre che religiosamente dall’ideologia cattolica è parte del “razzismo” di cui sono impregnate, a prescindere, talune religioni “superioriste” (si credono essere l’unica verità esistente, non ammettendone quasi altre) che manifestano appunto sentimenti di superiorità morale, di proselitismo e di imposizione della propria visione del mondo e delle cose, quasi che il medioevo più triste ed oscurantista insiste ancora ed aleggia sulle nostre vite. Chiesa cattolica ed altre religioni che all’Amore divino hanno sostituito tutta una serie di selezioni etiche all’interno stesso del popolo di Dio per non parlare degli altri considerati “infedeli” – “atei” – “non credenti” – “miscredenti” e via dicendo … una classificazione che non farebbe piacere ad un Dio di solo Amore e di fratellanza, quello comunque “misericordioso”. Ufficialmente siamo tutti figli di Dio, nel concreto no. Manca la fede, prima di tutto, ma pure la coerenza tra il dire ed il fare e, a volte, le regole più elementari del vivere civile.

Dio pare sia misericordioso, ma il suo clero meno. Quanti si sono allontanati da tale religione proprio per quell’aspetto di superiorità e di supponenza che manifestava!… Perché adesso le chiese e le funzioni sono sempre più vuote e le vocazioni hanno toccato i minimi storici, tanto è che quasi in ogni località ci sono parroci di importazione dall’Africa e dall’America Latina?… E che dire delle religioni divenute folclore?…

Se vogliono salvarsi, le Religioni (e quella Cattolica in particolare, così piena di incrostazioni e contraddizioni millenarie) devono assolutamente fare un gran lavoro di purificazione epocale. Attualmente (salvo qualche parziale eccezione) sono quasi tutte sulla cattiva strada, poiché, pur avendo avuto iniziali valori condivisibili, hanno purtroppo attualmente premesse e attività sbagliate e, spesso, anche nefaste sulle persone e sui popoli. Non sono Religioni d’Amore ma di divisione e, quindi, razzistiche. Questo per parlare chiaro, data l’importanza che hanno assunto per l’intera umanità, nolenti o volenti.

14 – LA DERISIONE POLITICA

La medesima cosa si può dire per la “Politica” con l’aggravante che, operando sulla concretezza della vita delle persone, ha un impatto più concreto e visibile. D’altra parte la derisione e le parole discriminanti (e persino d’odio razzistico) sono il manifesto di taluni partiti, la loro predicazione e prassi quotidiana. Pure la Politica dovrebbe fare un profondo lavoro di purificazione o almeno di dignità civile. Spesso Chiesa e Politica sono interdipendenti (in maniera palese od occulta), specie in alcuni Stati slavi-cristiani dove non nascondono (salve eccezioni) tale legame. Con tutto ciò che ne consegue.

Per come le conosco, sono certo che le Religioni non inizieranno alcun processo di auto-purificazione ed è per questo che nulla cambierà in meglio nelle nostre società e nel mondo intero. Anzi, la tendenza è verso il peggioramento, con tante e tali incognite da percepire un futuro di ulteriori drammi e forse di immani tragedie. Non c’è, infatti, alcuna Politica d’Amore o Religione d’Amore. Tutti hanno tradito le basi fondative, diventando altro. A volte l’esatto contrario, Religioni di Potere.

Pure per tali motivi, specialmente in politica è una continua derisione. E ne fa le spese, come sempre, il popolo e, dentro al popolo, la gente più povera, debole ed indifesa. Proprio quella per cui sono nate la vera Politica e la vera Religione, risucchiate, entrambi, proprio dal loro tradimento … fin troppo beffardo. Chi, come me, ha vissuto in entrambi gli ambienti (volontariamente, proprio per conoscere il più possibile) può dirlo: il Potere è sempre e comunque, per natura, contro il popolo. L’Amore è, invece, popolare.

15– LA DERISIONE SUI TERREMOTI

La conferma di ciò che ho appena detto può essere intravista negli abominevoli e raccapriccianti episodi di “derisione” intercettati dalle conversazioni telefoniche di personaggi che, legati a doppio filo con la politica ed il Potere in genere, sghignazzavano sulla morte altrui e sulle catastrofi, fregandosi le mani per i futuri appalti e le speculazioni che ne avrebbero fatto nel ben conosciuto sistema di corruzione. E tutto ciò proprio mentre la gente era appena morta o lottava per la vita sotto le macerie dei terremoti o di altre calamità naturali o sociali.

Infatti, quasi sicuramente, ognuno di noi ha ascoltato in televisione (o in altri mezzi di comunicazione) la registrazione telefonica della divertita e beffarda derisione e soddisfazione che due speculatori affaristici hanno fatto sulla tragedia de L’Aquila la notte stessa del terremoto del 6 aprile 2009, pregustando i lauti guadagni che avrebbero potuto ricavare dall’emergenza e nella ricostruzione. “Mors tua vita mea” (la tua morte è la mia vita). La registrazione di tale agghiacciante derisione dura appena 27 secondi, ma è divenuta il simbolo di una delle tante vergogne nazionali. La si può ancora riascoltare su internet.

Uguale macabra derisione è avvenuta pure in una telefonata tra due speculatori-affaristi per come intercettata proprio la notte del primo terremoto di Amatrice e dell’Italia Centrale (Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche) il 24 agosto 2006 (dopo oltre 7 anni dalla prima intercettazione resa pubblica, segno che l’esperienza non insegna nulla a taluni).  Addirittura a ridere sui morti del terremoto dell’Aquila del 2009 pare sia stato persino un prefetto, cioè una persona delle istituzioni! E derisioni telefoniche su altri gravi eventi sono state registrate persino ad un noto onorevole della sinistra parlamentare. Insomma, sembra non ci sia limite all’irriverenza e alla derisione in fatti così gravi. Risate istituzionali, potremmo dire. Un malcostume inaudito che è l’emblema della situazione politico-culturale dell’Italia di oggi, preda della corruzione e della follìa morale e civile. Se l’Italia regge è per le tantissime persone oneste che ancora resistono. Ed è loro, caro Raffaele, che dobbiamo ringraziare. Tutte e devotamente.

16 – LA DERISIONE SUI LUOGHI DI LAVORO

Altra situazione che conferma in che tipo di nazione viviamo e che classe dirigente abbiamo, è come vengono trattati in genere i lavoratori, non soltanto sui luoghi di lavoro, ma anche con un “usa e getta” tanto beffardo quanto criminale. Pure le delocalizzazioni, sono (a mio avviso) espressioni di derisione e deriva razzista verso la propria nazione, oltre che mancanza di patriottismo etico, ma anche verso le nuove nazioni usate e sfruttare per il minore costo del lavoro. Ma l’aspetto più doloroso riguarda gli immigrati che, pure beffardamente, vengono tenuti in condizioni sub-umane, nella nostra sedicente civilissima Italia e, in particolare, nel nostro meridione che vantava spiccate doti di accoglienza e di umanità da millenni.

Purtroppo, i luoghi di lavoro non sono soltanto lo specchio della società circostante ma, essendo una piccola o grande comunità a sé stante, hanno tutti i pregi e tutti i difetti degli ambienti circoscritti, dove prevale sempre il più forte. Ognuno di noi ha potuto vedere e constatare ciò che succede pure in quanto alla “derisione” del lavoratore, il quale è costretto a sopportare ogni genere di angheria per il solo fatto che “ha famiglia”. Però ho notato che il ritornello “tengo famiglia” rappresenta (al contrario) pure un pretesto per prevaricare. Insomma, l’intreccio c’è, anche se a farne le spese sono, come al solito, i più onesti.

17 – LEI NON SA CHI SONO IO

Un altro esempio, che vale come specchio del Potere, è quello assai frequente nel passato (ma qualche nostalgico lo si trova ancora adesso, sotto altri modi e maniere). Ricordo che, fino agli anni 70, era possibile ascoltare un po’ dovunque in Italia il ritornello e l’esclamazione (quasi minacciosa) “Lei non sa chi sono io!”. Veniva usato frequentemente da chi, appunto, si riteneva superiore agli altri e addirittura quasi “intoccabile” o in grado persino di mantenere precedenze e privilegi pure a scapito delle leggi (che in teoria dovrebbero essere uguali per tutti). Ovvero il signor “la faccio franca”. I cosiddetti furbetti. In sintesi quella che da qualche anno è stata definita “la casta”.

Il ritenersi “nobile” o “altolocato” (con aderenze  o complicità di Potere) e, quindi, “superiore” agli altri è prassi ancora adesso di chi evita di “mischiarsi” con il popolo, ritenuto ancora “plebe” senza diritti ma solo doveri e riverenze. Può essere considerato “razzismo” pure l’atteggiamento aristocratico che deride chi non lo è. Non parliamo poi dell’atteggiamento degli “oligarchi” o di chi “unto da Dio” o “sovrano per grazia di Dio” o “direttamente” illuminato o nominato dalla Nazione pretende di esercitare poteri non previsti (almeno i quei modi) più nemmeno dalla Storia.

Eppure c’è ancora oggi (posso testimoniarlo) chi afferma “Lei non sa chi sono io!” e magari recita il rosario tutti i giorni, legge il Vangelo, va a messa la domenica e fa la comunione. Confermando così che l’appartenere ad una Religione o ad una Classe sociale nobile o altolocata (o presunta tale, c’è da sottolineare) dà motivo di sentirsi superiore agli altri, con conseguente godimento di privilegi umani e sociali che sconfinano nella illegalità. Sconfinamento ritenuto addirittura un diritto. E la derisione è il loro pane quotidiano. Anzi su questa si fonda gran parte del loro “potere”.

18 – DERISIONE ED EMIGRAZIONE

Per ciò che ho potuto notare (specialmente negli anni ’60-’70-’80), la derisione ha avuto un peso determinante nella decisione di alcuni di abbandonare, a volte per sempre, il proprio paese natìo. Conosco personalmente numerosi di questi casi. Assai assai dolorosi.  Spesso la derisione e la conseguente nomea (a volte frutto di calunnie e di rancori) feriscono molto gravemente l’animo delle persone (in particolare di quelle più sensibili ed oneste), tanto da indurle a lasciare (seppure assai malvolentieri) la propria comunità. Se posso dare una indicazione quantitativa, direi che, a occhio e croce, un buon 20% di persone che hanno lasciato la propria comunità di origine è dovuto proprio alla derisione (alla cattiva o ingiusta nomea e ad altre forme di umiliazione sociale tanto cocenti da non farle tornare più al proprio paese). Parlo con cognizione di causa ed anche per esperienza personale, per constatati e vissuti tradimenti sociali. Ci sono tanti invisibili “gulag” dispersi per il mondo.

L’emigrazione, come molti altri casi di carattere antropologico e sociale, è sociologicamente e storicamente un fenomeno assai complesso.  Non è, comunque, soltanto la povertà a costringere persone e intere famiglie ad andare via. La derisione paesana, a volte, può essere devastante. Così come il pettegolezzo delle comari.

19 – IL PETTEGOLEZZO DELLE COMARI

Di solito, il pettegolezzo delle comari è sconvolgente nei nostri paesi, così come è, a volte, micidiale il pettegolezzo televisivo che può distruggere la vita di persone, famiglie e persino comunità. La lingua è una parte nobile del nostro corpo, ma può essere un’arma assassina. “La lingua ne uccide più della spada” dice infatti un antico proverbio. Alcuni pettegolezzi generano mostri e intenzionalmente tendono ad “uccidere” moralmente e socialmente le persone. In forma più sofisticata, tale pratica è propria dei regimi totalitari. I regimi totalitari non sono soltanto politici ma sono principalmente socio-culturali.

Dico “pettegolezzo delle comari” giusto per dare l’idea dei “covi di vipere” (come si suole dire)  che emettono veleno in serie, ma, nei nostri paesi, c’erano o ci sono altre fabbriche di fango la cui metodologia si estende, in forme ed effetti più ingigantiti, a livelli nazionali e, a volte, anche planetari. Il “distruggi-persone” è uno sport perverso ma di grande effetto e goduria per chi lo fa. Ho notato le “malelingue” bearsi nel vedere il frutto delle loro attività distruttive. Pure così dimostrano il loro “potere”.

Derisione e calunnia, quindi, viaggiano di pari passo e fanno parte di un catalogo di miserie umane e sociali che tendono a distruggere il più possibile. Diceva Gandhi: “La persona che non è in pace con sé stessa sarà in guerra con il mondo intero”. Ed è vero, poiché la derisione e l’annessa calunnia sono il sintomo rivelatore che la persona (che emette tali ignominie) soffre di una qualche carenza affettiva o disturbo psichico che impedisce di avere un equilibrio. Infatti, un pettegolezzo, una derisione, una calunnia qualifica più chi li fa che chi ne subisce la violenza. Tali persone vanno curate poiché sono in evidente stato di forte disagio e possono procurare danni non facilmente quantificabili dal punto di vista sociale. Sono da considerarsi un “pericolo pubblico”. E come tale vanno trattate, anche sanitariamente, per quanto delicatamente.

20 – U GABBU COGGYA – DERISIONE BOOMERANG

A proposito di soggetti simili, ho pure visto che, poi, lo stesso male augurato ad altri si ritorce come un boomerang contro chi ha contribuito a fare quel male. Non a caso il proverbio dice ed avverte: “U gabbu cogghya” (il male augurato ad altri torna al mittente). Come dire che chi sputa al cielo si vede ritornare in faccia il proprio sputo. Quando viene rotta l’Armonia o il semplice equilibrio sociale, il primo danno è di chi ha procurato tale disordine (immediatamente o alla lunga).

Potrei raccontarne tante. In particolare, conosco una signora (fornita di diploma di scuola media superiore) che aveva l’abitudine di criticare e di deridere pesantemente la vita altrui. Nemmeno a farlo apposta, il male che ha augurato ad altre famiglie caratterizza adesso, altrettanto pesantemente, la sua. Ha abbassato un po’ la testa e la coda (come si suole dire) … tuttavia il vizio le è rimasto.  A dimostrazione che, per qualche incallito, la “malalingua” non cessa nemmeno dopo la morte. E la derisione, nella forma di pettegolezzo, è più forte di ogni altra migliore opportunità esistenziale! Una “droga” vera e propria! E come tale andrebbe trattata, se vogliamo una società più gentile e meno malata.

21 – LA DERISIONE TELEVISIVA

Tale “droga” del pettegolezzo e della derisione pericolosa e nociva viene alimentata a dismisura dai mass-media: giornali, riviste, rubriche radio-televisive, cinema e quante altre comunicazioni sociali si sono specializzate nel cosiddetto “gossip” fino a cadere nella facile derisione, anche nell’offesa più spinta e persino nell’oltraggio. Oggi il villaggio globale ha amplificato a dismisura tali fenomeni. Il pettegolezzo delle comari e dei compari si è trasferito in TV e nei “social”.

In particolare, ci sono numerose trasmissioni televisive che si occupano del “gossip”, fomentato in modo assai spettacolare da personaggi che, a volte, oltrepassano persino la buona creanza, la buona educazione, la legalità. Questo, spesso, pur di aumentare gli ascolti e le vendite. E per fare da “distrattori” di massa sui veri problemi della gente e dell’intera società.

La libertà delle persone è sacra, così come quelle dei popoli, quando non fa danni, trasformandosi in ben altro. Tuttavia, è giunto il momento di fare tutti una seria riflessione sulle conseguenze di tali trasmissioni televisive e di tutto l’apparato. In particolare le Università dovrebbero dimostrare scientificamente e continuamente come e quanto tutto ciò provoca negatività sociali, monitorando il sistema.

E’ pur vero che c’è uno Stato che produce egli stesso morte (con la vendita delle sigarette, ad esempio, dell’alcol e delle armi) e permette altre nefaste dipendenze come le ludopatie. E’ pur vero che lo Stato, in nome del profitto, ha rinunciato ormai al suo ruolo educativo e di garante della salute dei cittadini. Però, visti i risultati catastrofici di alcune attività sociali, tollerate o addirittura facilitate, è tempo almeno di tentare di arginare tali fenomeni. Ed è altresì tempo che lo Stato diventi una istituzione altamente etica. Altrimenti tutto questo malcostume aumenterà in modo tale da paralizzare tutta la nazione, così come stanno facendo le associazioni della criminalità organizzata e la corruzione diffusa capillarmente.

22 – MAESTRINI E MAESTRINE

Invece di pensare a queste serie problematiche e di impegnarsi a fare pure loro adeguata contro-cultura e a contribuire ad arginare il più possibile tali negatività sociali, ci sono persone che continuano a fare i maestrini e le maestrine … nel senso che continuano a fare la morale in temi e situazioni di poco conto rispetto all’immane lavoro che c’è da fare per ingentilire la nostra società e renderla davvero molto più etica. Stanno sempre a rimproverare, a sentenziare, a dire quello che devi o non devi fare, a come lo devi fare. Si sentono superiori o dotati di una missione tale da condizionare la vita degli altri che vogliono ad immagine e somiglianza loro.

Nel nostro quotidiano si sprecano, caro Raffaele, questi maestrini e queste maestrine (non nel senso di insegnanti, ma di pedanti moralisti, fatti troppo a modo loro). Faccio rientrare costoro nelle sfumature del razzismo, per il semplice fatto che, dall’alto del loro pulpito, si sentono più illuminati e più nel giusto degli altri, tanto da sentirsi in obbligo di sentenziare atteggiamenti e valori tali da far modificare (o addirittura asservire) il comportamento e la libertà delle persone. Le quali non sono “traviate” ma hanno soltanto scelto di vivere la loro vita, con coscienza e con cognizione di causa e senza fare danni o essere invadenti. Ho buoni motivi per far derivare questi “maestrini e maestrine” dalla cultura religiosa in genere, da quella cattolica in particolare, ma anche dal tipo di “patriarcato” o di “matriarcato” di loro provenienza.

23 – LO SCEMO DEL VILLAGGIO

Caro Raffaele, quasi tutti i paesi, più o meno piccoli, avevano (e forse ancora hanno) un personaggio caratteristico, bonaccione o sempliciotto, probabilmente sofferente di qualche disagio mentale e che la letteratura nazionale ha individuato e descritto come “lo scemo del villaggio”. Era preso in giro o deriso bonariamente senza cattiveria, specie dai bambini, forse più per gioco e divertimento. Ciò non toglie che talune volte gli si faceva del male. Come recentemente è successo in Puglia (fino a causare un vero e proprio omicidio) o come accade in diversi ambienti (specialmente metropolitani) dove viene dato fuoco ad anziani o a senza fissa dimora. Protagonisti di questi misfatti sono ragazzi o balordi (minorenni o poco più che maggiorenni) ma anche veri e propri razzisti in spedizioni punitive o di pulizia “urbana” o addirittura “etnica”.

Badolato, mio paese natìo, che io sappia, non ha avuto mai un vero e proprio “scemo del villaggio” però ricordo in Marina un signore il quale, pur colpito da meningite quando era bambino e rimasto un po’ toccato dalla malattia, aveva conservato una prodigiosa memoria. Girovagava, facendo (come si suole dire) il giro delle sette chiese … cioè aveva, nella sua giornata, delle tappe prestabilite (edicola, stazione FS, artigiani, bar, ecc.) dove veniva accolto e dove si intratteneva in interessanti conversazioni, pure perché era un comunista loquace e assai bene informato dal momento che era un vorace lettore di libri politici e del quotidiano del partito “l’Unità”. Più a motivo di tale suo accanimento politico veniva provocato o preso in giro, qualche volta pure deriso da qualche imprudente che veniva rimbeccato ben bene e punto per punto da lui stesso o da altri. Ma c’erano pure amici e famiglie che lo accoglievano con affetto, spesso invitandolo pure a pranzo. L’ho ricordato, con rispetto e ammirazione, in una mia “Lettera a Tito” pure perché sapeva dire esattamente tutte le targhe di automobili e moto del paese. Un personaggio.

24 – UNA RISATA VI SEPPELLIRA’

“La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà!” è, questa, una suggestiva frase cui è ancora difficile attribuire una paternità certa. Pare sia nata come motto anarchico nell’Ottocento. Alcuni ritengono che a pronunciarla per primo sia stato addirittura Michail Bakunin (1814-1876) anarchico, filosofo e rivoluzionario russo. Da noi, in Italia, tale slogan è noto principalmente perché usto ed abusato dal cosiddetto “movimento del 1977” erede molto polemico del Sessantotto. Proprio in quegli anni, ho potuto vedere le grandi scritte in giro per la Capitale e, in particolare, dentro la Città Universitaria (oggi Roma 1 “la Sapienza”).

Ecco ancora una volta dimostrato come “la risata” sia simbolo della derisione, declinata in tutti i modi possibili ed immaginabili. In questo caso in funzione politica di aperta e beffarda contestazione del Potere in auge. Ma la Storia ci dice che la derisione non ha poi, in fin dei conti, procurato grandi o seri fastidi ad alcun Potere. E’ considerata “colore” e a volte anche “folclore” e così tollerata, con il sorriso persino quando è graffiante … ne è esempio Giulio Andreotti (più volte capo del governo italiano) il quale della “contro-derisione” ne faceva arma efficace a suo vantaggio. E poi non dimentichiamo che il Potere dice ancora e sempre “lasciamoli sfogare”!

Quel che più è temibile è la derisione quotidiana, quella che appanna, intralcia o persino stronca le esistenze delle persone singole o di intere famiglie nei piccoli ambienti, come ho potuto constatare nel corso di tutta la mia vita. Tale derisione è più micidiale di quella politica. A proposito di tale derisione è stata coniata una frase (che viene incisa pure su ceramica da tenere dentro casa, quasi ad esorcizzare): “La cattiveria umana è più grande della misericordia divina” (il che è tutto dire).

25 – UNA VITA A PROVA DI DERISIONE

Come hai potuto appurare dalle prime quattro lettere sul razzismo, ma anche dalle “Lettere a Tito” e da altri miei articoli giornalistici, fin da bambino sono stato un po’ precoce e, purtroppo, mi è andata molto stretta la famiglia, la scuola (dall’asilo alle superiori) così come la parrocchia ed ogni altro ambiente sociale. Mi è stata riconosciuta una qualche lungimiranza, specie nei fatti sociali, per cui quando mi esprimevo, in anticipo sui tempi, rischiavo però di non essere creduto da qualcuno, e quindi preso in giro, sfottuto e persino “deriso”. Come durante la vicenda di “Badolato paese in vendita” (1986-88) idea da allora in vario modo imitata in Italia e persino all’estero e, comunque, oggi riconosciuta utile a proposito del tentativo di combattere lo spopolamento che precarizza e a volte agonizza e uccide i nostri territori.

Tuttavia, sicuro dei fatti miei, non mi sono mai demoralizzato, pure perché, a distanza di tempo, si realizzava ciò che andavo dicendo. Gli amici che ancora mi stimano affermano che sono sempre stato avanti di 20 – 30 anni. Tuttavia, devo dire che è stato molto duro vivere così, in anticipo. E, a volte, ho pagato troppo le mie lungimiranze. Ma, ancora adesso, regge la mia vita “a prova di derisione” e persino di veri e propri “martirii”. Quando si è profondamente motivati e convinti è più facile fare fronte alle avversità, persino a quelle più tristi e sconvolgenti, dolorose e persino dolose (specie se fatte da chi ci sta più vicino)!

26 – BORGHI SPOPOLATI E DERISI (una questione tra civiltà) mentalità generale

Come ho appena accennato, una delle “derisioni” più significative riguarda la ben nota vicenda di “Badolato paese in vendita” che (già al suo esordio il 7 ottobre 1986) è stata sottovalutata nel messaggio di allarme per la salvezza del borgo antico, quasi del tutto spopolato dopo avere ospitato fino a 5mila abitanti. La maggiore derisione è provenuta dalla Rai, TV di Stato, la quale (salvo poche eccezioni) in oltre 40 passaggi radiofonici e televisivi ha cercato di spettacolarizzare (a volte persino come fenomeno da baraccone) un allarme sociale per sminuirne la portata ed il messaggio, pur in presenza di migliaia di borghi che, in Italia e in Europa, rischiavano di morire, rappresentando così anche la morte della civiltà rurale ed un territorio rimasto non curato e quindi indifeso, come stanno ancora dimostrando i disastri ambientali ed idro-geologici.

Ma anche le riviste ed i giornali cartacei (che per loro natura sono portati a riflettere ed approfondire) hanno parlato di semplice “provocazione” (quasi fosse una colpa) per una iniziativa che cercava di fare urgente appello alle istituzioni e alle stesse popolazioni sul disfacimento fisico-territoriale, socio-culturale e politico-rappresentativo dei nostri paesi. Poi, dopo alcuni anni, ho capito che la vicenda del “paese in vendita” (imitata pure da altri sindaci italiani ed esteri) toccava un nervo scoperto della civiltà industriale e post-industriale per costruire ed alimentare la quale sono stati svuotati i territori, causando notevoli disagi e disastri a 360 gradi, nonché quei forti squilibri di cui paghiamo continuamente le tristi conseguenze. Senza avere il benché minimo risarcimento per i disastri epocali provocati. La società industriale ha sempre tenuto tutto per sé e ancora, non sazia, cerca e pretende di più.

Faccio rientrare nel “razzismo” subìto dai paesi spopolati, proprio per l’atteggiamento di superiorità che mostra di avere (in modo a volte persino sprezzante, deridente ed “infingardo”) la civiltà industriale verso quella rurale. La società industriale ha trattato quella rurale come colonia da spremere a proprio vantaggio e gusto, senza né ristorarla, né tanto meno compensarla né, appunto,  risarcirla persino dell’inquinamento e di altre negatività come, ad esempio, i rifiuti tossici e pericolosi che continua, al contrario, imperterrita a riversare sul suo territorio. Uno strazio! Se non è razzismo questo!?!…. Inondarci di rifiuti ed inquinamento mortale!…

Comprendo che sembra astruso “accusare” di razzismo la società industriale verso quella rurale, ma, in tanti anni di ricerche e conoscenze a proposito, non saprei trovare altra considerazione o altra definizione. Ma parlerei anche e persino di genocidio socio-culturale. E di “riequilibrio” non se ne parla nemmeno. Anzi, la società industriale ha sempre deriso (quando non offeso) la società rurale. Ma alla lunga stanno venendo fuori (sebbene deformati dal profitto) i valori della civiltà contadina più vicina alla Natura, dal momento che la Natura stessa, mal sostenendo i valori industriali geocidi, fa vedere come stanno effettivamente le cose se il mondo vuole ancora continuare ad esistere.

27 – DEBOLE CON I FORTI FORTE CON I DEBOLI

E di “riequilibrio” dovrebbe almeno parlare lo Stato. Ma lo Stato italiano, pure nel contesto nella globalizzazione industriale, non ha nemmeno la sensibilità e la volontà per affrontare un discorso simile. Pur avendone le capacità. Come veniva detto già negli anni settanta e come qualcuno ancora ricorda ancora adesso, lo Stato di tipo industrial-capitalista (forse non solo italiano) è “debole con i forti e forte con i deboli” (come era in uso dire negli anni 60-70 del secolo scorso).

Chi comanda e detta l’Agenda dei governi di tutto il mondo è la società industriale. Se non cambia tale mentalità, il pianeta è sempre di più in pericolo. E, con il pianeta, l’intera Umanità. Si può intravedere del “razzismo” in tutto questa discriminazione territoriale e tra popoli e popoli?… Sì, a mio modesto parere!

28 – IL CRISTO DERISO

Ritengo che, in buona parte, la diffusione del cristianesimo sia dovuta pure alla figura universale di Gesù di Nazareth (detto il Cristo) che è un prototipo dell’essere umano di valore, perseguitato e deriso, crocifisso e martirizzato ingiustamente. L’arte di ogni genere è stata sempre assai sensibile al tema di questo uomo deriso e messo a morte da innocente, forse perché voleva migliorare il mondo non in quanto si dichiarasse figlio di Dio (per questo bastava ritenerlo “pazzo” e metterlo così fuori combattimento), ma in quanto aveva la pretesa di migliorare la persona e la società (cosa che non garbava a chi voleva ancora e sempre spadroneggiare). Gesù era uno di quelli (come il filosofo Pitagora di Crotone, suo ispiratore) che credeva e predicava che “La rivoluzione siamo noi” e tutto parte dall’interiorità (mente e cuore) degli esseri umani.

Nella descrizione pittorica del “Cristo deriso” abbiamo molte testimonianze di capolavori assoluti, dovuti ad artisti del calibro di Cimabue (anno 1280 – venduto a ben 24 milioni di euro il 27 ottobre 2019 a un ignoto collezionista privato), di Giotto (1306 – affresco nella cappella degli Scrovegni – Padova, che ho ammirato nell’ottobre 2018), del Beato Angelico (1438 – nel convento di San Marco di Firenze), di Hieronymus Bosch (1485 – The National Gallery of London), di Caravaggio (1607 – al Kunsthistorisches di Vienna), di Mattia Preti (1670 –  nel Museo della Cattedrale – Mdina a Malta) e persino di un pittore impressionista come Edouard Manet (1865 – nell’Art Institute of Chicago – USA). Pure una stazione della Via Crucis (la prima sulle 14 presenti in ogni chiesa) è dedicata al Cristo condannato a morte, flagellato e deriso.

In un eventuale ed auspicabile MUSEO DELLA DERISIONE il soggetto del “Cristo deriso” avrebbe una parte centrale del racconto, proprio in quanto simbolo di tutti i perseguitati e sintesi di tutte le ingiustizie umane e sociali. Probabilmente ognuno di noi si sarà sentito (almeno una volta nella vita) come il Cristo deriso! Ed è per questo che le figure e le vicende umane di Gesù e di sua madre Maria restano simboli di tutti noi (anche laicamente) in un mondo che insiste ancora e sempre, nonostante le atroci realtà storiche, a perseguire strade sbagliate.

29 – CONCLUSIONI ED IMPEGNI

E’ difficile trarre le conclusioni dopo aver osservato il panorama (seppure parziale) delle situazioni riguardanti il razzismo storico, sociale e quotidiano. Tuttavia, noi esseri umani (tutti rinchiusi in questa gabbia che è il nostro pianeta, se così vogliano considerare la nostra condizione esistenziale) non abbiamo altra scelta tra il continuare ad azzannarci a vicenda, più o meno gravemente, oppure di trovare insieme la migliore convivenza possibile, cercando una via d’uscita che ci liberi dalle sofferenze, dal dolore e da tutto ciò che ci impedisce di essere veramente felici ed armoniosi!

Siamo dotati di sufficiente intelligenza per cercare e trovare le soluzioni ad ogni nostro malessere! Usiamola! E dove non arriva l’intelligenza può arrivare l’Amore ed il senso dell’Armonia che ci portiamo dentro! Sarei assai lieto se ognuno di noi prendesse, proprio oggi, un impegno più preciso ed incisivo di migliorare a riguardo il nostro metro quadrato di territorio e di ambiente sociale. A cominciare dalle piccole cose, consapevoli che al clima umano e sociale tutti portiamo il nostro contributo di malessere o di benessere. Come per tenere dignitosi noi stessi e in ordine e sempre bella la nostra casa, il nostro giardino, il nostro quartiere, la nostra città, la nostra nazione e tutto il resto fino ai confini del mondo.

30 – SALUTISSIMI

Caro Raffaele, penso che, giunti a questa quinta lettera, sia chiaro quale sia il “paradigma” su ciò che ritengo sia, a mio sentire, il razzismo. Lungo il percorso di queste cinque tappe, ho seminato riflessioni ed interrogativi che, nelle menti di tutti indistintamente tutti (specialmente in quelle più volenterose), potranno germogliare (spero) a più puri aneliti di Amore e di Armonia. Nel quotidiano come nella Storia.

Perciò, con questo senso (provvisoriamente) che ritengo compiuto come paradigma e con tali indirizzi e declinazioni, si conclude qui la rassegna dei pensieri su “Il razzismo è una gramigna”: La cui raccolta è – ribadisco – donata per intero a te, Raffaele Cardamone,  meritevole destinatario di queste Lettere, appassionato animatore di www.ilReventino.it di Soveria Mannelli che ringrazio di vero cuore per la fiducia e l’amicizia. Ringrazio pure i nostri gentili Lettori per la benevolenza, scusandomi se, a volte, ho non volendo urtato qualche suscettibilità … sono i rischi che si corrono, sempre però in buonafede, quando si intraprendono percorsi accidentati come questo sul razzismo. Confido nella comprensione e nell’indulgenza. Quando tutto manca, ognuno – alla fin fine – si cuoce nel proprio brodo (come sono solito dire).

Auguro buon proseguimento e BUONA WITA a tutti! E a tutti, di vero cuore, porgo i miei più cordiali e devoti saluti!

Domenico Lanciano (www.ilreventino.it)