Misteri regali del XIX secolo


La contessa di Castiglione

La contessa di Castiglione

 Tutti i condannati alla quarantena, cioè praticamente tutti gli Italiani, si svaghino, quelli che vogliono, così: tra il serio e il faceto.

 Luigi Buonaparte, dal 1852 l’imperatore Napoleone III, nominò ministro degli esteri Florian Alexandre Colonna Waleski, dichiarato figlio del conte polacco Anastazy; ma tutti sapevano che il padre era Napoleone I, ed era stato frutto di quella che forse fu la vicenda d’amore più tenera e vera delle varie donne fisse e occasionali del Corso: Maria Łączyński.

 Di Luigi non possiamo scordare gli amori con la contessa di Castiglione, cugina di Cavour, la quale contribuì, come poteva e sapeva, sia all’unità d’Italia sia alla letteratura goliardica: a quest’ultimo proposito non posso essere esplicito, e chi ne vuole sapere me lo chieda in quarantena privata!!! Pare però che abbia ricambiato il favore internazionale Costantino Nigra, ambasciatore sardo, con l’imperatrice Eugenia.

 Napoleone I e Napoleone III ebbero ciascuno un solo figlio legittimo, la cui sorte triste ispirò il Carducci a chiamare in causa la Nemesi.

 Vittorio Emanuele II, re di Sardegna e poi d’Italia, di figli legittimi ne ebbe quattro; e poi, tra una guerra e una caccia, fu detto “padre della patria e di molti patrioti”. Ebbe però un’amante importante, la plebea e spiccia Rosa Vercellana, “la bela Rusìn”, che poi sposò morganaticamente; riconobbe i figli come persona privata, però li fece conti di Mirafiori.

 Era però portatore di un segreto di immani dimensioni, se fosse vero: giudicate voi. Così raccontava il mio amico Cucentrentoli conte di Monteloro, unico nostalgico superstite degli Asburgo Lorena di Toscana; e sosteneva di averne le prove. Carlo Alberto, dopo i guai politici combinati nel 1821, venne relegato a Firenze presso il granduca suo suocero, e condusse con sé il neonato Vittorio. Se non che, il palazzo andò a fuoco, e il bambino morì, con gravi conseguenze anche sulla successione al trono di Sardegna. Bisognava riparare, e presero il figlio di un macellaio fiorentino, della stessa età del trapassato. Se studiate due ritratti, quello di Carlo Alberto e quello di Vittorio; e soprattutto i loro ben diversi caratteri ed atteggiamenti, vi viene la tentazione di dare ragione a Monteloro.

 Donnaioli furono anche Umberto I ed Umberto II: di questo si narrava avesse anche un’amante a Tiriolo. Quanto a quella di Napoli, urge che vi narri la profezia della Monaca di Desdra, di fine XVII secolo, la quale sognò una carrozza con stemma sabaudo trainata da dodici cavalli piccoli (i re di Sardegna da Vittorio Amedeo II a Vittorio Emanuele II), e fin qui va bene; e poi cavalli grandi, i re d’Italia: ma cinque, e non quattro. E qui mi fermo: continuate voi.

 Anche di Cavour si disse qualcosa sulla paternità illegittima, ma confusamente; Garibaldi disseminò figli dovunque. I Borbone di Napoli furono gente tranquilla, senza desideri di avventure né politiche né guerresche né erotiche; con calma governarono, e con calma persero il Regno. Detto in generale, furono molto migliori le donne, sia nate sia acquisite.

 Se al mondo ci fu mai una dinastia seria e lavoratrice e amata dai popoli, quelli furono gli Asburgo d’Austria, poi Asburgo Lorena. Ma la maledizione del XIX secolo, “le mal du siècle”, il romanticismo, colpì anche loro.

 Francesco Giuseppe, designato erede, doveva sposare la cugina materna Elena, figlia di un nominale duca in Baviera, della Casa di Wittelsbach; s’innamorò, riamato, della sorella di lei, Elisabetta, nota come Sissi. Iniziato con tutti i migliori auspici, il matrimonio entrò in crisi per l’evidente differenza di carattere tra l’imperatore, sempre più serio e legnoso, e la vivace Sissi. Si sussurrò che nella soluzione del drammatico problema ungherese del 1867, tra Elisabetta e il conte magiaro Andrássy si fosse andati di là della politica.

 Finì tragicamente ed eroicamente l’assurda avventura messicana di Massimiliano, fratello di Francesco Giuseppe, che Napoleone III incoronò imperatore del Messico. Egli lasciò il suo bel castello triestino di Miramar, per finire fucilato da Juarez, rivoluzionario di nome proprio Benito. Com’è piccolo il mondo!

 Resterà sempre un mistero la vicenda di Rodolfo, erede di Austria e Ungheria, che il 30 gennaio 1889 venne trovato morto assieme a una donna, ufficialmente suicidi; si immaginarono romanzi d’amore, ma anche di politica.

 Elisabetta stessa finì assassinata nel 1898 da un anarchico italiano, come vari re e presidenti e altri di quegli anni, senza una ragione particolare.

 La sorella minore, Maria Sofia, aveva sposato Francesco, poi Francesco II re delle Due Sicilie; una coppia davvero disomogenea; e, dovendo io stare chiuso come tutti voi, lasciatemi sognare che, di fronte alla crisi del 1860, qualcuno e lei stessa avessero fatto un bel colpo di Stato, reperendo (primo di una chilometrica serie meridionale) un certificato medico fasullo per il re, e assegnando la reggenza alla regina. Avremmo perso lo stesso, credo, ma con più gusto ed onore; e comunque non si sa mai. Maria Sofia, in esilio, non smise di congiurare, ed ebbe contatti con socialisti e anarchici e nemici dei Savoia in genere. Morì nel lontano 1925.

 Elena, presto consolata, aveva sposato il quieto e ricchissimo principe di Turn und Taxis, che si vantava parente di Torquato Tasso, e la cui famiglia, datasi ai servizi postali, diede il nome ai tassì.

 Le storie amorose del Novecento sono più popolaresche: pensate al suaccennato Benito, quello nostrano!

Ulderico Nisticò