Sono sono stati solo i collaboratori di giustizia Andrea Mantella e Raffaele Moscato a “guidare” i magistrati della Dda di Catanzaro nella maxi inchiesta Scott Rinascita che ha portato al coinvolgimento di 416 persone, di cui 330 agli arresti, 4 sottoposti a divieto di dimora e 82 indagati a piede libero. Preziose sono state pure le rivelazioni del pentito Bartolomeo Arena che in un interrogatorio piuttosto recente (risalente a novembre 2019) ha riferito che Salvatore Morelli, ancora irreperibile, e già luogotenente di Andrea Mantella, possiede la dote della “Stella”.
Secondo il pentito sarebbe lui unitamente ad esponenti dei Piscopisani il responsabile del tentato omicidio dei fratelli Bellissimo di Soriano. Secondo lo stesso collaboratore Morelli «è legatissimo a Michele Fiorillo (detto Zarrillo) al punto che quando era fuori quest’ultimo, Morelli era più vicino ai Piscopisani che a Vibo Valentia, dal punto di vista criminale. I Piscopisani si fidavano ciecamente di lui, e poi Morelli – riferisce Arena – individuava insieme a me le imprese alle quali chiedere denaro a titolo di estorsione perché riteneva che io mi muovessi in maniera più discreta rispetto agli altri appartenenti al gruppo. In particolar modo con lui utilizzavamo il metodo di inviare alle vittime prescelte delle lettere anonime scritte a macchina (utilizzando un computer all’interno dell’Eurospin, in uso a Michele Manco) ovvero scritte da me utilizzando guanti in lattice e normografo».
Bartolomeo Arena, rivela inoltre, che le «lettere contenevano l’intimazione a “mettersi a posto con gli amici di Vibo” e di non denunciare la richiesta all’autorità, nonché un proiettile calibro 6,35; questo metodo l’abbiamo utilizzato nel caso della richiesta estorsiva ai danni dell’imprenditore Mirabello, titolare di un negozio di bibite, e nel caso della ditta di costruzioni intestata a Carmelina Cammarata».
Arena, dopo avere precisato che lui aveva la dote di “Trequartino”, si limitava solo a scrivere le lettere, «ma non era mia competenza – ha spiegato il pentito ai magistrati della Dda – quella di consegnarle, attività materiale che spettava ad altri soggetti, ovvero Michele Dominello, nel caso della richiesta a Mirabello, e di Pugliese Michele Carchedi nel caso della richiesta estorsiva ai danni di Cammarata».
Un metodo di lavoro, quello delle lettere minatorie a scopo di estorsione, che secondo quanto rivela Bartolomeo Arena è stato abbandonato «perché ritenuto dal Morelli inefficace, per cui lo stesso decise che era meglio avvicinare direttamente le vittime, puntargli la pistola alla tempia e dirgli che dovevano mettersi a posto. Io non ero d’accordo con questo metodo, ma comunque essendo “Trequartino” non spettava più a me compiere queste azioni che vennero materialmente svolte da altri componenti del nostro gruppo».
Tra gli imprenditori finiti sotto il tiro della criminalità con il metodo della “pistola alla tempia”, secondo quanto riferisce il collaboratore di giustizia sono finiti il titolare dell’illuminoteca sita a Vibo accanto al bar Plav (dopo che a questi erano state già recapitate inutilmente delle cartucce di arma da fuoco). In questo caso «andarono Pugliese Carchedi Michele e Michele Manco, a bordo della moto del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, che ci venne fornita mesi prima dal fratello Ciccio Moscato. Per quanto mi risulta anche dopo questo avvertimento l’imprenditore non aderì alla richiesta estorsiva. Analoga azione – racconta il pentito Arena – fu compiuta da dai due, su mandato di Morelli, ai danni di tale Potenza (originario di San Gregorio d’Ippona) titolare di un centro scommesse ubicato nei pressi della caserma dei carabinieri di Vibo. In questo caso – ha spiegato – l’azione era stata concordata con Gregorio Gasparro, inteso come “Ruzzu u Gattu” di San Gregorio d’Ippona, perché la vittima in questo caso era originario dello tesso paese e c’era il rischio che lo stesso si rivolgesse al “Gattu” e questi avrebbe concorso ad aggiustare l’estorsione».
Bartolomeo Arena riferisce pure di un’altra circostanza che ha visto protagonisti Mommo Macrì e Michele Pugliese Carchedi quando «hanno esploso alcuni colpi di pistola all’indirizzo di alcuni mezzi di proprietà di una ditta che stava svolgendo dei lavori al cimitero. Si trattava sempre di una estorsione concordata con il Morelli. In quel caso – ha spiegato Bartolomeo Arena – Macrì e Pugliese Carchedi per pochi istanti non furono sorpresi dai carabinieri in borghese che si trovavano a passare nei pressi della casa del Macrì».
Inoltre, per fare un favore a Peppe Prossomariti, nipote di Pasquale Quaranta (all’epoca detenuto) Dominello, Pugliese Carchedi Michele e Mommo Macrì, incendiarono un’abitazione a Santa Domenica di Ricadi. «Questo favore – ha spiegato Bartolomeo Arena – ci venne richiesto per il tramite di Gregorio Niglia, che aveva un rapporto privilegiato con Morelli». Successivamente, sempre secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia, Michele Dominello e Pugliese Carchedi Michele in un’altra circostanza «hanno dato alle fiamme due pullman sempre a Santa Domenica di Ricadi». (Gazzetta del Sud)