Nella storia d’Italia trovano spazio abbastanza uguale, fin dai tempi più antichi, le monarchie e le repubbliche. La tradizione romana annovera sette re, ma l’ultimo venne abbattuto, e dal 510 la Città si diede una forma repubblicana, che visse per tutto il resto della storia romana, se l’imperatore a volte osò proclamarsi deus, mai usò il maledetto appellativo di rex. Il diritto romano, del resto, si fonda sulla netta distinzione tra res publica e res privata.
I Longobardi avevano un re; e Carlo Magno istituì un Regno d’Italia, che però già nell’XI secolo andò in dissoluzione; e sorsero Comuni sostanzialmente repubblicani; poi quasi tutti divenuti Signorie e Principati; ma Firenze e Siena fino al XVI secolo, e fino al XVIII Venezia, Genova, Lucca rimasero repubbliche, sia pure oligarchiche. Prodigiosa è la storia di San Marino, e qualche volta la racconteremo.
Questo basti ad affermare che non mancava una tradizione repubblicana, e quando si cominciò a parlare di indipendenza ed unità, vennero elaborate anche ipotesi repubblicane, o di origine “giacobina”, o secondo l’idealismo mazziniano, o del federalismo di Cattaneo e Pisacane. Nel 1849 ebbe breve vita una Repubblica Romana.
La soluzione del 1861 fu la monarchia costituzionale, con l’ereditarietà salica dei Savoia, un Senato di nomina regia e una Camera elettiva. Era un assetto che, nel sentire comune e dei più, assicurava l’ordine sociale e politico. La base elettorale venne lentamente accresciuta, fino al suffragio universale maschile.
Per quanto minoritarie, avevano luogo anche ideologie repubblicane, tanto più che si formava un Partito Socialista, e c’era anche un Partito Repubblicano. Nel 1919 i Fasci di Combattimento optarono per la forma repubblicana. Divenuti Partito Nazionale Fascista, deposero però le idee repubblicane, e il PNF andò al potere come governo della monarchia. Nel 1936, anzi, Mussolini incoronò Vittorio Emanuele III anche imperatore d’Etiopia, nel 1939 anche re d’Albania.
Si disse che il fascismo era di fatto una diarchia, cioè un sistema in cui il re, a parte i poteri formali dello Statuto del 1848, era portatore di autorevolezza, e poteva contare sulle Forze Armate e sulla sostanziale fedeltà del popolo alla monarchia. Lo si vide nella crisi del 25 luglio 1943: il re “accettava” le dimissioni di Mussolini, e nominava capo del Governo il fedelissimo piemontese Badoglio. Questi trattava in segreto con gli Angloamericani, che l’8 settembre lo costringevano a dichiarare pubblicamente l’armistizio. Nel disastro generale, re e Badoglio fuggirono a Brindisi, poi a Salerno, dove gli Angloamericani lo lasciarono in posizione ambigua. Tornarono esponenti dei partiti prefascisti, e, tra questi, le sinistre affacciarono ipotesi repubblicane, mentre i popolari, chiamati DC, rimasero indefiniti.
Liberato dai Tedeschi, Mussolini diede vita alla Repubblica Sociale Italiana, il cui primo assunto fu l’odio verso il Savoia e Badoglio, anche per poter trovare una spiegazione della sconfitta militare in veri o presunti tradimenti.
Vittorio Emanuele si mise da parte, nominando il figlio Umberto allo strana funzione di Luogotenente del Regno (luogotenente si è di una persona); abdicò però solo a guerra finita, e Umberto divenne re “di maggio”.
Si era intanto venuti a un accordo per un referendum istituzionale, da tenersi però solo alla cessazione delle ostilità. Si scelse la data del 2 giugno, associando le elezioni per un’assemblea destinata a riformare, in ogni caso, lo Statuto Albertino.
Si delinearono i due schieramenti, sostanzialmente quasi pari. Erano monarchici il Meridione e in parte il Piemonte; i militari; i liberali. Erano repubblicane le sinistre. Il partito cattolico non si schierò con la monarchia, il che era come favorire i repubblicani. Tra gli occupanti, i Britannici erano, grosso modo, per il re; gli Americani, no.
Intervenne l’amnistia Togliatti, che, ufficialmente, è di qualche giorno dopo; ma intanto si consentì ai fascisti di partecipare al referendum; e i fascisti, nella quasi totalità, votarono repubblica, affermando così ancora una volta l’odio verso i Savoia.
La vittoria repubblicana fu abbastanza risicata; 12 717 923 repubblica e 10 719 284 monarchia; e i monarchici obiettarono subito (e con più di una ragione) che i calcoli erano dubbi; e che non avevano votato gli Italiani di Trieste e della Dalmazia; e tantissimi prigionieri di guerra ancora in mano angloamericana. Ma questi ultimi erano in buona parte “non collaboratori”, cioè si erano dichiarati, dopo l’8 settembre, per la RSI mussoliniana; e quindi avrebbero votato contro il re.
Umberto II, pur affacciando riserve, non oppose resistenza, e andò a trascorrere il resto della sua malinconica vita in Portogallo, come il non meno esangue avo Carlo Alberto.
Dopo il 1946, i monarchici, ancora numerosi ma divisi in due partiti e in varie associazioni in evidente continuo conflitto, andarono verso la sparizione. Nel 1972 avvenne una frettolosa riconciliazione con i postfascisti, che fu di breve durata. I postfascisti del MSI rimasero sempre attorno al milione e mezzo di voti, per avere un improvviso balzo nel 1994, con cinque milioni e mezzo di voti, subito soffocati dalla malefica pensata di Fini e soci (o di chissà quale manina pendula!), Alleanza Nazionale. Sono tutti scomparsi i partiti che nel 1946 parteciparono al referendum: DC, PCI, PSI, PLI, PRI, PSDI e altra archeologia politica.
La forma repubblicana non causò i disastri che qualcuno temette o proclamò nel 1946; ma nemmeno rese più felici gli Italiani. Nessuno ha mai chiarito quali siano davvero i poteri del presidente, e la faccenda ci riporta esattamente allo Statuto Albertino, che sulla carta riservava poteri al re, ma di fatto degenerò in parlamentarismo, esattamente come l’attuale Repubblica.
Ulderico Nisticò