Ricorre domani, 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, voluta nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Una data scelta in memoria del crudele assassinio avvenuto nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate un esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime del dittatore della Repubblica Domenicana, Rafael Leónidas Trujillo. Ancora oggi, purtroppo, in tutto il mondo non si placa tale assurda violenza, che sovente non è solo fisica, ma anche psicologica, capace di annientare una donna nella sua totalità. È ancora più crudele quella violenza che giunge per mano di chi si riteneva l’uomo della propria vita. In tutti questi anni tante sono state le donne soggiogate dall’umiliazione, dal terrore, dal dolore, dallo sgomento.
Oggi, come presidente dell’AMI Calabria, voglio dedicare un pensiero particolare a quella giovane donna che, vittima dell’amore insano di un ragazzo che le aveva rubato la gioia di vivere e l’anima, con il giusto supporto ha ritrovato se stessa, riprendendosi in mano la propria vita, sino a quel momento calpestata e mortificata nel peggiore dei modi possibili, trovando il coraggio di denunciare il compagno violento e di sottrarsi a quel girone infernale di violenza fisica e psicologica da cui era oppressa.
Vi sono comunque altre forme terribili di violenza sulle donne: quelle perpetrate nei confronti di bambine indifese, alle quali viene sottratta l’innocenza dei sogni e dei giochi della loro tenera età. Sono le cosiddette spose bambine, vittime di abusi e violenze, sottratte alla famiglia, agli amici e alla scuola per andare in moglie a uomini adulti.
Un dramma mondiale, che lacera la vita di migliaia di bambine sottratte alla spensieratezza della loro età, costrette a vivere ogni sorta di violenza fisica. Una ricerca ha rilevato che nella sola Turchia, tra il 2010 e il 2015, le unioni tra bambine e adulti sono state circa 250.000. Dati molto allarmanti se si pensa tra l’altro all’alto tasso di mortalità provocato dalle violenze fisiche subite e dalle morti da parto.
Sono oltre 70.000 ogni anno nel mondo le ragazze tra i 12 e i 19 anni, che muoiono a causa di complicazioni durante la gravidanza e il parto, mentre le bambine tra i 12 e i 15 anni hanno 5 volte più probabilità di morire durante la gestazione rispetto alle donne tra i 20 e i 29 anni. Questi matrimoni tribali rappresentano una violazione dei diritti umani. Peraltro, in base al diritto internazionale, sono anche vietati in molti dei Paesi in cui vengono praticati. Purtroppo, le leggi locali di solito non vengono applicate oppure forniscono escamotage per non perseguirli.
Questa giornata deve servire come spunto non solo di riflessione, ma soprattutto di azioni mirate che debellino tali forme di violenza, che nel mondo provocano gravi sofferenze e drammi ancora insoluti. Bisogna dire basta a tutte quelle forme di violenza di genere che affliggono la nostra società. È veramente spaventoso se pensiamo che già nel 2016, in Italia, sono state uccise 60 donne dal partner o dal proprio ex.
Nella maggior parte dei casi a scatenare la furia omicida è la fine del rapporto e l’incapacità del marito, compagno o fidanzato che sia, di accettare che sia la donna a lasciarlo, quella donna spesso considerata intellettualmente ed emotivamente “una cosa propria”, su cui pretendere in maniera ancestrale di avere diritto di vita o di morte.
Un pensiero lo rivolgo a tutte queste donne, vittime innocenti di un amore malato, che è costata loro la vita. Mai più femminicidi e mai più violenza sulle donne vuol dire anche che la famiglia e le altre agenzie educative devono attivarsi per formare a una cultura priva di stereotipi di genere, per impartire un’educazione ai sentimenti, alla legalità e al rispetto dell’altro, a prescindere dal suo genere.
Dobbiamo farcela, è una priorità.