Riparliamo di agricoltura


 Il bello di internet è che non ha confini, e che se uno scrive, qualcun altro legge, ma senza territorio e senza barriere. Sarà una coincidenza, ma sabato mattina io ho scritto, su Soveratoweb, dell’esigenza di tornare all’agricoltura; e domenica lo ha detto il ministro Lollobrigida. Ha letto? O è casualità? O sono le idee che camminano?

 Volete un esempione? Giacomo Leopardi (1798-1837) e Arturo Schopenhauer (1788-1760) dissero, in forme diverse, le stesse cose senza mai essersi né conosciuti né sentiti a vicenda nominare.

 Non so il percorso culturale di Lollobrigida, anche se un po’ lo intuisco. So il mio, che ho studiato Esiodo, Teocrito, Catone, Varrone, Virgilio, Columella… e i monaci cistercensi che, assegnando in enfiteusi le terre da secoli inselvatichite, crearono l’Europa medioevale. E conosco tutti quelli che tentarono sempre di utilizzare la terra e difendere ed esaltare il ceto dei contadini: anche se non tutti e non sempre con gli stessi risultati.

 Oggi di terre inselvatichite ne abbiamo, altro che, soprattutto nella mia Calabria. Sono le quote, i pezzettini di terra assegnati nel poetico e utopistico conato di farne unità produttive; operazione rivelatesi presto fallimentare, anzi o inutile o passiva e costosa. Intanto i proprietari, trapassati, avevano lasciato in parti uguali la quota a un numero incalcolabile di nipoti: tutti nel frattempo o emigrati o addetti a tutt’altre occupazioni e lavori.

 Prendete una mappa catastale; e troverete, per esempio, una particella mia confinante con sei (06) proprietari, e alla data di trent’anni fa; ma una risulta nata nel 1917, quindi, defunta, avrà lasciato la sua estensione a chissà quanti… ebbene, ragazzi, la particella è 196… ettari, pensate voi? Macché, mq, metri quadri: un appartamento medio borghese. Se io volesse comprarla: 1. dovrei rintracciare decine di persone sparse e valle a trovare dove; 2. pagare un capitale di atti e di tasse. E se uno solo non è d’accordo a vendere la nobilissima terra del nonno… barone, certo; tutti hanno un nonno barone…

 Per produrre, serve la terra, e di estensione e qualità opportune: per i fiori, basta un giardinetto; per fare grano, occorrono centinaia di ettari: unità agrarie minime. È ora di ripensare anche l’assetto della proprietà, obbligando i proprietari dei deserti, se non si accordano per uno equo e tangibile, ad accettare un fitto simbolico. Ma chi ha bisogno di terra, se la pigli e la coltivi.

 Attenzione, non servono “nuove leggi”; anzi, ci avverte Tacito, che più uno Stato è guasto più leggi si fanno. Abbiamo tutto quello che serve nel diritto generale e nel diritto del lavoro, sia per quanto scrivevo sopra, sia per assicurare diritti, salari eccetera.

 Sì, però prima di tutti i diritti vengono i doveri. Esempio, accertarsi che se uno si piglia la terra, poi la lavori.

Ulderico Nisticò