Gli ultimi e i primi


 È ufficiale anche quest’anno: Crotone è l’ultima provincia d’Italia; congratulazioni vivissime. Le prime tre sono Bologna, Bolzano e Firenze; a fare compagnia a Crotone ci sono varie aree meridionali, tra cui Napoli e Palermo. Nuovamente congratulazioni.

 Attenti, e non accampate scuse. I criteri di valutazione non sono i soldi, o non solo i soldi, ma un complesso di fattori, che, in una parola, si possono chiamare funzionamento; in parole due, funzionamento e socialità.

 Cominciamo dai servizi essenziali: chi ha viaggiato sulle strade provinciali di KR, sa cosa dico, e quante buche bisogna scansare… o rimetterci una gomma come mi successe a P. Policastro. E che dire della sanità? Meglio non dire: e, infatti, i Calabresi vanno a curarsi a Bologna o a Milano o mai a sud di Roma.

 E la cultura? Fermi tutti: quando parlo di cultura, non intendo certo che un fanciullo uscito dal Liceo Classico di Bologna sappia l’aoristo secondo meglio di uno del Classico di Crotone, perché non è così; è che la cultura, amici meridionali, non finisce con ἔπεσον, aoristo secondo di πίπτω, ma appena appena inizia con πίπτω ed ἔπεσον; non finisce con la formula della forza di gravità, mxm/r2, ma con essa inizia. A Bologna gli studenti sanno il paradigma e la formula come a Crotone; ma poi partecipano a un convegno per vedere cosa farsene, come usarli. A Crotone non vanno al convegno per la semplice ragione che i convegni non si tengono, o in edizione unica come quello di vent’anni fa sulla Magna Grecia, ottimo e mai ripetuto; o, nel caso raro di una manifestazione, è una noia barbosissima e senza sugo. Insomma, la cultura è cosa ben diversa dalla preparazione, perché la preparazione fa i preparati, parola grammaticalmente passiva, mentre la cultura è una cosa attiva, e autonoma, e critica.

 Ora aggiungiamo anche i soldi, la produzione, il lavoro. Un tempo, a Crotone, c’erano lavoro e produzione industriale; e nel Marchesato, l’allevamento e il grano: oggi non resta di ciò nemmeno la memoria. E quando c’era lavoro, nel Crotonese c’era anche la politica: altra cosa del tutto scomparsa.

 Cosa rimane? L’area del vino, con qualche qualità abbastanza affermata; un poco di balneazione estiva; turismo culturale a S. Severina, e, non senza problemi di gestione, a Crotone e Castelle; sporadiche attività; scuole. In queste condizioni, come volete che una terra non sia l’ultima d’Italia?

 La notizia ora susciterà, per uno o due giorni, strane reazioni di miei amici. Uno se la prenderà con Cavour, tanto è morto il 6 giugno 1861; uno con Salvini; qualcun altro tirerà fuori Pitagora, e la frase idiota che quando c’era Pitagora a Roma le pecore… a Roma fecero la repubblica lo stesso 510 aC in cui Pitagora spedì dissennatamente Crotone a distruggere Sibari, e, quel che peggio, ci riuscì. Alla faccia del filosofo!

 Eppure, lasciando stare le rodomontate di pseudostorici, Crotone seppe vivere per due millenni; e, secondo i parametri del passato, se la cavava bene anche sul piano politico e culturale. È con i parametri del XXI secolo che va malissimo. Servirebbe una seria riflessione, con ricognizione delle risorse, e con individuazione dei punti deboli, tanti ma non impossibile da affrontare.

 Come si fa una seria riflessione? Chiamate me a fare il moderatore, e state certi che quando assegnerò dieci minuti al relatore (civile militare ecclesiastico, e fosse anche Miscello in persona!) saranno seicento secondi contati; e se uno li spreca per parlare male di Garibaldi e bene di Pino Aprile, a secondi seicento gli spengo il microfono. Ovvio: chi ha cose importanti da dire, gli bastano anche minuti cinque; è chi non ha niente da dire che vorrebbe blaterare due ore.

 Intanto Crotone è l’ultima d’Italia; e non è che se la passi meglio il resto della Calabria.

Ulderico Nisticò