Villette abusive a Caminia, il Tar conferma la decisione dello sgombero


Il Tar respinge la richiesta di annullamento dell’ingiunzione di sgombero delle villette di Caminia. Il ricorso era stato presentato contro il Comune, il ministero delle Infrastrutture, l’Ufficio circondariale marittimo e la guardia di costiera (non costituita in giudizio).

La cronistoria. I ricorrenti hanno impugnato, chiedendone la sospensione in via cautelare, l’ordinanza di sgombero n. 109 dell’8 febbraio 2019, adottata dal Comune di Stalettì, con la quale – sulla base della nota della Guardia Costiera di Soverato, di accertamento dell’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo mediante il mantenimento di un manufatto – è loro stato ingiunto «di rilasciare l’appezzamento di terreno sito in località Panaja Caminia del Comune di Stalettì, a valle del tracciato ferroviario della linea Taranto-Reggio Calabria, ricadente al foglio di mappa 14 p.lla 581, …».

L’ordinanza precisa altresì che «le opere risultano realizzate in assenza dei necessari titoli autorizzativi su area individuata secondo il P.R.G. vigente come Zona di riqualificazione del litorale; l’area interessata dai lavori risulta sottoposta a vincolo di tutela paesaggistica ai sensi del D. lgs 42/2004… nonché a vincolo idrogeologico ai sensi dell’art. 1… Legge Forestale 30 dicembre 1923 n° 3267».

Le ragioni del ricorso. Gli esponenti, agendo altresì per il risarcimento del danno, hanno rilevato che il Comune di Stalettì, fin dai primi anni ‘60, ha adottato una serie di atti, con i quali ha invitato i cittadini ad occupare una porzione di fondo di proprietà comunale posta a valle della ferrovia, compresa tra linea ferrata e la spiaggia, provvedimenti idonei ad ingenerare nei destinatari il ragionevole e legittimo convincimento di poter costruire su tale area, usufruendo altresì di tutti i servizi necessari (fognatura, idrico, raccolta rifiuti), appositamente implementati dal medesimo ente nella descritta zona, dietro regolare pagamento allo stesso dei relativi oneri. Hanno riferito, ancora, che in relazione agli immobili insistenti nella zona di Caminia si sono svolti molteplici processi penali per il reato di occupazione abusiva di area demaniale marittima ex artt. 54 e 1161 cod. nav., tutti definiti con l’assoluzione degli imputati.

Ciò che è accaduto negli anni. “Nel tempo, sono anche insorti conflitti tra l’amministrazione statale e l’ente territoriale circa la natura demaniale della predetta area, – si legge nel dispositivo – ciascuno asserendo la titolarità del diritto di proprietà esclusiva sulla stessa e nel 2016 il medesimo Comune di Stalettì, invitato dalla Regione Calabria a inviare i dati concernenti la ricognizione della fascia costiera, ha trasmesso la revisione organica delle zone demaniali marittime, nelle quali non risulta inserita l’area oggetto dell’ordinanza di sgombero, con ciò confermando quanto da sempre sostenuto dallo stesso ente, ossia che tale area non fa parte del demanio marittimo”.

Il pronunciamento del Tar. “È infondato il primo motivo di ricorso, incentrato sull’incompetenza dell’ente comunale ad adottare il provvedimento avversato. Infatti, l’ordinanza impugnata, intimando lo sgombero delle opere abusive realizzate su un’area di proprietà pubblica, risulta adottata in esercizio della potestà repressiva riconosciuta ai comuni dall’art. 35 d.p.r. 380/2001, non ostandovi il mancato richiamo espresso della norma, poiché l’atto va interpretato nella sua intrinseca consistenza, a prescindere dalle formule utilizzate nel testo”. Ed ancora “perde rilevanza qualunque contestazione in ordine alla certezza della natura demaniale della proprietà e alle modalità con cui essa sia stata accertata, mentre assume portata decisiva la circostanza che, nel caso di specie, non vi è alcun dubbio sull’appartenenza pubblicistica dell’area. Il titolo, infatti, è conteso unicamente tra lo Stato e il Comune, mentre i privati non vi hanno mai acquisito diritti reali.

Ciò è evincibile anche dalla circostanza che il Comune di Stalettì autorizzò, con bando pubblico risalente agli anni ‘60, l’occupazione del suolo in attesa di procedere a lottizzazione e a cessione a titolo oneroso ai privati, cessione che però non ha mai avuto luogo a causa delle dispute insorte con l’amministrazione statale. Tale bando non può essere considerato titolo edilizio. Innanzitutto, esso non è stato emesso ad personam, bensì era rivolto genericamente alla collettività e senza alcuna indicazione delle caratteristiche delle eventuali costruzioni. Inoltre, è stato emesso prima ancora che i suoli venissero resi edificabili mediante lottizzazione, cui peraltro non si è mai pervenuti.

L’estrema evanescenza dell’invito e la sua anteriorità rispetto alla lottizzazione e alla cessione dei terreni ai privati impediscono di riconoscere al bando natura di titolo edilizio – legittimo o illegittimo che sia – e portano, di conseguenza, a escludere che i privati potessero riporre su di esso alcun legittimo affidamento circa la regolarità delle edificazioni, e ciò a prescindere dell’eventuale ritardo con cui l’amministrazione abbia emanato il provvedimento avversato. Si aggiunga, da ultimo, che l’ordinanza impugnata dà atto dell’insistenza, sull’area, di vincoli paesaggistici e idrogeologici, rispetto ai quali non risulta esser stata ottenuta né richiesta alcuna sanatoria. V’è infatti da rilevare che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, se è vero che il vincolo sopravvenuto non può operare in via retroattiva, lo stesso non può neppure restare senza conseguenze sul piano giuridico, dovendosi ritenere sussistente l’onere di acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla assentibilità della sanatoria delle opere abusivamente realizzate in precedenza alla sua apposizione”.