Due articoli apparsi recentemente, uno su “Il Riformista” a firma di Gioacchino Criaco, Spirlì nomina il nuovo capo della Film Commission e abolisce i guai della Calabria, e uno su “Soverato web” a firma di Ulderico Nisticò, Cinema in Calabria: ha ragione Spirlì, mi inducono ad alcune riflessioni sull’argomento cinema. Afferma, in sintesi, Criaco:
1. Non è che nascondendo il problema (della ‘ndrangheta) cioè non parlandone, e parlando d’altro, che magicamente si risolve il problema.
2. I politici di turno sostengono che bisogna eliminare l’immagine negativa della Calabria.
3. Criaco riconosce che: “… è vero che sulla Calabria si sia innestato un racconto orribile, falso, che nuoce a quella terra poiché l’immagine si fa sostanza. Ma più che al cinema bisogna guardare alla sostanza dei problemi, alla loro reale esistenza…”.
4. “Racconti belli, edificanti, anche solo normali, sulla Calabria, non vanno di moda”. Esempio: le maestranze della Hitachi di Reggio Calabria e i quaranta maestri reggini della Goboservice. E ancora: “Storie così, in realtà, ce ne sarebbero svariate. Nessuno le racconta, forse perché non interessano, o non sono funzionali…”.
5. E conclude: “Storie che dovrebbero entrare nel racconto complessivo di una realtà, ma che non possono imporsi per decreto. Perché il cinema è solo cinema buono o cinema cattivo, le pellicole che lavorano su commissione fanno parte di un altro settore”.
Secondo Nisticò, il presidente Spirlì ha ragione quando dice no alle produzioni che vengono in Calabria a girare film di ‘ndrangheta. E aggiunge: “Certo, Spirlì, che non vogliamo Muccino e muccinate. Però, una normalissima storia d’amore con liti e corna, può avvenire bene anche a Cariati e a Bocchigliero e a Cardeto; un omicidio senza la benché minima implicazione mafiosa, ci sta, a Palmi, a Cassano… Insomma, volendo, la Calabria si presta a ogni genere di sceneggiatura”, conclude. Quindi, deduco, a un racconto complessivo della realtà, come del resto sostiene lo stesso Criaco.
La Fondazione Calabria Film Commission ha tra i suoi obbiettivi quello di attrarre in Calabria le società di produzione cinematografiche prevedendo, attraverso specifici bandi, dei sostegni economici o logistici per chi partecipa a uno di questi e, superando un certo punteggio, lo vince. Certo alle produzioni non si può “imporre” la trama dei film dicendo di cosa si può e di cosa non si può parlare. Ognuno è libero di venire in Calabria a girare quello che gli pare nel bene e nel male. La Film Commission, da parte sua, non ha l’obbligo di sostenere “indistintamente” tutti i progetti, ma attraverso una selezione, una lettura, una disamina delle sceneggiature, può stabilire chi ammettere al sostegno e chi no, escludendo già in fase di valutazione quei progetti che, per esempio, si ritengono lesivi dell’immagine della Calabria (cosa del resto prevista nei bandi). È una forma di tutela che riteniamo legittima anche se venisse Francis Ford Coppola. Esiste, quindi, una parziale forma di prevenzione e di tutela che sta a monte, ma per chi non partecipa ai bandi e non chiede soldi perché il film se lo produce tutto da solo, francamente non vedo cosa si possa imporre se non dirgli che “non è gradito”. Ricordiamo che il cinema fa parte dell’industria culturale ed è legato alle sue leggi di mercato.
Ciò detto, noi suggeriamo a “TUTTI” i cineasti un cambio di atteggiamento nei confronti della Calabria e del racconto che di essa si vuole fare: a non essere superficiali, approssimativi, a evitare il patetico, il grottesco, il sensazionalismo e il bozzettismo fini a sé stessi. A smetterla di fare profitto sulle nostre ferite. A screditarci. In altre parole suggeriamo di essere seri. A non cavarsela dicendo che noi calabresi siamo permalosi e che non vogliamo riconoscere che ci sono dei problemi nella nostra Regione. No. Il punto è “come” se ne parla. La nostra realtà, la nostra gente, è molto più complessa di quanto appare e va rispettata. Infine, essere seri non vuol dire essere tristi. Vuol dire allargare la visione, uscire dalla dialettica sterile, e prendere atto di quanta umanità c’è intorno a noi. Anche, per esempio, con una forma di cinema comico, come hanno fatto Benigni, Verdone, Troisi. Lasciamo alla politica il compito di risolvere seriamente i problemi sociali, senza nascondersi dietro alibi. Il cinema deve avere anche una funzione civile e quindi “tormentare” la politica disattenta o distratta. Ma permettiamo al cinema di svolgere la sua missione che è quella di mostrare l’umanità e, con altrettanta bravura ma con ferma condanna, purtroppo anche la disumanità.
Maurizio Paparazzo